Lo sport in Italia sta vivendo una pagina luminosa, questo soprattutto grazie al tennis e alle vittorie conseguite negli ultimi tempi da Sinner. Cosa non per niente strana, tanti italiani si sono ritrovati improvvisamente appassionati ed esperti di tennis, alcuni addirittura sono diventati praticanti; il fatto non sorprende, dato che il successo di alcuni in uno sport (calcio, basket, nuoto) abbia entusiasmato molti, portandoli a emulare chi era al centro dell’attenzione, del successo, della fama. Altra cosa non per niente strana è che chi è vincente viene preso come modello; non che la cosa sia sbagliata, se il modello dà degli input positivi (Sinner rappresenta l’impegno, la costanza, ma fa anche affermazioni che dovrebbero fare riflettere: “I social non mi piacciono, non è quella la verità, vedi certe cose ma non sono quelle”, “Ai ragazzi dico di stare attenti… personalmente vivo meglio senza i social e continuerò a fare così” (1). Senza contare che fa scelte che dimostrano carattere, come aver educatamente declinato di partecipare a San Remo, perché l’apparire non è tutto, perché si vuole evitare la spettacolarizzazione, l’idolatria a tutti i costi, perché ci si vuole focalizzare su ciò che si vuole per davvero).
Molta di questa reazione è dovuta all’euforia del momento, che si dissolve poi col passare del tempo; in alcuni casi però lo spirito di emulazione fa voler percorrere la stessa strada, soprattuto se si è spinti dalla voglia di ottenere fama, successo e denaro. E ciò non è per niente sano, perché si sta mettendo in atto uno dei meccanismi della società che limita il valore di una persona all’apparire e nient’altro; e i risultati che questa cultura ha portato dimostrano quanto sia nociva.
Questo allora porta a fare una domanda: che valore ha lo sport?
E non si pensi minimamente all’aspetto economico: non è di questo di cui si vuole parlare. Ma di cosa porta lo sport a livello personale.
Divertimento? Salute fisica? Aiuto? Crescita personale?
Tutte queste cose.
Ma anche il loro opposto.
Prendiamo due manga sportivi che mostrano un percorso simile, ma con esito diverso.
In Slam Dunk di Takehiko Inoue, Hanamichi Sakuragi è un ragazzo che non ha obiettivi se non quello di correre dietro le ragazze (e ricevere due di picche uno dietro l’altro); è un attaccabrighe, un rissaiolo, in poche parole il classico teppista. La sua vita ha una svolta quando, arrivato al liceo, conosce Haruko Akagi, sua coetanea e appassionata di basket; innamoratosi di lei al primo colpo, decide, per compiacerla e così fare colpo su di lei, di giocare a basket nella squadra del loro liceo. Il motivo per fare questo sport non sarà tra i più nobili, ma col tempo Hanamichi si appassiona davvero al basket, arrivando ad amarlo profondamente; questo amore e l’impegno che ci mette per migliorare non lo fanno crescere solo come sportivo, ma anche come persona. Hanamichi ora non è più un perditempo, non è più coinvolto in scontri tra bande, ma ha un obiettivo, uno scopo da perseguire. Il basket è stata la sua redenzione, quindi lo sport nel suo caso è stato qualcosa di salvifico.
Questo non avviene invece in Rocky Joe di Asao Takamori e Tetsuya Chiba. Joe Yabuki è un giovane che vive nei bassifondi di Tokyo, fugito da un orfanotrofio senza aver mai saputo nulla dei genitori; conosce solo povertà e violenza. Un classico sbandato, senza prospettive. Fino a quando non incontra il vecchio Danpei Tange, ex pugile ed ex allenatore di boxe, che vede in lui il potenziale per farlo divenire un campione. Grazie alla boxe Joe si allontana dal mondo fatto di povertà e violenza in cui è cresciuto, cambia il suo modo di vivere, ma per perseguire l’obiettivo di diventare campione fa molti sacrifici e il suo fisico e la sua mente ne soffrono parecchio. Joe è talmente preso dalla boxe che è disposto a tutto, arrivando ad autodistruggersi, come succede nell’incontro finale quando combatte per il titolo di categoria contro il campione in carica. Emblematiche sono le ultime parole che proferisce prima di spirare nel proprio angolo alla fine dell’incontro: “Non c’è più niente da bruciare, solo le bianche ceneri.”
Lo sport può essere salvezza (Slam Dunk) o distruzione (Rocky Joe), ma tutto dipende da come viene vissuto e attuato da chi lo pratica; propbabilmente lo sport è semplicemente un mezzo con cui si dimostra ciò che si è, come si affronta la vita.
Di esempi come questo ce ne sono tantissimi prendendo spunto dalla vita reale. Tanti sportivi sono stati salvati o aiutati dallo sport, trovando un senso alla loro esistenza, salvandosi da certe condizioni. Molti invece sono stati rovinati a causa di esso, vuoi per non aver saputo gestire il successo, la fama, la ricchezza giunti con esso, vuoi per essersi rovinati con l’uso di sostanze dopanti.
Cose che succedono ai campioni, ma anche alle persone comuni, che praticano sport solo per divertirsi o stare bene, oppure che lo praticano perché forzati da altri, come succede con certi genitori che impongono ai propri figli di fare un determinato sport con la speranza che possa sfondare e “diventare qualcuno”. Non parliamo poi di tutto quello che ruota attorno allo sport, con le purtroppo tristi cronache di scontri tra tifosi, insulti razzisti, o di certe trasmissioni dove più che discutere si litiga. O dei social dove in più di un’occasione si fomenta odio. O delle scommesse illegali. O di tutti i soldi che ruotano attorno alle competizioni sportive, con tutto quello che ne consegue, più o meno lecito e morale.
Si può dire che lo sport può tirare fuori il meglio o il peggio dalle persone. Ma ancora una volta bisognerebbe capire che tutto dipende sempre dal’individuo e da come decide di fare.
A dire il vero sono piuttosto scettico allo sport come spettacolo, esibizione dei campioni. Sempre più legato a pratiche illegali difficili da smascherare, o al doping più spudorato.
Per antico riflesso condizionato seguo alcuni sport televisivi (mondiali di calcio, formula uno, se si può chiamare uno sport), con qualche difficoltà perché non ho la TV, ma ormai con lo streaming arriva quasi tutto.
Ma credo che la cosa migliore sarebbe farne completamente a meno (dello sport in TV) e piuttosto PRATICARE uno sport, anche giusto per tenersi in forma. Non tutti sono campioni, o abbastanza giovani da poter nutrire prospettive di diventare dei professionisti. Una modesta partita a ping pong o a calcetto, o andare in bicicletta, fa comunque un sacco di bene.
Ci troviamo praticamente d’accordo. Lo sport in tv lo seguo quando posso, ma sinceramente sta diventando “troppo”: troppo presente, troppo enfatizzato, troppo litigioso, troppo pagato. Troppo.
Bene invece è la pratica, fosse solo perché aiuta a scaricare lo stress (ideale farlo nel verde, se possibile).