Dal 26 dicembre 2018, dopo i fatti di Inter-Napoli, non si fa altro (tra le tante cose che causano discussioni e conflitti in Italia) che parlare di razzismo e violenza. Il fatto che ha fatto più scalpore, e che ha visto in tanti schierarsi e scandalizzarsi, sono stati i cori razzisti contro il giocatore del Napoli, Koulibaly. Mentre meno risalto è stato dato alla morte di un tifoso interista durante gli scontri avvenuti prima della partita.
Entrambe le cose sono questioni che vanno avanti da anni e a cui non si è voluto porre rimedio: nessuno ha cercato di cambiare le cose, ma tanti a scandalizzarsi, criminalizzare, pontificare. Gli insulti contro gli avversari, i pesanti sfottò, sono stati considerati come una parte del gioco, come qualcosa di normale. Anche gli scontri tra tifoserie sono state considerate come parte dello show; uno show che qualunque cosa succedesse doveva andare avanti, perché, si diceva, non ci si può inchinare a pochi violenti. In realtà, lo si è fatto andare avanti perché nel calcio circolano ingenti quantità di denaro, un business gigantesco e mostruoso. Sì, mostruoso, perché spesso è raccapricciante sentir parlare di cifre che girano attorno a un singolo individuo quando tanti individui non hanno un lavoro o se ce l’hanno è sottopagato e per lavorare devono accettare di tutto; è mostruoso veder morire delle persone per quello che dovrebbe essere solo divertimento, invece è fonte di odio e parole.
Tanti a fare proclami e bei discorsi, ma non servono più belle parole, ma fatti, perché si è in ritardo di anni su questioni che dovevano essere risolte ormai da tanto tempo.
I fatti però possono esserci se si cambia mentalità e se si applica sempre lo stesso metro di giudizio.
L’Inter è stata punita, il sindaco di Milano si è scusato a nome di tutti per i cori contro il giocatore del Napoli. Una cosa giusta.
Allora perché anche Napoli non si è scusata per la morte del tifoso interista?
Il razzismo è un reato, ma uccidere una persona lo è altrettanto e forse è una cosa anche più grave. Tanti a dire “se l’è cercata”, “è quello che si meritava”: se ha assaltato e attaccato altre persone, il tifoso deceduto doveva essere arrestato e condannato per quello che ha fatto, se così fosse risultato dalle indagini. Ma la morte è una punizione troppo alta per quanto fatto: ci vuole giustizia, non vendetta.
Se si è colpito l’Inter per colpa di alcuni suoi tifosi, però si devono colpire anche altre squadre per lo stesso motivo. Juventus (striscioni sulla morte del Grande Torino). Torino (striscioni sulla tragedia dell’Heysel). Fiorentina (striscioni sulla morte di Scirea). Solo per dirne alcune, perché tanti sono i casi del genere. Se si vuole porre un freno a tutto ciò, occorre dire no a qualsiasi forma, sia fisica, sia verbale, e non solo sul razzismo: allo stadio si va per incitare la propria squadra, non insultare gli altri.
Si cominci a essere giusti e applicare le regole a tutti: allora forse si farà un passo avanti. Ma non basterà finché non cambierà la testa delle persone e per farlo occorre partire da chi è sempre sotto i riflettori, vedasi politici, perché non si può difendere (giustamente) una persona di colore perché è calciatore e poi dare addosso ad altri perché sono migranti. E’ vero, sono questioni molto complicate, ma il clima d’odio, d’insoddisfazione, che tanto è presente nel nostro paese, ha bisogno di valvole di sfogo, qualcuno su cui incanalarle e questo è sbagliato. La storia ha insegnato come in periodi come quello in cui si sta vivendo che è facile scaricare su alcuni i propri sentimenti d’insoddisfazione e che non porta a nulla di buono. O si sviluppa un’educazione e un modo di pensare e vivere diverso o saremo sempre allo stesso punto.
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