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La storia fantastica

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La storia fantasticaDi La storia fantastica (film del 1987) avevo parlato nella recensione del romanzo di Sanderson Tress del Mare Smeraldo e si può tranquillamente dire che col tempo è diventato per gli appassionati del genere un piccolo cult. Qualcuno, abituato a narrazioni fantastiche più cupe e crude quali sono Il trono di spade o House of the Dragon potrà storcere il naso dinanzi a una storia che ritiene troppo semplice, ma La storia fantastica (non bisogna dimenticare il suo stampo favolistico) è qualcosa che si fa ricordare, che fa sorridere ma ha anche un respiro epico.
La storia inizia con il piccolo Jimmy costretto a letto dall’influenza, poco entusiasta della visita del nonno, venuto a fargli compagnia e a portargli un regalo. Il bambino non è per niente soddisfatto quando scopre che si tratta di un libro, La storia fantastica di S. Morgenstern, ma acconsente ad ascoltare il nonno che gliela legge.
La giovane Bottondoro vive in una fattoria e dà il tormento al garzone Wesley, impartendogli sempre ordini cui lui risponde costantemente “Ai tuoi ordini”. Col tempo i due s’innamorano, ma non avendo soldi, Wesley decide di cercare fortuna oltremare; sfortunatamente, il ragazzo viene trucidato dal pirata Roberts. Cinque anni dopo la sua scomparsa, il principe Humperdinck, per commemorare il cinquecentesimo anniversario del paese, annuncia le sue nozze e la sposa è Bottondoro (avendo lui diritto di scegliere chi prendere in moglie).
Mentre un giorno è a cavallo, la giovane incontra un gruppo di tre persone che si spacciano per artisti di strada, le cui intenzioni però sono altre: Bottondoro viene catturata e viene fatto credere che il rapimento sia stato perpretrato dalla nazione confinante. La mente del gruppo, Vizzini, è al soldo del principe Humperdick, che vuole utilizzare la sua morte per scatenare una guerra; il gigante Fezzik e lo spadaccino Inigo Montoya non sono d’accordo, ma il piano va avanti come da copione. Sennonché la loro nave viene inseguita da un’altra, che presto li raggiunge: si tratta del pirata Roberts. Inigo Montoya perde il duello di spada con l’inseguitore, Fezzik viene sconfitto in uno scontro fisico e Vizzini viene superato in astuzia, perdendo la vita.
Bottondoro è libera, ma non è riconoscente al suo salvatore, dato che è colui che ha ucciso il suo amore; con sua grande sorpresa scopre però che il pirata Roberts altri non è che Wesley, risparmiato dal pirata Roberts precedente che poi l’ha fatto divenire suo successore.
I due innamorati stanno pensando di fuggire insieme, ma vengono raggiunti dal principe, che riprende con sé la principessa e imprigiona Wesley, facendolo torturare fin quasi ucciderlo. Montoya e Fezzik però, dopo essere stati risparmiati da lui, decidono di salvarlo chiedendo aiuto a “Max dei miracoli”, che con una pillola speciale gli fa riacquistare la vita. Insieme, riescono a salvare la principessa dal castello e Wesley, grazia all’astuzia, riesce ad avere la meglio sul principe, che si rivela essere in realtà un gran codardo.
Il gruppo si allontana dal castello e Bottondoro e Wesley si danno il bacio più memorabile della storia. Il film si conclude con il nonno che saluta il nipotino una volta finito di leggere il libro, rispondendogli “Ai tuoi ordini” quando il bambino gli chiede di tornarlo a trovare e leggergli un’altra storia.
La storia fantastica è una storia lineare, ma funziona, soprattutto grazie ai suoi personaggi e a chi li ha interpretati: il mafioso siciliano Vizzini che non fa che ripetere “inconcepibile”, il gigante buono Fezzik interpretato dall’indimenticabile wrestler André the Giant e Inigo Montoya, forse il personaggio più memorabile con la sua storia di vendetta, alla ricerca per vent’anni dell’uomo con la mano dalle sei dita che quando era piccolo ha ucciso suo padre, al quale, prima di sfidarlo a duello dirà quella che è divenuta una frase iconica nel mondo del cinema: “Hola. Mi nombre es Iñigo Montoya, tu hai ucciso mi padre… preparate a morir!”. Come iconico è lo scontro finale tra i due (l’assassino del padre è un uomo al servizio del principe) dove Montoya, ferito a morte, si rialza e ritorna a combattere, sconfiggendo con facilità il nemico.
Forse La storia fantastica è un racconto di altri tempi, ma è uno di quei racconti di cui ogni tanto, almeno una volta nella vita, si ha bisogno.

Il Cavaliere della Rosa Nera

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Il Cavaliere delLa Rosa NeraAcquistai Il Cavaliere della Rosa Nera di James Lowder appena uscì, nei primi anni del Duemila, quando c’era la vecchia Armenia (guardando all’interno del libro non c’è il periodo di pubblicazione, come succede nella maggior parte dei casi, ma facendo una ricerca in rete si scopre che era il 2003), perché l’ambientazione di Ravenloft mi aveva sempre affascinato e Lord Soth era una figura oscura ma allo stesso tempo affascinante; c’erano tutti i requisiti per una buona lettura. Invece, dopo poche pagine, deluso dalla scrittura dell’autore, mollai il libro, ritenendo che una simile figura come quella del Cavaliere della Morte meritasse di più.
Sono passati più di vent’anni da allora e complice un video visto su youtube che parlava di Strahd von Zaravich ho deciso di riprendere in mano il volume: l’impressione sulle prime pagine lette non è cambiato, il livello di scrittura è basso (anche se ho letto di peggio) e le vicende di Lord Soth non mi hanno entusiasmato, perché raccontate in un modo quasi stereotipato (il cattivo che fa cose cattive e dice cose cattive, che sono quasi scontate). Questo almeno finché Lord Soth rimane su Krynn: nel momento in cui le nebbie lo carpiscono e lo portano su Ravenloft le cose (fortunatamente) migliorano.
Ma andiamo con ordine. Lord Soth fa la sua prima apparizione nella saga Dragonlance nel romanzo I draghi dell’alba di primavera (terzo volume di Le Cronache di Dragonlance), alleato della Signora dei Draghi Kitiara; Soth è un Cavaliere della Morte, maledetto per le sue scelte e per aver buttato via la sua ultima possibilità di redenzione. Un tempo Cavaliere della Rosa di Solamnia, perse la sua virtù quando s’invaghì di una giovane sacerdotesssa elfica cui salvò la vita; fatta sparire la moglie grazie a Caradoc, suo fidato sottoposto, Soth potè giacere con lei e sposarla. Ma le sue azioni furono scoperte, venendo condannato per il gesto, spogliato del suo rango e cacciato dall’ordine dei Cavalieri di Solamnia. Capendo quanto era caduto in basso, assieme alla nuova moglie, pregò gli dei in cerca di redenzione: Paladine gli rivelò che l’unico modo era fermare il Grande Sacerdote prima che su Krynn si scatenasse la punizione divina e che nel tentativo avrebbe perso la vita. Per ritrovare il suo onore, Soth accettò, ma mentre andava a fermare il Grande Sacerdote, le altre sacerdotesse elfe cui aveva salvato la vita, non perdonandogli quanto fatto alla compagna, gli avvelenarono l’animo con la gelosia, facendogli credere che la moglie lo tradisse. Soth tornò al suo castello, proprio mentre il Cataclisma si abbatteva su Krynn; mentre la moglie e il bimbo neonato morivano tra le fiamme, l’elfa lo maledisse: Soth non morì, condannato a una non vita dove non c’era pace, dove gli restava solo l’armatura bruciata (l’armatura con il simbolo dell’Ordine della Rosa cui apparteneva divenne nera, facendolo così conoscere come il Cavaliere della Rosa nera), un castello maledetto abitato da servitori non morti e spiriti che lo perseguitano per le sue scelte scellerate.
Passati più di trecento anni da quel nefasto evento, Lord Soth ritrova interesse per la vita e per una donna con Kitiara, Signora dei draghi e servitrice della dea malvagia Takhisis, volendola fare diventare sua compagna immortale una volta morta. La possibilità si presenta quando la donna muore durante il tentativo di conquista della città di Palanthas; mentre Soth porta il corpo di Kitiara nel suo castello, Caradoc, che ora è un fantasma, si reca nell’Abisso per recuperare la sua anima, così che Soth possa farla tornare come non morta. Se non fosse che Caradoc tradisce Soth e questo porta a uno scontro tra i due; le nebbie giungono e portano i due lontano da Krynn, facendoli giungere a Ravenloft.
Queste sono le prime cinquanta pagine di Il Cavaliere della Rosa Nera (il prologo riassume le sue vicende mortali in pochi fogli, mentre le pagine successive raccontano le vicende tra l’assalto a Palanthas e l’arrivo a Ravenloft): il modo in cui sono scritte fa un poco alzare le sopracciglia e le vicende non colpiscono più di tanto (forse perché le si era già lette in altre parti, il già menzionato I cavalieri dell’alba di primavera e il manuale di Ravenloft), ma fortunatamente, da questo punto in avanti, le cose migliorano, sia a livello di scrittura, sia a livello di eventi. Sia chiaro: non si è davanti nulla di trascendentale. Tuttavia, la lettura diventa più godibile e si è spinti ad andare avanti (e non come prima a mettere da parte il libro).
Giunto a Ravenloft, Soth pensa di essere finito nel regno dell’alleato tanar’ri di Caradoc (il siniscalco gli aveva fatto credere che l’amuleto contenente lo spirito di Kitiara fosse in in mano di quella creatura), ma presto si ritrova a costatare che così non é; viene attaccato da un gruppo di zombie, ma poi l’attacco cessa e le creature gli fanno capire che devono seguirlo, pronunciado una sola parola: Strahd.
Soth apprende di più su questo misterioso personaggio grazie all’incontro con un gruppo di Vistani (zingari che vivono a Ravenloft); tuttavia, preso da uno dei suoi frequenti attacchi d’ira, praticamente uccide tutto il gruppo, tranne la giovane Magda, che usa da guida per raggiungere il castello di Strahd, signore di quelle terre. Come scoprirà, Strahd è un non morto come lui, solo che è un vampiro, dotato oltretutto di poteri magici pari se non superiori a quelli di Soth. Seppure ci sia tensione tra i due, e lo scontro sia sempre sul punto di scoppiare, Strahd decide di non farselo nemico, ma di usarlo come pedina per i suoi piani, rivolgendolo contro uno dei suoi nemici, Gundar, anch’egli un vampiro.
Soth, Magda, cui si unisce anche Azrael, un nano con la capacità di mutarsi in un licantropo dalle sembianze di tasso, decide di assecondare Strahd purché questo gli permetta di raggiungere il portale per lasciare quelle terre maledette e ritornare su Krinn, dove continuare la ricerca dell’anima di Kitiara che gli permetta di riportarla come non amorta e averla come sua compagna.
Non ci si sta a dilungare su tutte le vicende cui il Cavaliere della Morte andrà incontro (si può però intuire che saranno vicende violente e sanguinarie), ma esse mostreranno come Soth diventerà uno dei signori di Ravenloft; il che non sorprende, dato che si sta parlando dei Domini del Terrore, terre dove le maledizioni la fanno da padrone.
Sinceramente, visto come era iniziato, pensavo peggio di Il Cavaliere della Rosa Nera e devo dire che mi sono dovuto in parte ricredermi, non abbastanza però da cercare di recuperare i seguiti di questa serie di libri dedicati al mondo di Ravenloft.

Messia di Dune oggi non verrebbe pubblicato

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Messia di DuneMessia di Dune se fosse proposto oggi a una casa editrice troverebbe pubblicazione? In Italia, molto probabilmente no: il secondo romanzo scritto da Frank Herbert ambientato nel mondo di Dune verrebbe scartato senza tanto pensarci su. Motivo? Troppo complesso, troppo riflessivo, introspettivo, con Herbert spesso a mostrare i processi mentali dei personaggi a discapito dell’azione. Questo è Messia di Dune: un romanzo con finestre aperte sulla mente dei protagonisti. Qualcuno (o più di uno) potrebbe ritenere questo romanzo troppo filosofico, troppo impegnato, troppo pieno di elucabrazioni, troppo difficile da leggere. E da un certo punto di vista, si può anche dargli ragione vista la qualità media degli italiani: non c’è affatto da sorprendersi di tale qualità, dato che una buona parte delle persone è impegnata a perdersi nel guardare video di Tiktok con una soglia di attenzione veramente bassa (soglia che passa da qualche minuto a qualche secondo) e si ha una scarsa padronanza della lingua italiana (già con frasi più lunghe di due righe si va in difficoltà), solo per citare un paio di problemi. Tutto ciò non meraviglia affatto, visto poi il livello di preparazione e di cultura che si ha a tutti i livelli: se si pensa a certe uscite che fanno certi ministri (su tutti quello alla cultura), si capisce perché per i più Messia di Dune sia una lettura di categoria troppo elevata, di una caratura superiore la norma (ma molto superiore).
Dopo questa breve disamina sul livello di una parte dei lettori italiani (e c’è da ringraziare se leggono qualcosa che non sia solo i commenti sui social), veniamo a parlare del romanzo di Herbert. Sono passati dodici anni da quando Paul Atreides ha sconfitto gli Harkonnen (anche se occorre notare che, benché lo sappiano in pochissimi, anche nelle vene di Paul scorre in parte sangue Harkonnen) ed è diventato lo Kwisatz Haderach, la figura tanto ricercata e programmata dalle Bene Gesserit; tuttavia non è lo Kwisatz Haderach che si aspettavano (sottoposto al loro controllo): Paul, alla guida dei Fremen, scatena una jihad che lo porta a conquistare un mondo dopo l’altro, facendolo divenire il capo dell’universo conosciuto.
Nonostante la posizione acquisita e il grande potere che possiede (la prescienza, la capacità di vedere i futuri possibili), Paul non è al sicuro: gli Harkonnen sono stati sconfitti, l’Imperatore piegato, ma altri tramano alle sue spalle: le Bene Gesserit, la Gilda, i Tleilaxu e persino la sua consorte, la principessa Irulan, figlia dell’Imperatore. Tutti mirano per un motivo o per l’altro a controllarlo, a trovare un punto per renderlo debole e soggetto al loro potere: chi attenta alla salute di Chani, la sua amata, rendendola sterile perché non possa dargli degli eredi, chi invece cerca di colpirlo nei suoi affetti facendo ritornare in vita, sotto forma di ghola (una sorta di clone), Duncan Idaho, suo amico e protettore fin da quando viveva su Caladan.
A tutto ciò si aggiunge che Paul è schiavo delle visioni che ha del futuro e non può sfuggirgli, pena scatenare degli scenari ancora peggiori; così, è costretto a scegliere tra tutti i mali quello minore, ma lo stesso per lui sarà un prezzo alto da pagare.
Ogni personaggio (da Paul, a Duncan/ghola, Irulan, Stilgar, Alia) affronta i suoi conflitti interiori, i propri demoni e Herbert lo mostra con lunghi monologhi interiori, dove le questioni sono sviscerate con profondità e intensità. Così è per buona parte del romanzo, dove tutto è una preparazione per il finale; macchinazioni, complotti, ogni cosa fa parte di una partita a scacchi fra i vari contendenti, dove ognuno cerca di avere la meglio sull’altro. L’azione vera e propria è concentrata praticamente tutta nel finale e questo è una cosa che ai lettori moderni potrebbe non piacere, dato che per buona parte del libro non succede nulla; se a questo ci si aggiunge la bassa soglia di attenzione che in diversi hanno adesso e la difficoltà a seguire trame che non siano lineari (ci si può immaginare cosa ne potrebbero pensare della saga Malazan, molto più complessa e articolata di quella di Dune), si può capire come Messia di Dune sia un romanzo che attualmente non riscuoterebbe grande successo.
Sinceramente, questi elementi che seguono i più per me non hanno valore e posso dire che Messia di Dune è una lettura interessante; non siamo al livello del primo romanzo, Dune, tuttavia mostra bene i limiti del potere, i dubbi e le debolezze di chi sta in certe posizioni di guida o comando, evidenziando come spesso determinate figure vengono idolatrate e idealizzate. Paul, nonostante i poteri che ha acquisito, è un uomo e come ogni uomo ha dei limiti che non possono essere superati; purtroppo, avendo creato un sistema di governo dove la religione ha una parte importante (si può dire fondamentale) è quasi giocoforza che i sudditi, di cui molti sono anche fedeli, lo venerino come un profeta o un dio, aspettandosi da lui sempre qualcosa di eclatante, che possa risolvere ogni problema o richiesta.
C’è però un’altra cosa da tenere conto: l’arrivo o la nascita di certe figure porta cambiamenti e non sempre questi piacciono, perché c’è chi vuole rimanere ancorato alle tradizioni. Allora dallo scontento nasce il tradimento, la scissione, anche tra quelli che dovrebbero essere grati per quello che è stato fatto. Da tempo i Fremen sognavano che su Dune ci fosse più acqua, ma quando questo è cominciato ad accadere, ad alcuni la cosa non è piaciuta perché andava a cambiare il loro modo di vivere e di vedere la vita; a questo punto il tanto decantato messia non è più stato tale e Paul oltre ai nemici esterni si è trovato ad avere a che fare anche con il fuoco amico.
Non si rivela altro di Messia di Dune perché raccontare di più sarebbe fare uno spoiler troppo grande (anche se c’è chi potrebbe suggerire che essendo ormai passati più di cinquant’anni dalla sua uscita non lo sarebbe), ma è una lettura consigliata per chi cerca qualcosa che non dà la pappa pronta e fa pensare. Un romanzo non per tutti, ma un libro che tanti avrebbero bisogno di leggere.

Berserk 42

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Berserk 42 Edizione CollectionCon Berserk 42 (edizione Collection, che unisce i numeri 83 e 84 dell’edizione regolare) riprende la narrazione delle vicende di Gatsu e compagni dopo la morte di Kentaro Miura. Basandosi su quanto lasciato dal creatore del manga, con i disegni realizzato dalla Studio Gaga e la supervisione di Kouji Mori, la storia continua dalla rivelazione che il bambino della Luna altri non era che Grifis, risvegliatosi da quello che era stato una sorta di sogno in cui lui, in una notte di plenilunio, diveniva un bambino e assaporava il calore di una famiglia. Per chi non ha seguito tutta la storia di Berserk, la cosa può sembrare complicata. Gatsu e Caska stavano aspettando un bambino prima dell’avvento dell’Eclissi; sarebbe stato solamente loro se non fosse stato per lo stupro perpetrato ai danni di Caska da Grifis rinato come Phemt, il quale contaminò il feto con il male derivante dalla sua nuova condizione. Sopravissuti alla strage, Gatsu e Caska videro nascere prematuramente il feto/bambino, deforme ma con poteri derivanti dal Grifis. Al tempo dei Capitoli della Condanna, ormai in fin di vita, il feto fu accolto da una strana creatura che utilizzando un Bejelit fece rinascere Grifis come uomo, dando il via a una nuova era. Il Grifis rinato era sì Grifis, ma aveva anche una parte del bambino di Gatsu e Caska e questa giustifica il suo voler passare del tempo con loro e assaporare quell’affetto cui un bambino anela.
La comparsa di Grifis sull’isola degli elfi ha un effetto sconvolgente: Caska rivive il trauma provato durante l’Eclisse, Gatsu va in berserk attaccando Grifis, l’isola viene attaccata da una sorta di marea/blob oscura. Nonostante tutto il suo impegno, Gatsu non riesce a colpire una sola volta il nemico, che rapisce Caska e vola via sulla schiena di Zodd arrivato sull’isola in volo. Il Guerriero Nero rimane sconvolto per non essere riuscito a infliggere un solo colpo; lui che non aveva mai creduto in niente, ma solo sulla sua spada, si vede venire meno l’unica convinzione che aveva. Sentendosi tradito, crolla. Salvato ancora una volta (lui e gli altri compagni) dal Cavaliere del Teschio, Gatsu viene messo al sicuro sulla nave con il quale sono arrivati mentre l’isola degli Elfi collassa e le creature fantastiche si dissolvono lasciando il mondo reale; così, uno sconvolto Isidoro vede svanire davanti a sé Isma (in parte sirena), tenendo tra le mani l’unica cosa che resta di lei, i vestiti.
Altrove, nella città di Falconia, Caska viene servita e trattata come una principessa, ma si capisce da subito che non è se stessa, è come se fosse in trance, vittima di un’ipnosi; riesce a uscire da questo stato e tenta di ribellarsi e scappare, ma viene ripresa e riportata nello stato in cui era costretta.
Sulla nave, le streghe e i maghi fuggiti dall’isola ormai scomparsa stanno perdendo i loro poteri, dato che non c’è più l’albero di ciliegio da cui traevano la magia, e così tutto quanto riguarda ciò che viene dal mondo spirituale dipende da Farnese e da Shilke. E mentre la piccola maga si appresta a dare il via a un rito per mettersi sulle tracce di Caska, e Gatsu deve fare i conti con lo spirito della sua armatura, la nave viene assalita dai Kushan.
Cosa dire del primo volume realizzato senza Kentaro Miura?
Per quanto riguarda la storia, è ancora presto per dare un giudizio, dato che non ci si è allontanati molto dalle ultime vicende narrate da Miura; l’unica cosa che ci può notare (non si sta dando una connotazione negativa alla cosa, è solo una costatazione) è che ci sono meno dialoghi rispetto a certi volumi realizzati dal Kentaro (questo però non vuol dire molto, dato che anche per certi capitoli l’autore di Berserk non ne ha usati molti, basta vedere il volume 80 dell’edizione regolare).
Per quanto riguarda i disegni invece, il livello rimane alto e non delude; certo, Miura era Miura, ma i membri dello Studio Gaga hanno reso onore al compianto mangaka dimostrando grande impegno e perizia.
Mori e Studio Gaga in questo Berserk 42 sono stati convincenti: ci si augura che continuino così (e anche meglio se possibile, così da dare una degna conclusione a questa lunga storia.)

Azioni di governo

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Un fatto riguardante il ministro Sangiuliano ricora una scena del film Fuga per la vittoriaAlle volte si vorrebbe scrivere altro, ma ci sono cose che vanno mostrate e di cui occorre parlare. Tante sono le polemiche nei confronti del governo e le reti televisive pubbliche, per molti divenute fonte di propaganda del governo, al punto da soprannominarle Tele Meloni; tutto questo non è certo nuovo, dato che una cosa simile accadeva già al tempo dei governi Berlusconi. Tuttavia, succede che certi fatti sono così grotteschi da non meravigliarsi se ci sono contestazioni. Ormai delle uscite infelici di Lollobrigida e Sangiuliano si è perso il conto (tra quelle del ministro della cultura vanno annoverate quella di essere giudice del premio Strega e il suo non aver letto “approfonditamente” (aggiunta dove aver fatto intendere di non aver letto i libri) i testi in concorso, di aver asserito che Dante era fondatore del pensiero di destra e che Colombo si era ispirato a Galileo Galilei (nato decine d’anni dopo la scoperta dell’America) per i suoi viaggi), però l’ultimo fatto avvenuto è sia grave sia ridicolo: Sangiuliano va al Taobuk e viene fischiato. Ma i fischi nel video trasmesso dalla Rai sono spariti e al suo posto ci sono applausi. La Rai interviene per dire che non è stata lei (responsabilità appartente, secondo la Rai, agli organizzatori di Taobuk). Questa cosa, oltre a falsare gli eventi, può che essere presa come propaganda per il ministro e il governo; ricorda un vecchio film, Fuga per la vittoria, dove, durante la partita tra nazisti e Alleati, il commentatore nazista metteva applausi finti per far credere che il pubblico incitasse il bel gioco della squadra tedesca, quando invece il pubblico se ne stava in silenzio.
Quello che fa sorridere, ma è un sorriso amaro, è che solo un giorno prima Salvini aveva parlato di ditttura delle minoranza: secondo il ministro, “C’è la minoranza che spesso e volentieri si comporta da maggioranza, pretendendo di imporre alla maggioranza politica e culturale del paese il suo modo di vivere e ragionare. Semmai quindi qua c’è il problema della dittatura delle minoranze, non il contrario”. Il suo intervento è nato in risposta alle parole di Mattarella: “Non trasformare il diritto della maggioranza a governare in un assolutismo della maggioranza; bisogna rimanere coscienti dei propri limiti nell’esercizio del potere: il “dovere di governare” non può mai significare una restrizione dei diritti da parte della maggioranza nei confronti della minoranza.”
E visto che per qualcuno le minoranze sono un problema, ci si domanda se, sempre per quel qualcuno, la soluzione sia come quella del film It – Capitolo 2, dove un omosessuale viene pestato a sangue e poi buttato da un ponte.

Una possibilità neanche tanto immaginaria, dato che in parlamento, forze della maggioranza hanno aggredito in branco il deputato Donno, prendendolo a calci e pugni (un fatto che ha ricordato lo squadrismo); un’aggressione che poi semplicemente è stata fatta passare dalle forze di governo come disordini.
Quale sia la direzione presa da questo governo italiano è chiaro; occorre vedere se la maggioranza delle persone che lo hanno votato capisca l’errore che ha commesso.