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Kenshin - Memorie del passato

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Kenshin - Memorie del passatoKenshin – Memorie del passato è una serie oav di quattro episodi che mostra il passato del personaggio creato dalla matita di Noboru Watsuki. Gli autori di questi episodi si distaccano dalle gag e dai toni scherzosi del manga e della prima serie anime, creando un’atmosfera malinconica e nostalgica. Tutto inizia con il piccolo Shinta, il vero nome del protagonista, in viaggio con una carovana assieme a tre sorelle che l’hanno adottato dopo la morte per malattia dei genitori contadini. Siamo alla fine del periodo Tokugawa, un tempo cruento caratterizzato dalla guerra civile che portò la fine dello shogunato. Assaliti dai briganti, tutti i membri della carovana vengono uccisi e le tre sorelle si sacrificano per salvare la vita di Shinta; un sacrificio che si sarebbe rivelato inutile se non fosse stato per l’arrivo di Hiko Seijiro, maestro della scuola Hiten Mitsurugi, che elimina tutti i banditi.
Il maestro, dopo aver salvato il bambino, se ne va per la sua strada, lasciandolo al suo destino; ma quando ripassa per la stessa strada dove ha combattuto, rimane sorpreso che il piccolo non solo ha seppellito le donne che si prendevano cura di lui, ma anche tutti i membri della carovana e i banditi. Colpito dalla determinazione del giovane, decide di prenderlo come suo allievo e d’insegnargli la tecnica di spada che conosce. Prima di fare ciò, decide di cambiargli nome, perché Shinta è un nome troppo tenero per un guerriero: da quel momento in avanti si chiamerà Kenshin.
Il bambino cresce e impara in fretta, ma presto si trova a scontrarsi con il suo maestro perché, mosso dall’idealismo della sua giovane età, vuole usare la spada per fare del bene. Ne scaturisce un dialogo (uno dei tanti) profondo, che mostra il disincanto di Seijiro.
“La tecnica Mitsurugi non va forse utilizzata per proteggere gli altri proprio in momenti come questi?”
“Stupido, non hai imparato niente. Cosa credi di ottenere andando a sfidare da solo il caos? Mirando a cambiare questo mondo in tempesta finiresti per affiliarti a qualche fazione, ma ciò significherebbe lasciarti sfruttare da un potere. E non è certo per questo che ti ho insegnato la tecnica Mitsurugi. Non badare a quello che accade all’esterno: impegnati negli allenamenti e basta.”
“Ma davanti ai miei occhi io vedo solo gente che soffre, tanta gente implorante dallo sguardo afflitto: come posso ignorarla?”
“Quella di Hiten Mitsurugi è una tecnica di combattimento senza pari, una nave nera calata sulla terraferma.”
“Appunto per questo è ora di usare la sua forza per difendere i deboli oppressi da quest’epoca di guerra, la scuola Mitzorughi esiste…”
“Quella di Mitsurugi è un’arte mortifera e omicida: puoi nasconderla con belle parole, ma è questa la verità. Salvi una persona e ne sventri un’altra, perché uno viva un altro viene ucciso. Questo è il principio dell’arte della spada. Quando ti ho salvato non ho forse sterminato a colpi di spada decine di banditi? Eppure anche loro erano persone; cercavano solo di vivere in questo mondo dissoluto. Fuori da questa montagna ti aspetta solo un infinito spargimento di sangue, dove ognuno dei contendenti crede di essere nel giusto, ma se ti lasci imprigionare da questa logica, la scuola di Mitsurugi farà di te soltanto un massacratore.”

Le parole di Seijiro, purtroppo, risulteranno profetiche.
Kenshin lascia la montagna, dove ha vissuto e si è addestrato con il suo maestro, e torna nel mondo, finendo per schierarsi dalla parte dei filo-imperialisti del Chosu guidati da Kogoro Katsura che si oppongono allo shogun di Edo; colpiti dalla sua tecnica di combattimento, i capi decidono di usare la sua spada per eliminare le guide degli avversari. La sua efficacia nel combattimento gli porta ad aver il nome di Battousai, un assassino che non solo non permette alle sue vittime di ferirlo, ma non lascia nemmeno il tempo di gridare.
Tuttavia, un giorno, mentre sta eliminando un bersaglio, incontra un giovane, Akira Kyosato, capace di ferirlo; Kyosato non è un valente combattente, fa da guardia del corpo perché non si sente all’altezza della ragazza che vuole sposare e vuole fare qualcosa di degno per meritarla, e proprio mentre sta morendo, sapendo di perdere quanto più vuole, mosso da grande odio manda a segno un colpo che ferisce Kenshin alla guancia. Una ferita che, secondo una credenza, non guarirà mai e continuerà a sanguinare per via della potenza del rancore di chi ha inflitto il colpo.
Il destino vuole che Kenshin incontri proprio la promessa sposa di Kyosato, Tomoe Yukishiro, durante un attacco nemico; svenuta perché ubriaca, Kenshin la porterà nella locanda dove alloggia. La situazione diventa sempre più violenta in città, al punto che i leader devono lasciarla; anche Kenshin si deve allontanare e viene accompagnato da Tomoe perché c’è una spia nell’organizzazione. Vengono fatti passare per una coppia di contadini che vivono in campagna e vendono i prodotti della terra. Kenshin in una quotidianità tranquilla lontano da sommosse, violenza e omicidi, scopre una vita migliore, a cui è disposto adattarsi assieme a Tomoe, di cui si è innamorato. Un giorno però la sua vita viene sconvolta: Tomoe se n’è andata. Ignaro di tutto, non sa che la ragazza era con i nemici per vendicare il promesso sposo e trovare il punto debole di Battousai, il samurai più temuto del Giappone. Anche lei però è ignara di essere stata usata: infatti è lei il punto debole di Kenshin, visto che la ama. Sicuri che la andrà a cercare, i ninja ingaggiati per eliminarlo gli tendono una trappola.
In una battaglia epica e senza esclusione di colpi, al limite delle sue forze, Kenshin arriva da Tomoe. Lo scontro per lui volge al peggio e pare non ci sia niente da fare per evitare la fine. Ma pure Tomoe si è innamorata di lui: tormentata dal senso di colpa di essere la causa della morte di Kyosato (è per lei che lui ha deciso di fare la guardia del corpo) e di aver tradito il suo ricordo innamorandosi del nemico, straziata dal vedere Kenshin star per soccombere, si getta in mezzo allo scontro facendo da scudo con il proprio corpo al giovane e impedendo che il ninja lo pugnali mortalmente. Kenshin, stremato dagli scontri, non si accorge che lei si è intromessa e oltre a trapassare il nemico, trafigge anche la povera Tomoe. Dilaniato dal dolore, tiene l’amata tra le braccia mentre sta morendo, con lei che in un ultimo gesto fa un taglio sulla cicatrice che già aveva sulla guancia, andando a formare la ferita a forma di croce che tanto lo ha reso famoso. Una ferita fatta con amore che va ad annullare l’altra fatta con odio, così che lui non debba più sanguinare per quanto fatto in passato.
Kenshin combatterà ancora per la fazione imperialista, fino al sorgere della nuova era, ma poi si ritirerà, divenendo un samurai vagabondo in cerca di espiazione per tutte le persone che ha ucciso, che lotterà ancora, ma senza uccidere (infatti sarà famoso per brandire una spada dalla lama invertita, col taglio sul dorso).
Kenshin – Memorie del passato è un’opera grandiosa, drammatica, poetica, calata perfettamente in un contesto storico reale (a questo va aggiunto che il protagonista è ispirato alle vicende di un samurai realmente esistito, Kawakami Gensai, assassino imperialista vissuto sotto lo shogunato Tokugawa). Disegnata magnificamente, accompagnata da una musica evocativa, guidata da una regia sapiente, con una caratterizzazione dei personaggi di alto livello, risulta essere una serie matura, toccante, che va a elaborare temi come la caduta delle illusioni e dell’idealismo, la presa di coscienza degli errori commessi, il trovare il senso della vita. Assolutamente da vedere.

Patlabor

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Quando si parla di serie animate sui robottoni, non si pensa subito a Patlabor, bensì a Daitarn 3, Gundam, Evangelion, cartoni dove gli scontri la fanno da padrone e i combattimenti sono al centro dell’attenzione. Non è così per Polizia Mobile Patlabor; naturalmente i robot hanno un ruolo di primo piano nella serie e l’azione non è certo assente, ma il fulcro della storia non è certo affrontare nemici sempre più forti, quanto il vedere come queste gigantesche macchine abbiano influenzato la vita quotidiana delle persone. Proprio questa scelta dà spessore a Patlabor: il vedere come lo sviluppo tecnologico di labor (i robot) ha influito sulla società, il loro utilizzo nei lavori di tutti i giorni quali il costruire edifici o spegnere incendi, la competizione tra le varie compagnie per realizzare Labor sempre più evoluti e conquistare le fette di mercato maggiori, diversificano la serie da altre che l’hanno preceduta e mostrano i robot come macchine di utilizzo quotidiano, senza essere simboli di resistenza o baluardi contro invasori.
PatlaborSe da una parte l’avvento dei labor ha portato innovazione e aiutato l’uomo in certi lavori, dall’altra ha anche creato disoccupazione e una maggiore pericolosità della malavita e di teroristi che ora hanno mezzi più potenti per portare avanti i loro piani; dinanzi a questi scenari, anche le forze di polizia si sono attrezzate ed è sul Secondo Plotone della Seconda Sezione della Veicoli Speciali di Tokyo che s’incentrano le vicende di Patlabor.
Dopo una prima serie oav di sette episodi dove viene mostrata la nascita della Seconda Sezione e viene data un’idea di quale sarà l’impronta della storia che alterna eventi comici ad altri più drammatici per vedere la risposta del pubblico, arriva quella televisiva molto più ampia (47 episodi) e strutturata. Rispetto alla precedente sono rimasti solo alcuni spunti e la storia riparte praticamente da zero, con la Seconda Sezione già istituita e la storia che inizia con l’arrivo di un nuovo membro, Noa Izumi, una ragazza vivace con una gran predilizione per i labor, al punto che chiama Alphonse il suo Ingram, come gli animali domestici che ha avuto. Noa va così a creare il gruppo che accompagnerà per tutte le puntate e farà squadra con Asuma Shinohara, operatore di controllo dell’Ingram che la ragazza guida, figlio del capo dell’importante industria di robot Shinohara e dotato di diversi talenti, e Hiromi Yamazaki, addetto al vettore dell’Ingram e persona mite nonostante l’aspetto imponente. A completare il gruppo c’è l’altro pilota di Ingram, Isao Ota, un patito di armi impulsivo e volto sempre all’attacco, il secondo addetto al vettore Mikiyasu Shinshi, e l’operatrice di controllo Kanuka Clancy, donna di grande capacità che verrà sostituita da Takeo Kumagami dopo i suoi sei mesi d’istanza a Tokyo (tornerà nella polizia di New York). A guidarli c’è il capitano Kiichi Goto, in apparenza apatico e svogliato, ma in realtà molto capace e grande stratega, mentre di supporto alla manutenzione dei mezzi c’è il team di meccanici guidati dall’esperto Seitaroh Sakaki.
Lentamente vengono mostrati i vari aspetti del carattere dei vari personaggi e viene approfondito l’intreccio del mondo d’affari che ruota attorno ai labor, in special modo nella realizzazione del Progetto Babylon e soprattutto con l’arrivo del Griffon, un misterioso e potente labor con tecnologia avanzata che mette in difficoltà non solo le forze di polizia ma anche quelle dell’esercito, il tutto sempre restando nell’ambito del quotidiano, fatto di persone comuni che affrontano piccoli e grandi problemi della vita. Una narrazione che non vede eroi o superuomini ma che mostra gente con pregi e difetti, con le sue piccole ossessioni ma anche piena d’impegno e dedizione per il lavoro che fa.
Al termine della serie televisiva è seguita un’altra serie oav di sedici puntate che va a concludere le vicende viste in precedenza col Grifon, oltre a mostrare la vita quotidiana del plotone quando non è impegnata.
Si ritiene da molti che il successo di Patlabor sia dovuto ai film realizzati dai due film realizzati da Mamoru Oshii (Ghost in the Shell, The Sky Crawlers), ma occorre dare una possibilità anche alle varie serie perché sono una visione godibile, intelligente e capace di far ridere, e perciò da non sottovalutare.

La Casa del Tempo Sospeso

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La Casa del Tempo Sospeso«In questo bellissimo romanzo c’è la magia. Non le pozioni allucinogene e i draghi volanti, ma la magia delle parole che spinge a rileggerlo subito dopo averlo finito…». E’ il commento di Ksenija Rozdestvenskaja presente sulla copertina di La Casa del Tempo Sospeso , il romanzo scritto da Mariam Petrosjan.
Sostanzialmente tendo a diffidare di simili frasi, ma terminata la lettura del libro, mi trovo d’accordo con quanto scritto. L’autrice riesce a suscitare con il suo stile un’atmosfera di sospensione della realtà (anche se di realtà parla) che trasporta all’interno della Casa, avvolgendo il lettore e coinvolgendolo nelle vicende dei ragazzi che vi abitano, facendolo immedesimare ogni volta nel punto di vista di chi sta parlando. La magia è presente, non è solo una parola per attirare lettori con la propensione per il fantastico, ma è qualcosa di sottile e sfuggente, un elemento invisibile di cui s’avverte impercettibilmente la presenza, che è sempre dietro l’angolo, ma non si riesce mai a cogliere fino a quando non è lei a decidere di rivelarsi. Una magia che appartiene alla Casa, la vera protagonista delle vicende del romanzo, dove i ragazzi che vi vivono sono il mezzo per mostrarla al lettore.
La Casa, il vero mondo per quei ragazzi non voluti dalle famiglie, tenuti lontano dai loro occhi perché un fastidio, perché diversi (come piace ai più dire “diversamente abili”) da quella che è considerata la normalità. Quella normalità così alienante che i ragazzi sono terrorizzati a tornarci, che vedono come un incubo, perché è questo per loro l’Esteriorità, il cosiddetto mondo degli adulti, della maturità.
Forse è come dice l’autrice: «I miei protagonisti hanno il mio stesso complesso, non vogliono staccarsi dalla loro infanzia. In fondo il libro parla di questo,; in buona parte, se non del tutto, la loro è la paura di crescere.». Ma c’è anche dell’altro: il rigetto di un mondo brutale dove per crescere si deve sacrificare una parte importante di sé: l’innocenza, la capacità di sognare, di sentirsi vicini ai propri simili. Un mondo fatto di chiusura ed egoismo, dove non c’è comprensione.
Perché nella Casa, anche se ci sono divisioni, lotte, scontri fra gruppi e divergenze di opinioni, ci si aiuta, ci si supporta l’un con l’altro, non si viene lasciati soli, non si è dimenticati; ragazzi che fungono da guida ad altri ragazzi (a dimostrazione di come troppo spesso i giovani sono abbandonati a se stessi), dove gli adulti hanno solo il ruolo di comparse e macchiette che si potrebbero definire comiche se non fossero desolatamente grottesche nel mostrare tutte le mancanze del crescere in una società dura e vuota, tutta la loro assenza di comprensione e conoscenza del mondo dei giovani che gli fa perdere per sempre la loro fiducia (l’unico capace di avvicinarsi a una parvenza di empatia con loro, arrivando a essere considerato quasi un dio, subisce il caro prezzo che comporta la rottura dell’idealizzazione). Un mondo imperfetto, questo è certo, come imperfetti lo sono i ragazzi protagonisti, anche duro e crudele, ma reale, non certo ammantato d’ipocrisia e illusione come lo è l’Esteriorità; un sistema con regole diverse da quelle conosciute, dove niente è casuale, nemmeno i nomi dati nella Casa ai ragazzi (un altro segno di distinzione e distacco dall’Esteriorità): ognuno di essi indica la parte più caratterizzante dei suoi abitanti. Con Sfinge ci si riferisce all’intensità dello sguardo, capace di andare nel profondo dell’animo, quasi di trafiggere; con Lupo al possedere una brama quasi predatoria, spietata, che ottiene quello che vuole senza curarsi degli altri e delle conseguenze; con Strega si indica una ragazza con un equilibrio, una comprensione del prossimo, un discernimento fuori dal comune che molti lo ritengono quasi magico. Questi sono alcuni esempi per capire l’importanza che hanno i nomi di persone e luoghi in questo libro.
Luoghi quelli della Casa, come il Bosco, il Sepolcreto, il Solaio, il Tetto, Il Crocicchio che vedono Lord, Fumatore, Sciacallo, Cieco, Rosso, Macedone e tanti altri intraprendere un viaggio dall’infanzia fino all’età adulta, facendogli scoprire l’amicizia, la fiducia, l’odio, il sesso, la morte; un percorso che proprio in momenti come la Notte delle Storie, la Notte Più Lunga vede rivelata l’essenza della Casa; momenti in cui ogni ragazzo si troverà a fare la propria scelta. Scelte su cui ogni persona s’è soffermata a rifletterci sopra almeno una volta nella vita.
Chi non ha immaginato, o desiderato, che il tempo si soffermasse in un certo momento della propria esistenza e che questo momento durasse per sempre, facendo rimanere immutate le cose.
Chi non ha sognato di partire alla scoperta del mondo, un viaggio dove tutto è solo avventura, dove non si hanno né legami né pensieri, non si deve niente a nessuno: un vivere il momento presente senza preoccuparsi del futuro, di quello che verrà, un cercare una strada senza sapere quale essa sia, ma che farà costruire qualcosa di nuovo.
Pensieri che difficilmente s’ammettono per timore d’essere tacciati d’immaturità o anche di vigliaccheria, ma si è davvero certi che se da giovani si avesse la possibilità di vedere se stessi adulti, si avrebbe un’immagine di sé piacente? La si accetterebbe o la si rigetterebbe con raccapriccio?
Troppo spesso quello che si era viene perduto, ci si allontana in una maniera che si diventa irriconoscibili, persino ai propri occhi. E quei legami che si ritenevano così forti, capaci di durare in eterno, non sono che vecchie foto che spesso non si vuol più vedere perché ricordano troppo ciò che si è lasciato andare.
In fondo, è così sbagliato non voler perdere una parte di sé che si ritiene importante, preziosa? Voler restare, o tornare, in quel posto che si chiama casa? Quel posto dove ci si sente accettati, dove si avverte un calore sempre presente, un calore che nessun tempo potrà raffreddare perché è senza tempo. Sottile, difficile da scovare, quasi inesistente se non per chi sa cercare; un po’ come la magia che scivola nelle pagine di La Casa del Tempo Sospeso: un soffio leggero che si può quasi afferrare, ma che è elusivo e non si fa mai scoprire del tutto per non perdere quel potere di cui è impregnato.

(questa recensione su La Casa del Tempo Sopseso era stata scritta e pubblicata anni fa per Fantasy Magazine, ma ho deciso di riproporla perché si tratta di un libro che merita di essere letto).

Somali e lo spirito della foresta

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Somali e lo spirito della foresta volume 1Somali e lo spirito della foresta è un manga di Yako Gureishi iniziato nel 2015 e attualmente in corso con sei volumi pubblicati (di cui cinque tradotti in italiano). Il genere è fantasy e la storia risulta abbastanza semplice: un golem, che è protettore di una foresta sacra, trova una piccola umana incatenata e la libera, prendendola sotto la sua ala protettrice. La fa vestire con un cappuccio con delle finte corna, per farla spacciare come cucciolo di minotauro, in modo che gli Altraforma (animali strani e parlanti) non riconoscano la sua vera natura. Il motivo è molto semplice: in passato umani e Altraforma vivevano in pace ma poi scoppiò un conflitto, pare scatenato dagli umani, che vide questi ultimi sconfitti. In seguito a ciò, gli umani vennero cacciati e braccati, il più delle volte per essere mangiati.
Il golem, ormai al termine dei suoi mille anni di esistenza, parte con lei in un lungo viaggio per riportarla dai membri della sua specie. Un viaggio difficile perché non solo dovrà proteggerla da insidie e nemici, ma perché dovrà farle anche da padre e dovrà imparare un ruolo di cui non sa nulla, trovandosi costretto a sviluppare un’individualità lui che, come i suoi simili, non possiede. Nel loro lungo peregrinare incontreranno (ci si riferisce ai quattro volumi letti per la recensione) un vecchio che vive nella foresta in compagnia solo di uccellini per non essere preso dagli Altraforma, un demone che fa il medico e l’assistente che si occupa di lui, un villaggio di streghSomali e lo spirito della foresta volume 2e bibliotecarie dove trovare indizi per trovare gli esseri umani, una simpatica famigliola di ristoratori, un essere umano che si accompagna a una piccola arpia, una tribù che vive in una foresta bruciata.
Somali e lo spirito della foresta è una storia di crescita, un percorso iniziatico che vedrà maturare non solo la piccola Somali ma anche il golem attraverso le conoscenze che fanno nel loro viaggio, le storie che apprendono dagli altri personaggi; storie raccontate con leggerezza ma permeate spesso di solitudine, sofferenza, perdita, paura. Un manga che affronta la paura del diverso, che spinge alla comprensione e alla conoscenza come unici mezzi per vincere i conflitti con chi non è della stessa specie; niente che non sia già stato visto. La narrazione è lenta ma piacevole, delicata, ma non si deve pensare che sia una storia per bambini, visti i temi trattati e la cruenza di certe scene mostrate; benché ben narrato, al manga manca quel qualcosa in più per fare presa sul lettore, per colpirlo e coinvolgerlo completamente.
Sotto l’aspetto visivo Somali e lo spirito della foresta è qualcosa di notevole: ogni tavola è curata e piena di dettagli ai massimi livelli, il tratto preciso e ricco, curato nei minimi dettagli (siamo ai livelli degli ultimi numeri di Berserk di Kentaro Miura), facendo della grafica il punto di forza del manga.