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La Foresta dei Mitago

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La Foresta dei Mitago è un romanzo del 1984 di Robert Holdstock; uno di quei romanzi che si trovano solamente nelle librerie e nei banchetti dell’usato perché praticamente ormai fuori catalogo. Un peccato, perché ha una storia avvincente da raccontare.
Certo lo stile può apparire “datato” rispetto a quello degli autori contemporanei e non rendere quell’immediatezza che immerge nella lettura, ma il modo di scrivere di Holdstock rimane comunque godibile, anche se non esaltante, e getta le basi con questo libro per una saga composta di sette romanzi, anche se in Italia ne sono stati pubblicati solo tre (Lavondyss nel nostro paese è stato diviso in due parti: Lavondyss e La regione sconosciuta); all’appello mancano The Bone Forest, Merlin’s Wood,Gate of Ivory-Gate of Horn, Avilion. E’ triste vedere come da noi spesso le saghe non vengano portate a compimento, ma bisogna rispondere al mercato, anche se spesso le sue regole sono insensate e sbagliate e non rispettano la bontà delle opere.
L’idea di Holdstock è affascinante e suggestiva. Ambientata in Inghilterra, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, fa scoprire le vicende della famiglia Huxley e del bosco di Ryhope vicino alla loro proprietà: un bosco antico, primordiale, un luogo di potere, dove il tempo scorre il maniera differente e lo spazio subisce una deformazione. Un luogo capace di dare vita a ciò che è nascosto nell’inconscio della mente umana, di fare incarnare personaggi di miti e leggende. Una magia che fa divenire figure della mente delle figure in carne e ossa, anche se è difficile poterle definire davvero umane, dato che nascono dalla terra e non dal seme dell’uomo. Ma nonostante questo provano sentimenti, hanno paure, ansie, desideri: tale è la natura dei Mitago. Questo è il nome dato a tali esseri: l’unione di mito e di immagine, ovvero “l’immagine della forma idealizzata di una creatura mitologica”, dove si fondono gli elementi del mito e quelli della mente della persona che li immagina, plasmandoli con il proprio pensiero.
Una scoperta, quella dei Mitago, che viene fatta dapprima con un approccio scientifico, con appunti, raccolta di dati, osservazioni, da parte di George Huxley e poi viene vissuta sul campo dai suoi figli, Chirstian e Steven, che seguono le sue orme quando scompare. Dopo aver disprezzato il genitore per quello che faceva, si ritrovano a fare come lui quando s’addentrano nei meandri del bosco di Ryhope per ritrovare Guiwenneth, il mitago che è stato creato dalle loro menti. Un viaggio che li porterà a scoprire un mondo antico, unione di leggende e diversi periodi storici, quali quello romano e quello medioevale.
Un romanzo interessante, in cui ho trovato una piccola particolarità, ovvero il termine Jaguth, usato da Holdstock per indicare un gruppo, “i cacciatori della notte”. La loro figura ricorda la Caccia Selvaggia che ha mostrato Kay nella trilogia di Fionavar (i nove cacciatori che cacciano assieme a un bambino), ma ho visto anche un’analogia con le figure descritte da Erikson (gli Jaghut, razza a cui appartiene Icarium), visto che Holdstock, come lo scrittore canadese, le definisce un popolo solitario, che rifugge dalle forme di governo organizzato. Un termine praticamente uguale (cambia solo la posizione dell’h), per descrivere creature diverse con però una natura simile.
Questo non vuol dire che Erikson s’è ispirato a Holdstock (ma potrebbe anche averlo fatto), ma mi fa pensare come spesso si parla di cose simili perché si attinge alla stessa fonte, quell’inconscio collettivo di cui parla Jung e dove risiede il sapere della specie umana.

4 comments to La Foresta dei Mitago

  • vdmNo Gravatar

    “…godibile anche se non esaltante” La mia stessa impressione.
    Ho letto solo il primo libro diversi anni fa e mi ricordo distintamente che da un lato ho faticato un po’ ad entrare nella storia (probabilmente il motivo per cui devo ancora leggere gli altri), dall’altro ho apprezzato tantissimo la base estremamente colta su cui si fonda tutto il libro. I riferimenti (anche linguistici oltre che narrativi) ai miti e alle leggende antiche, l’approccio storiografico che mescola gli elementi reali con quelli inventati in un modo che fa sì che non sia più importante ciò che è inventato in quel momento in quel libro e ciò che invece è stato inventato centinaia di anni prima conferendo al tutto una dimensione di realtà possibile.
    effettivamente dovrei riprendere gli altri 🙂

    • Il buono del libro è proprio l’idea su cui si fonda tutta la storia. La scoperta, la ricerca, attraversare mondi passati racchiusi in quello che è praticamente un mondo parallelo: sono questi i punti di forza.

  • Conosci i saggi di Carlo Ginzburg? In particolare “Storia notturna”? Sono qualcosa di eccezionale, libri di storia appassionanti come romanzi e li cito qui per la Caccia Selvaggia, di cui appunto in “Storia notturna” si parla tanto (è un “mito” che mi affascina sempre moltissimo e che proprio in questi giorni ho ritrovato in un altro libro che sto leggendo e che cito perché anch’esso in qualche modo si rifà al tema del tuo post: “Mitologia degli alberi” di Jacques Brosse; anch’essa una lettura avvincente). Amo i miti e le fiabe proprio per quegli elementi che ci richiamano a un inconscio comune, a un immaginario collettivo che si è formato nei millenni in noi e che nonostante le differenze artificiali che poi ci siamo creati e che ci hanno distanziato ci riconducono al fatto che siamo tutti appartenenti alla famiglia umana e abbiamo alle spalle millenni di storia comune, penso – almeno per certi versi – più significativa rispetto ai millenni più recenti.

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