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Il bosco

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Piccola prefazione. Questo racconto è nato per gioco per il contest di Halloween di Writer’s Dream; visto che la partecipazione era anonima e si poteva provare a indovinare chi fosse l’autore del racconto, per non farmi riconoscere ho cambiato stile e approccio. Il racconto non aveva intenzione di fare paura, ma sfruttava il contesto horror per fare ironia, cercando di creare un’atmosfera in stile “Vita da vampiro”; anche “Quella casa nel bosco” ha avuto la sua influenza, ma l’intenzione è rimasta solo (in parte) nel titolo. Per quanto riguarda il linguaggio scurrile, vorrei che fosse qualcosa d’inventato, ma purtroppo la realtà spesso super l’inventiva e quanto si legge è il riportare di conversazioni sentite per davvero. Volendo, si può vedere il racconto come una sorta di giustizia contro l’uso della maleducazione.

Il silenzio del bosco fu rotto dal fragore di una scoreggia.
«Fabio, ma sei proprio un letamaio!» sbottò Dario.
«È tutta salute» sorrise compiaciuto Fabio massaggiandosi il ventre che avrebbe fatto invidia a una donna incinta. «E poi come si dice, meglio fuori che dentro.»
«Forse meglio per te» borbottò Umberto. «Per noi mica tanto. Ma che hai mangiato? Bimbi morti con contorno di copertoni? Ci farai scappare tutta la selvaggina!»
Beppe imitò Fabio e ne mollò una ancora più potente.
«E che cazzo, andate a scoreggiare da un’altra parte!» disse seccato Luca.
«Tanto siamo all’aperto» protestò Beppe allargando le braccia.
«Sì, bravo, continua così. E già che ci sei, perché non ti caghi anche addosso? Tanto cosa vuoi che sia, siamo all’aperto» rimbeccò Luca.
«Non esagerare» intervenne Dario. «Se dovevamo fare gli educatini, tanto valeva che fossimo restati a casa con quelle cagacazzo delle nostre mogli, a romperci i coglioni ogni tre per due.»
«Non far questo, non far quest’altro» disse Fabio. «Solo perché c’hanno la figa, pensano di dettare legge come vogliono.»
«Hai ragione» gli andò dietro Beppe. «Ma se vuoi che te la diano un po’, devi fare quello che vogliono, altrimenti devi andare di mano.»
Luca si voltò a guardarli incazzato. «Siamo venuti per una battuta di caccia o per fare i cazzoni?»
Fabio sbuffò dal naso. «Accidenti te e la caccia. E facci rilassare un po’» disse allontanandosi dal sentiero.
«Dove stai andando?» gli chiese Beppe.
«A pisciare. O preferite che la faccia qui?»
I quattro si andarono a sedere sul tronco di un albero caduto lungo il bordo del sentiero.
«Ma quanto cazzo ci mette?» sbottò Luca.
«Ma che hai oggi? Sei più incazzoso di una biscia cui hanno pestato la coda» protestò Dario.
Luca si guardò intorno. «Si tratta di questo bosco: mi sento sempre osservato.»
«Da chi? Dagli alberi?» lo prese per il culo Beppe.
Luca parve non fare caso alla battuta. «È come avere sempre degli occhi addosso, che ti seguono dovunque vai.»
«Per me hai solo dormito male stanotte e ti sei svegliato con la luna storta» fece spallucce Beppe.
«Quello storto sei tu e il tuo uccello» ribatté sgarbato Luca.
«Guarda che se non la pianti t’impallino.» Beppe portò la mano al fucile che aveva a tracolla.
«Piantatela tutti e due» intervenne Dario. «Probabilmente s’è fatto suggestionare dalle storie che circolano su questa zona.»
«Quali storie?» fece Luca.
«Minchiate da vecchi e gente superstiziosa.» Dario scosse il capo sorridendo. «Qualcuno dice che questo bosco è infestato dagli spiriti della terra risvegliati da una discarica abusiva che ha inquinato il terreno. Altri dicono che tra questi alberi si aggira il fantasma dell’uomo che vi è stato ucciso due anni fa.»
«Quale uomo?» domandò Luca.
«Ti ricordi di Sandro che in un incidente di caccia ammazzò un tipo e il suo cane mentre facevano una passeggiata?»
«Sì.»
«Bene, è questo il posto» disse Dario.
«Cazzo» sussurrò Luca osservando i punti più fitti della vegetazione.
«Se fosse qui, Sandro ti assicurerebbe di averli visti passeggiare in mezzo agli alberi anche dopo la loro morte. Peccato che ci sia rimasto con un infarto l’anno scorso» concluse Dario.
«Proprio mentre faceva una battuta di caccia qua vicino» aggiunse Umberto facendosi serio. «C’è anche un’altra storia, la peggiore di tutte: questo bosco sorge su un cimitero indiano.»
A Luca si bloccò il respiro in gola, ma quando vide comparire un sorrisetto agli angoli della bocca di Umberto, si alzò in piedi. «Andate tutti a cagare, voi e le vostre stronzate.» Si avviò lungo il sentiero, non prima di essersi voltato indietro. «Ehi Fabio, ne hai per molto?»
«Mi si è impigliata una braga negli spini» sbraitò l’altro.
«Quello è buono di essersi impigliato anche l’uccello negli spini» borbottò Luca. «Noi andiamo, vedi di muoverti.»
«Andate a farvelo dar nel culo voi e il non aspettare.»
«Non prima di te» ribatté Luca subito seguito dagli altri tre lungo il sentiero.
Procedettero a passo spedito in mezzo al bosco, seguendo le tracce lasciate dai caprioli. Dopo un’ora si fermarono.
«Vai a vedere che sta combinando Fabio» disse Dario a Beppe. «Quello è capace di essersi perso.»
«Per me è tornato indietro» fece Beppe.
«E allora vai a controllare: non mi va di mettermi a cercarlo pensando che gli è capitato qualcosa.»
Masticando una bestemmia, Beppe tornò sui propri passi.
I tre rimasti stavano per mettersi a sedere quando un gruppo di dieci caprioli gli sfrecciò accanto.
«Non me li faccio scappare» Dario imbracciò il fucile e partì di corsa dietro di loro.
Umberto lo seguì a ruota.
Luca stava per imitarli quando percepì un movimento alla sua sinistra. Pensò che potesse essere un altro capriolo, ma guardando meglio vide che tutto era immobile. Si mise a osservare ma niente si muoveva. Provò ad ascoltare ma gli unici rumori che sentì erano i rami e le foglie pestati dai caprioli in fuga e da Dario e Umberto che li inseguivano.
Lentamente sfilò il fucile dalla spalla e lo puntò davanti a sé. Rimase in quella posizione per due minuti, mentre i rumori della caccia s’attenuavano.
La sensazione di essere osservato tornò a farsi sentire.
Sobbalzò quando due spari in contemporanea squarciarono l’aria. L’immobilismo che l’aveva pervaso lo lasciò e prese ad avanzare. Aggirata una grossa macchia di pungitopi, si trovò in un’area dove gli alberi erano più radi e il sottobosco meno fitto.
“Deve essere stato uno scherzo dell’immaginazione.” Luca prese a respirare più liberamente. S’avviò per raggiungere Dario e Umberto, sperando che avessero preso qualcosa e non si fossero lasciati sfuggire il branco. Seguire la pista che avevano lasciato non fu difficile: anche un bambino ce l’avrebbe fatta. Stava per sbucare in una radura quando trovò Dario steso a un paio di metri dal sentiero: la camicia era un lago di sangue.
«Cazzo.» Si precipitò sul compagno e gli mise due dita sul collo. «Merda» imprecò scuotendo il capo. Fu allora che scorse un paio di stivali che spuntavano dietro un cespuglio dall’altra parte della radura. Si avvicinò temendo il peggio ma non era preparato allo spettacolo che gli si parò davanti: la faccia di Umberto era devastata in una poltiglia informe e sanguinolenta. Si voltò di scatto per non vomitare e la radura parve farsi più cupa e scura. Chiuse gli occhi e fece dei lunghi respiri per evitare di svenire. Quando fu sicuro di essersi ripreso, decise di tornare indietro e andare a cercare Beppe e Fabio.
Scorse qualcosa muoversi nel bosco, qualcosa fatto di grigio e di verde. Un istinto irrazionale lo colse e prese a correre, sentendo sempre l’attenzione su di sé di occhi che non lo mollavano un istante. Immagini di spiriti e fantasmi presero ad accavallarsi nella sua mente.
“Sono solo puttanate: dev’essere quello psicopatico del mio vicino che vuol farmela pagare perché ho sparato al suo gatto dopo averlo scambiato per una lepre.” Mentre cercava di scacciare anche questo pensiero, le parole dell’altro non facevano che perseguitarlo. “Ammazzerò te e tutti i cacciatori di merda.”
Un luccichio splendette nella parte più scura del bosco, dove il sole non arrivava. Scostando le felci lo raggiunse, scoprendo che si trattava del fucile di Beppe. Poco distante se ne stava il proprietario, il cranio fracassato contro una roccia.
Preso dal panico, corse all’impazzata, pensando solo a raggiungere il più in fretta possibile l’auto. Riuscì a scorgere un lampo con la coda nell’occhio prima d’inciampare, finendo lungo disteso su foglie e rami secchi. Lanciò un urlo quando vide che ciò che l’aveva fatto cadere era un braccio che spuntava da sotto un cespuglio. Gli occhi di Fabio lo fissavano a un metro da lui, uno spesso rovo serrato intorno alla gola.
A gattoni Luca si allontanò dal cadavere, rimettendosi a fatica in piedi. Nell’attimo in cui tornò a posare lo sguardo sul sentiero, le viscere con tutto il loro contenuto si riversarono sulle scarpe.
«Merda» fu l’ultima parola che pronunciò prima che il buio calasse sulla sua mente.
Il silenzio tornò a calare nel bosco.

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