Racconti delle strade dei mondi

Il falco

L’inizio della Caduta

 

Jonathan Livingston e il Vangelo

Jonathan Livingston e il Vangelo

L’Ultimo Demone

L'Ultimo Demone

L’Ultimo Potere

L'Ultimo Potere

Strade Nascoste – Racconti

Strade Nascoste - Racconti

Strade Nascoste

Strade Nascoste

Inferno e Paradiso (racconto)

Lontano dalla Terra (racconto)

365 storie d’amore

365 storie d'amore

L’Ultimo Baluardo (racconto)

365 Racconti di Natale

365 racconti di Natale

Il magazzino dei mondi 2

Il magazzino dei mondi 2

365 racconti d’estate

Il magazzino dei mondi 2
Novembre 2020
L M M G V S D
 1
2345678
9101112131415
16171819202122
23242526272829
30  

Archivio

Le Cronache di Corum

No Gravatar

Le Cronache di CorumRhalina, novantaseienne e bella, era morta. Corum aveva pianto per lei. Erano passati sette anni e ne sentiva la mancanza. Iniziano così Le Cronache di Corum, trilogia scritta da Michael Moorcock che va a concludere la storia del principe e ultimo superstite del popolo dei Vadhagh. Dopo aver sconfitto gli Dei del Caos e liberato la Terra dall’influenza delle divinità, Corum ha trascorso anni felici con la sua amata, la cui morte l’ha fatto estraniare da tutto quello che lo circonda; solamente il ritorno del suo amico Jhary-a-Conel, il Compagno degli Eroi, riesce a riscuoterlo e a spingerlo a rispondere all’invocazione d’aiuto che sente giungere nei suoi sogni. Si ritroverà in un futuro molto lontano del suo mondo, dove poco rimane di ciò che ha conosciuto: i Mabden (gli esseri umani) non credevano quasi alla sua esistenza dalle leggende che narravano le sue imprese, ma il disperato bisogno d’aiuto li ha fatti ricorrere all’uso della magia per essere salvati dai Fhoi Myore, giganti provenienti dal Limbo, che stanno distruggendo loro e il mondo in cui vivono. Queste strane e abominevoli creature non agiscono consapevolmente, ma le loro azioni per ritornare da dove sono venuti o trovare la morte, hanno risvolti nefasti sugli uomini.
I sette giganti portano un inverno perenne ovunque vadano, facendo presagire il loro arrivo col giungere della nebbia, guidando le loro legioni di cani mostruosi ed esseri vegetali alla rovina dei pochi superstiti umani. Corum si erge a difensore dei Mabden, trovandosi a scontrarsi ancora con Gaynor il Dannato, indossante le armi del Caos, e a intraprendere una serie di ricerche eroiche che lo porteranno a trovare oggetti di grande potere capaci di aiutare il popolo oppresso nella lotta contro le creature del Limbo.
I primi due libri di Le Cronache di Corum, Il Toro e la Lancia, La quercia e l’Ariete, prendono nome dagli oggetti che Corum deve trovare; nel terzo, la Spada e lo Stallone, ciò che viene citato nel titolo serve a scoprire ciò che porterà alla vittoria finale. Un finale epico ma drammatico, dove si compirà quanto profetizzato da un Oracolo sul destino di Corum: “Temi l’Arpa. Temi la bellezza. E temi il fratello.”
Le Cronache di Corum è una trilogia che affonda le sue radici nella mitologia celtica e irlandese: il calderone che guarisce e fa rinascere, i Sidhi che sono una deformazione del celtico Seidh (elfi), i Fhoi Myore che richiamano i Fomori Celtici, il Dagda, la lancia di Assal che non manca mai il bersaglio e ritorna al suo possessore, sono solo alcuni elementi che Moorcock usa per creare la sua opera. Un’opera lineare, senza grandi colpi di scena (tranne nel finale dove si compie la profezia dell’oracolo) che vede Corum compiere grandi imprese e affrontare nemici e tradimenti assieme a Jhary, al nano Goffanon (che tanto nano non è) e Ilbrec; il testo di Moorcock è godibile, ma il suo stile risente del passaggio degli anni e manca del mordente di certi autori moderni. Tuttavia, è innegabile che si respira un’atmosfera epica in tutte le pagine, con i temi tanti cari all’autore che si riconoscono fin da subito: le energie superiori che giocano con i mortali, il Fato che è sempre amaro per chiunque e non c’è consolazione per nessuno, l’eroe che non trova pace nemmeno dopo tutti i sacrifici che ha fatto. Corum, incarnazione del Campione Eterno, figura tanto usata dallo scrittore britannico, si erge a difensore degli oppressi e riportatore dell’equilibrio, ma i suoi sforzi non sono ripagati, vittima com’è di un fato che appare nefasto fin da quando giunge in un tempo che non è più il suo. Forse non l’opera migliore di Moorcock, eppure va dato merito a questo autore con le sue idee di aver ispirato autori come Martin (i suoi Estranei ricordano i Fhoi Myore, esseri venuti da un altro mondo e che portano l’inverno), Erikson (non è difficile capire da chi prende Anomander Rake), e di aver dato un contributo importante al mondo del fantasy.

L'ultimo viaggio di Dio

No Gravatar

L'ultimo viaggio di DioL’ultimo viaggio di Dio è un romanzo di James Morrow che ho conosciuto grazie a Bruno Bacelli e che ho trovato in un mercatino dell’usato: un buon acquisto e soprattutto un bel romanzo. La storia è abbastanza semplice: Dio è morto e il suo gigantesco corpo è precipitato nell’oceano. Gli angeli, per empatia, muoiono a loro volta ma non prima di aver chiesto alla Chiesa e al capitano Van Horme di dare sepoltura al Creatore, portandolo nell’Artico dove hanno preparato la Sua bara nel ghiaccio. Nessuno sa il motivo del Suo decesso, ma ognuno che partecipa alla missione ha le sue ragioni. Per Padre Thomas Ockham è scoprire questo segreto affidandosi alla filosofia e alla scienza, per Anthony Van Horme è trovare una sorta di redenzione dopo aver fatto sbattere una superpetroliera contro gli scogli e aver causato un disastro ambientale che ha portato alla morte centinaia di animali.
Radunato un equipaggio, il difficile non è tanto individuare il corpo di tre chilometri di lunghezza o difenderlo dai predatori che vogliono cibarsi di esso o trainarlo per migliaia di chilometri, ma mantenere uniti gli uomini che cominciano a risentire psicologicamente della vicinanza del cadavere. A questo si aggiunge che senza preavviso (ma probabilmente causato dalla presenza del corpo di Dio) dalle profondità marine sorge un’isola piena di rifiuti e di idoli pagani che non solo fa incagliare la nave e perdere il prezioso carico trainato, ma scatena gli istinti più primitivi e beceri di molti membri dell’equipaggio che si ammutinano. Esecuzioni in stile gladiatori nell’arena romana, orge, baccanali sfrenati, fanno perdere ogni senso morale alla maggior parte dei marinai e a nulla valgono le esortazioni di Padre Thomas a ritrovare la ragione. Ma dove non può la ragione, può la necessità: la fame e il provvidenziale ritorno del cadavere, cui dei pazzi di carne sono usati, dopo essere stati consacrati, come sostentamento, fanno ritornare il personale tra i ranghi che, di buona lena, libera la nave permettendo di riprendere la navigazione.
Naturalmente le cose non possono andare lisce e non può non mancare un attacco organizzato da Cassie, una naufraga salvata dalla superpetroliera, che cerca di distruggere il corpo di Dio per dare un colpo letale a quel patriarcato che esso ben rappresenta e che tanti danni ha portato (per lei) alle donne. Non mancheranno colpi di scena, come non mancherà la risposta tanto cercata di questa morte eccellente.
L’ultimo viaggio di Dio è un’opera intelligente, pervasa in tutte le sue pagine di un’ironia che non risparmia nessuno; non è facile spiegare un qualcosa che non vuole prendersi sul serio ma che allo stesso tempo affronta con una certa profondità temi come la perdita di fede, l’etica, la morale e che cosa guida i pensieri e le azioni degli uomini. Certo fa sorridere vedere gli angeli che sfruttano per il loro volere (un volere che nulla ha a che fare con quello di Dio) il senso di colpa degli uomini o che seppelliscono Dio come farebbero certe persone con i propri animali domestici mettendogli accanto gli oggetti cui erano più affezionati; a qualcuno potrebbe far storcere il naso che la morte di Dio sia spiegabile con il suicidio, rasentando l’eresia o la blasfemia, o che il suo corpo sia davvero eucarestia, visto che viene usato per sfamare gente moribonda. Tuttavia non bisogna soffermarsi all’apparenza, perché L’ultimo viaggio di Dio è molto di più di quello che una lettura superficiale potrebbe suggerire: il romanzo va a scavare sulla natura umana, mettendo in mostra il meglio e il peggio (sia in fatto di crudeltà che d’imbecillità), intrattenendo il lettore ma anche spingendolo a riflettere e a porsi delle domande su come si reagirebbe se venissero a mancare credenze, pensieri, consuetudini su cui ha fondato la propria esistenza.
Una piccola chicca e ringrazio Bruno di avermela fatta scoprire.

Il bosco

No Gravatar

Piccola prefazione. Questo racconto è nato per gioco per il contest di Halloween di Writer’s Dream; visto che la partecipazione era anonima e si poteva provare a indovinare chi fosse l’autore del racconto, per non farmi riconoscere ho cambiato stile e approccio. Il racconto non aveva intenzione di fare paura, ma sfruttava il contesto horror per fare ironia, cercando di creare un’atmosfera in stile “Vita da vampiro”; anche “Quella casa nel bosco” ha avuto la sua influenza, ma l’intenzione è rimasta solo (in parte) nel titolo. Per quanto riguarda il linguaggio scurrile, vorrei che fosse qualcosa d’inventato, ma purtroppo la realtà spesso super l’inventiva e quanto si legge è il riportare di conversazioni sentite per davvero. Volendo, si può vedere il racconto come una sorta di giustizia contro l’uso della maleducazione.

Il silenzio del bosco fu rotto dal fragore di una scoreggia.
«Fabio, ma sei proprio un letamaio!» sbottò Dario.
«È tutta salute» sorrise compiaciuto Fabio massaggiandosi il ventre che avrebbe fatto invidia a una donna incinta. «E poi come si dice, meglio fuori che dentro.»
«Forse meglio per te» borbottò Umberto. «Per noi mica tanto. Ma che hai mangiato? Bimbi morti con contorno di copertoni? Ci farai scappare tutta la selvaggina!»
Beppe imitò Fabio e ne mollò una ancora più potente.
«E che cazzo, andate a scoreggiare da un’altra parte!» disse seccato Luca.
«Tanto siamo all’aperto» protestò Beppe allargando le braccia.
«Sì, bravo, continua così. E già che ci sei, perché non ti caghi anche addosso? Tanto cosa vuoi che sia, siamo all’aperto» rimbeccò Luca.
«Non esagerare» intervenne Dario. «Se dovevamo fare gli educatini, tanto valeva che fossimo restati a casa con quelle cagacazzo delle nostre mogli, a romperci i coglioni ogni tre per due.»
«Non far questo, non far quest’altro» disse Fabio. «Solo perché c’hanno la figa, pensano di dettare legge come vogliono.»
«Hai ragione» gli andò dietro Beppe. «Ma se vuoi che te la diano un po’, devi fare quello che vogliono, altrimenti devi andare di mano.»
Luca si voltò a guardarli incazzato. «Siamo venuti per una battuta di caccia o per fare i cazzoni?»
Fabio sbuffò dal naso. «Accidenti te e la caccia. E facci rilassare un po’» disse allontanandosi dal sentiero.
«Dove stai andando?» gli chiese Beppe.
«A pisciare. O preferite che la faccia qui?»
I quattro si andarono a sedere sul tronco di un albero caduto lungo il bordo del sentiero.
«Ma quanto cazzo ci mette?» sbottò Luca.
«Ma che hai oggi? Sei più incazzoso di una biscia cui hanno pestato la coda» protestò Dario.
Luca si guardò intorno. «Si tratta di questo bosco: mi sento sempre osservato.»
«Da chi? Dagli alberi?» lo prese per il culo Beppe.
Luca parve non fare caso alla battuta. «È come avere sempre degli occhi addosso, che ti seguono dovunque vai.»
«Per me hai solo dormito male stanotte e ti sei svegliato con la luna storta» fece spallucce Beppe.
«Quello storto sei tu e il tuo uccello» ribatté sgarbato Luca.
«Guarda che se non la pianti t’impallino.» Beppe portò la mano al fucile che aveva a tracolla.
«Piantatela tutti e due» intervenne Dario. «Probabilmente s’è fatto suggestionare dalle storie che circolano su questa zona.»
«Quali storie?» fece Luca.
«Minchiate da vecchi e gente superstiziosa.» Dario scosse il capo sorridendo. «Qualcuno dice che questo bosco è infestato dagli spiriti della terra risvegliati da una discarica abusiva che ha inquinato il terreno. Altri dicono che tra questi alberi si aggira il fantasma dell’uomo che vi è stato ucciso due anni fa.»
«Quale uomo?» domandò Luca.
«Ti ricordi di Sandro che in un incidente di caccia ammazzò un tipo e il suo cane mentre facevano una passeggiata?»
«Sì.»
«Bene, è questo il posto» disse Dario.
«Cazzo» sussurrò Luca osservando i punti più fitti della vegetazione.
«Se fosse qui, Sandro ti assicurerebbe di averli visti passeggiare in mezzo agli alberi anche dopo la loro morte. Peccato che ci sia rimasto con un infarto l’anno scorso» concluse Dario.
«Proprio mentre faceva una battuta di caccia qua vicino» aggiunse Umberto facendosi serio. «C’è anche un’altra storia, la peggiore di tutte: questo bosco sorge su un cimitero indiano.»
A Luca si bloccò il respiro in gola, ma quando vide comparire un sorrisetto agli angoli della bocca di Umberto, si alzò in piedi. «Andate tutti a cagare, voi e le vostre stronzate.» Si avviò lungo il sentiero, non prima di essersi voltato indietro. «Ehi Fabio, ne hai per molto?»
«Mi si è impigliata una braga negli spini» sbraitò l’altro.
«Quello è buono di essersi impigliato anche l’uccello negli spini» borbottò Luca. «Noi andiamo, vedi di muoverti.»
«Andate a farvelo dar nel culo voi e il non aspettare.»
«Non prima di te» ribatté Luca subito seguito dagli altri tre lungo il sentiero.
Procedettero a passo spedito in mezzo al bosco, seguendo le tracce lasciate dai caprioli. Dopo un’ora si fermarono.
«Vai a vedere che sta combinando Fabio» disse Dario a Beppe. «Quello è capace di essersi perso.»
«Per me è tornato indietro» fece Beppe.
«E allora vai a controllare: non mi va di mettermi a cercarlo pensando che gli è capitato qualcosa.»
Masticando una bestemmia, Beppe tornò sui propri passi.
I tre rimasti stavano per mettersi a sedere quando un gruppo di dieci caprioli gli sfrecciò accanto.
«Non me li faccio scappare» Dario imbracciò il fucile e partì di corsa dietro di loro.
Umberto lo seguì a ruota.
Luca stava per imitarli quando percepì un movimento alla sua sinistra. Pensò che potesse essere un altro capriolo, ma guardando meglio vide che tutto era immobile. Si mise a osservare ma niente si muoveva. Provò ad ascoltare ma gli unici rumori che sentì erano i rami e le foglie pestati dai caprioli in fuga e da Dario e Umberto che li inseguivano.
Lentamente sfilò il fucile dalla spalla e lo puntò davanti a sé. Rimase in quella posizione per due minuti, mentre i rumori della caccia s’attenuavano.
La sensazione di essere osservato tornò a farsi sentire.
Sobbalzò quando due spari in contemporanea squarciarono l’aria. L’immobilismo che l’aveva pervaso lo lasciò e prese ad avanzare. Aggirata una grossa macchia di pungitopi, si trovò in un’area dove gli alberi erano più radi e il sottobosco meno fitto.
“Deve essere stato uno scherzo dell’immaginazione.” Luca prese a respirare più liberamente. S’avviò per raggiungere Dario e Umberto, sperando che avessero preso qualcosa e non si fossero lasciati sfuggire il branco. Seguire la pista che avevano lasciato non fu difficile: anche un bambino ce l’avrebbe fatta. Stava per sbucare in una radura quando trovò Dario steso a un paio di metri dal sentiero: la camicia era un lago di sangue.
«Cazzo.» Si precipitò sul compagno e gli mise due dita sul collo. «Merda» imprecò scuotendo il capo. Fu allora che scorse un paio di stivali che spuntavano dietro un cespuglio dall’altra parte della radura. Si avvicinò temendo il peggio ma non era preparato allo spettacolo che gli si parò davanti: la faccia di Umberto era devastata in una poltiglia informe e sanguinolenta. Si voltò di scatto per non vomitare e la radura parve farsi più cupa e scura. Chiuse gli occhi e fece dei lunghi respiri per evitare di svenire. Quando fu sicuro di essersi ripreso, decise di tornare indietro e andare a cercare Beppe e Fabio.
Scorse qualcosa muoversi nel bosco, qualcosa fatto di grigio e di verde. Un istinto irrazionale lo colse e prese a correre, sentendo sempre l’attenzione su di sé di occhi che non lo mollavano un istante. Immagini di spiriti e fantasmi presero ad accavallarsi nella sua mente.
“Sono solo puttanate: dev’essere quello psicopatico del mio vicino che vuol farmela pagare perché ho sparato al suo gatto dopo averlo scambiato per una lepre.” Mentre cercava di scacciare anche questo pensiero, le parole dell’altro non facevano che perseguitarlo. “Ammazzerò te e tutti i cacciatori di merda.”
Un luccichio splendette nella parte più scura del bosco, dove il sole non arrivava. Scostando le felci lo raggiunse, scoprendo che si trattava del fucile di Beppe. Poco distante se ne stava il proprietario, il cranio fracassato contro una roccia.
Preso dal panico, corse all’impazzata, pensando solo a raggiungere il più in fretta possibile l’auto. Riuscì a scorgere un lampo con la coda nell’occhio prima d’inciampare, finendo lungo disteso su foglie e rami secchi. Lanciò un urlo quando vide che ciò che l’aveva fatto cadere era un braccio che spuntava da sotto un cespuglio. Gli occhi di Fabio lo fissavano a un metro da lui, uno spesso rovo serrato intorno alla gola.
A gattoni Luca si allontanò dal cadavere, rimettendosi a fatica in piedi. Nell’attimo in cui tornò a posare lo sguardo sul sentiero, le viscere con tutto il loro contenuto si riversarono sulle scarpe.
«Merda» fu l’ultima parola che pronunciò prima che il buio calasse sulla sua mente.
Il silenzio tornò a calare nel bosco.

ciechi e guide di ciechi

No Gravatar

uno dei tanti ciechi del mondoSono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso! 1
Questa è una delle frasi più conosciute del Vangelo e ben si presta alla situazione attuale: viviamo un tempo e una situazione difficile che hanno dimostrato l’incapacità di tutta la classe politica dei vari paesi. E non si tratta di maggioranza od opposizione, di un paese o dell’altro, ma di come chiunque ricopre o può ricoprire un ruolo di guida per una nazione, sia incapace di gestire un evento che va fuori dall’ordinario come l’epidemia del Covid-19. Già prima erano in difficoltà in una situazione ordinaria, ora non sanno proprio come gestire qualcosa di nuovo; continuano a ripetere errori, a non imparare le lezioni appena apprese.
La prima ondata era qualcosa di nuovo, che ha colti impreparati (anche se in certi paesi, come il nostro, poteva essere affrontata meglio, non fosse stato che per anni non si è fatto altro che tagliare sulla sanità), ma la tregua data in estate aveva lasciato il tempo per prepararsi a quello che si sta verificando adesso. Purtroppo si è creduto di aver superato la fase peggiore, di essere ormai salvi, e non solo si è abbassata la guardia, ma si è tornato a fare come prima della pandemia; eppure si sa che un virus non sparisce in così breve tempo. Perché si doveva andare in ferie e occorreva far riprendere la marcia della macchina economica, si è voluto pensare che il virus si fosse spompato, non fosse più pericoloso e il risultato di questa mentalità lo si sta vedendo.
I politici hanno interessi da difendere e proprio per questo si fanno accecare e non vogliono vedere (o peggio: non gli importa) la realtà; la gente (o almeno la maggior parte), per pigrizia o incapacità di usare la testa, si affida a loro e si fa guidare. Tante persone, sentendo politici che inneggiavano al non usare la mascherina, a non mantenere la distanze di sicurezza (e tanti altri piccoli accorgimenti) in nome della libertà (una fantomatica libertà sbandierata solo per ottenere consensi), hanno lasciato perdere buon senso e prudenza, comportandosi come si comportavano prima. Ancora adesso, nonostante la seconda ondata e i numeri crescenti di contagi e morti, i governanti non parlano di salvaguardare e salvare vite umane il più possibile, ma di permettere alla gente di poter andare in giro a Natale, uno dei periodi dell’anno dove si fanno più compere e si spende di più.
Tutto ciò dovrebbe aver mostrato lo sbaglio di aver fiducia in simili persone e dovrebbe far pensare, quando si tornerà a votare, a chi dare il voto. Invece la gente continua ad affidarsi a loro, individui che invece di cercare una soluzione per uscire da questo periodo non fanno altro che darsi contro, screditarsi, smontare il lavoro altrui in una guerra continua per accaparrarsi sostegno.
Come si può pensare di uscire da questa situazione, se chi guida è accecato dal dio-soldo? E come si può pensare di cambiare guide se chi ha il potere di sostituirli non sa sceglierli?
Ci si trova in un circolo vizioso, dove chi guida condiziona la massa e la massa condizionata si affida sempre a chi la condiziona. Perché la situazione mutasse occorrerebbe un cambiamento che viene da basso, ma perché questo avvenga occorre consapevolezza, ma come si può ottenere consapevolezza se tutto intorno spinge a ottundere l’intelligenza e il buon senso e lo si lascia fare?
Il potere del cambiamento è in mano alle persone, ma se esse non sono capaci di compiere questo atto, come potrà esso verificarsi?
Non potrebbero essere più adatte a queste situazione le parole di questo altro brano del Vangelo: Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini. 2
Le persone sono il lievito di questa società, quelle che la possono far crescere e rendere migliore (Il regno dei cieli è simile al lievito che una donna prende e nasconde in tre misure di farina, finché la pasta sia tutta lievitata. 3), ma se il lievito è andato a male, il pane non potrà certo venire bene.

1. Vangelo secondo Matteo 15,14.
2. Vangelo secondo Matteo 5,13
3. Vangelo secondo Matteo 13,33

Edit. Visto il seguito che hanno certi individui sui social e il potere che hanno le parole, da seguire la piattaforma Smask.online per combattere certe falsità che vengono dette.

Vokid il piccolo virus

No Gravatar

virusC’era una volta Vokid, un piccolo virus che cercava disperatamente di trovare il proprio posto nel mondo. Nonostante i percorsi formativi fatti a scuola e i vari corsi d’indirizzamento seguiti, non sapeva che strada prendere. I suoi genitori non facevano altro che dirgli di non crucciarsi, di non prendersela in quella maniera, che prima o poi avrebbe trovato la via da seguire.
La facevano facile, loro, che avevano già raggiunto una bella posizione tra i virus. Ma lui come avrebbe fatto a riuscire con una famiglia ingombrante come la sua?
Zio Eb era uno dei migliori cecchini in circolazione: difficilmente sbagliava bersaglio. “Un colpo, un morto” non faceva che stimarsi. E a ragione: chi riusciva a sopravvivergli portava i suoi segni per tutta la vita.
Per non parlare di zia Colly che aveva imperversato in intere nazioni, facendo scappare tutti quanti quando arrivava.
O nonno Pes che, nonostante fosse ormai in pensione, la faceva fare sotto a chiunque appena metteva il naso fuori dalla porta e andava a fare un giretto.
Come poteva essere alla loro altezza? Come poteva fare qualcosa che fosse al livello delle imprese dei suoi parenti?
Ci pensava e ripensava, ma ogni idea che aveva impallidiva dinanzi all’agire di chi l’aveva preceduto. Più s’impegnava a trovare qualcosa d’eccezionale e più capiva che non sarebbe stato altro che la loro misera ombra. Si deprimeva sempre di più.
Poi un giorno era in compagnia dei suoi cugini Influ e Raffy. Taciturno e di umore nero, ascoltava i due che facevano i fenomeni l’uno con l’altro.
«Ne ho mandati due milioni a letto con la febbre» si stimava Influ.
«Seeeeee… quisquilie» diceva Raffy. «Io ne ho fatti ammalare quindici milioni.»
«La tua è poca roba: i miei devono stare a letto con un bel male alle ossa» ribatteva Influ.
«Ma sai quanto è più fastidioso avere il naso chiuso, o che cola, e il mal di gola?» controbatteva Raffy.
Il piccolo Vokid smise di seguire il confronto tra i due per vedere chi ce l’aveva più lungo, fino a quando sentì, quasi per caso, un commento di Influ.
«Peccato che solo gli stupidi non si ammalino mai.»
Lì per lì, tutto quello che Vokid pensò, fu che non era giusto che si ammalassero solo gli intelligenti: era qualcosa di discriminatorio. Non dovevano esserci privilegiati, tutti dovevano essere uguali, senza disuguaglianze. Mentre faceva queste riflessioni, fu colto da un’illuminazione: se gli stupidi non si ammalavano mai, allora lui sarebbe stato il primo virus a farlo. Sarebbe riuscito dove altri avevano fallito e tutti allora avrebbero riconosciuto il suo valore.
Più determinato che mai, dimentico della tristezza e del malumore che per tanto gli avevano fatto compagnia, si mise al lavoro. Gli ci volle del tempo, ma alla fine riuscì nel suo intento: un numero sempre maggiore di persone prese ad ammalarsi per merito suo. Stupidi, imbecilli, deficienti, mentecatti, minchioni cadevano sotto i suoi colpi.
In men che non si dica divenne l’orgoglio della famiglia. Zia Colly e Nonno Pes facevano a gara a fargli i complimenti. Zio Eb gli aveva regalato una delle sue medaglie. I suoi genitori andavano in brodo di giuggiole quando leggevano il numero di contagi cui dava vita. Per Influ e Raffy era diventato un eroe, l’esempio da seguire.
La sua fama non faceva che crescere, fino a quando sorse un problema: tutta la popolazione umana si era ammalata e il numero di morti cresceva a dismisura giorno dopo giorno.
La preoccupazione nella comunità dei virus cominciò a crescere: andava bene far ammalare le persone, ma se fossero tutte scomparse, loro cosa avrebbero poi fatto?
Il presidente della comunità lo convocò.
«Siamo orgogliosi di te, hai fatto un ottimo lavoro, però a tutto deve esserci un limite: dicci come annullare il tuo operato, quale medicina o vaccino si deve usare.»
«Niente di più facile» spiegò Vokid. «Per guarire, le persone devono fare cose intelligenti.»
Purtroppo, la specie umana aveva smesso di essere intelligente da tempo e non era più in grado di usare la testa. Non ci fu nulla da fare per lei: si estinse in un batter d’occhio.
Vokid, così esaltato per un certo tempo, venne insultato ogni volta che veniva incontrato perché aveva reso disoccupati tutti quelli della sua specie.