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Carotino e l'arcobaleno

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Carotino era un piccolo unicorno che era nato con il corno arancione anziché bianco avorio e, vista la somiglianza di colore con il cibo preferito dagli unicorni, le carote appunto, i genitori avevano deciso di dargli quel nome. Lo avevano fatto con affetto e tutte le buone intenzioni del mondo, ma purtroppo non avevano tenuto conto che i piccoli unicorni potevano essere dispettosi alle volte: infatti, gli amici di Carotino lo prendevano in giro sia per il nome sia per il corno di colore diverso, facendo battutine che non erano degne della nobiltà d’animo di cui gli unicorni erano così famosi. Crescendo Carotino diede meno peso alle frecciatine degli amici, anche se alle volte desiderava essere come tutti gli altri.
Un giorno se ne stava a pascolare tranquillamente quando sentì gli amici nitrire divertiti.
«Cos’avete?» domandò confuso.
«Carotino è diventato rosellino» dissero gli amici che ormai si stavano rotolando per terra dal ridere come cinghiali nel fango.
Carotino si guardò addosso e vide che avevano ragione: era diventato tutto rosa. Anzi, era diventata rosa anche l’erba su cui posava gli zoccoli.
Alzò gli occhi e vide che quanto gli era successo era merito di un arcobaleno che passava da quelle parti dopo che c’era stato il temporale.
Carotino tirò un sospiro di sollievo, pensando che una volta allontanatosi l’arcobaleno il suo manto sarebbe tornato come prima. Le cose però non andarono così: Carotino rimase rosa anche dopo che l’arcobaleno si era mosso.
«Ehi, aspetta!» chiamò con forza Carotino. «Hai perso un po’ di colore, riprenditelo!»
Ma l’arcobaleno, che già di natura era un po’ distratto, si era appisolato mentre si spostava e non poteva sentirlo.
Carotino lo inseguì, ma per quanto galoppasse veloce non riuscì a raggiungerlo e lo perse di vista quando sparì dietro una montagna; quando riuscì ad aggirarla, dell’arcobaleno non c’era nessuna traccia.
«E adesso come faccio a ritrovarlo?» esclamò Carotino.
«Devi solo aspettare il prossimo temporale» disse un gufo che se ne stava appollaiato sul ramo di una quercia. «Una volta passato, quando ricomparirà il sole, vedrai l’arcobaleno tornare.»
«Dove vado a trovare un temporale? Possono passare giorni prima che arrivi» disse sconsolato Carotino.
Il gufo sollevò un’ala. «Non questa volta: là ce n’è uno in arrivo.» Indicò verso sud. «Se ti sbrighi, riuscirai a incontrare di nuovo il tuo arcobaleno.»
«Grazie!» disse Carotino partendo al galoppo. Veloce come il vento raggiunse il temporale proprio mentre stava per far cominciare a piovere; si rifugiò in una grotta per non bagnarsi, attendendo con trepidazione lo spuntare di nuovo del sole.
Poco dopo fu raggiunto da un’unicorna che aveva la sua stessa età, anche lei venuta alla grotta per proteggersi dalla pioggia. “Quant’è carina” pensò.
«Ciao» disse lei.
«Ciao» rispose Carotino, sentendosi sempre più a disagio mentre lei lo guardava.
«Sai, non ho mai visto un unicorno come te.»
Carotino si sentì sprofondare. “Ecco che comincia a prendermi in giro.”
«Il colore del tuo mantello è davvero bello, piacerebbe anche a me averlo così» continuò l’unicorna.
«Davvero?» chiese stupito Carotino.
«Sì» disse sincera lei. «E anche il tuo corno è uno spettacolo: è bello vedere qualcosa di diverso, tutto quel bianco stanca.»
Mentre stavano parlando, il temporale passò e il sole ritornò a splendere in cielo; come aveva detto il gufo, l’arcobaleno ricomparve e stava ancora sonnecchiando.
Sentendo le parole dell’unicorna a Carotino era passata l’idea di chiedere all’arcobaleno di riprendere il colore che aveva perduto.
«Beh, il corno ce l’ho così fin dalla nascita, ma il manto mi si è colorato poco fa grazie a quell’arcobaleno: è passato su di me e sono diventato come vedi.»
L’unicorna sorrise estasiata. «E pensi che farebbe lo stesso anche con me?»
«Con me non se n’è neanche accorto: ha tanti di quei colori che non farà caso di perderne un altro po’» disse Carotino.
«Allora lo faccio!» disse l’unicorna partendo al galoppo.
Quando quella sera Carotino tornò alla sua radura, gli amici lo stavano aspettando per prenderlo in giro, ma vedendolo in compagnia dell’unicorna più carina che avessero visto, e per giunta con il manto di colore azzurro, ogni battutina gli si smorzò in gola.
Da allora Carotino non fu più preso in giro e ogni volta che gli amici vedevano un arcobaleno gli correvano dietro per diventare come lui.

Carotino e l’arcobaleno è un racconto che ho scritto per Piccoli Grandi Sognatori; alla seguente pagina è possibile vedere il video che è stato realizzato.

L'amore tiene a freno la paura e l'odio

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Estratto da Il vero psichiatra. AmoreNel mondo d’oggi, le psicologie razziali, l’esclusivismo dei gruppi e le filosofie politiche dividono gli uomini in campi ostili. I loro membri si sentono costantemente minacciati. Carichi d’odio, credono che la risposta alle loro paure risieda nell’imporre le loro ideologie al resto del globo, conquistando e governando, se necessario, perfino con la guerra.
L’uomo normale si rifiuterà di lasciarsi contaminare dalle paure e dagli odi di un altro individuo, o della società. Colui che ha imparato ad apprezzare la vita per la vita, ne affronterà le imperfezioni senza abbandonarsi alla disperazione.
Il saggio sa che non può arrestare la pioggia, ma che può mettersi al riparo; così, non può fare a meno di riconoscere che, insieme col bello e col buono, l’odio, la corruzione, le ipocrisie e il cinismo abbondano nella nostra società. Comprende che non sta a lui arrestare le guerre già avviate, ma che è in suo potere proteggere la propria serenità da coloro che vorrebbero imporgli il cinismo, e diffondere intorno la propria parte di buona volontà.

Il vero psichiatra, pag. 240-241. Franka Caprio. Longanesi & C., 1966.

L'odio in relazione alla paura

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Estratto su odio da Il vero psichiatraNon potremo sperare di comprendere e controllare l’odio finché non avremo imparato a comprendere e controllare la paura. La gente odia perché si sente malsicura. La persona più atta a odiare è quella che alberga sentimenti d’inferiorità. È frustrata, ansiosa, sospettosa, paurosa. Coloro i quali odiano procedono nella vita a pugni stretti; sono sempre sulla difensiva, sul chi va là. È più che certo che sono stati esposti da bambini a complessi d’odio. Sono condizionati a odiare e in molti casi non fanno che imitare le reazioni d’odio dei genitori. Gli uomini odiano quando sono stati privati, e lo sono ancora, dell’amore a cui aspiravano e di cui hanno bisogno. Si sentono isolati. Nutrono la triste illusione che per sopravvivere devono odiare. Sono incoraggiati nelle loro convinzioni dalla cinica filosofia che questo è un mondo in cui tutti si divorano a vicenda, in cui ognuno è egoista e disonesto, e che l’unico modo per tirare avanti in un mondo simile è di continuare a combattere e a odiare. La vita diventa per loro un circolo vizioso d’insicurezza che conduce all’odio, e d’odio che conduce a una più grave insicurezza. Ogni giorno diventa una lotta per sopravvivere; sopravvivere, non importa come, diventa un’ossessione. Essi comprendono la tragedia di questo errato modo di ragionare quando la loro cinica filosofia della vita esplode prematuramente. Purtroppo apprendono con dolorose esperienze che l’odio frutta soltanto odio, e che il rancore e la vendetta sono vani.
La guerra, per esempio, è il risultato ultimo di un’epidemia di odio.
Concludendo, la gente odia perché teme. Ha paura della morte, di Dio, dei propri simili, e (più terribile di tutto!) ha paura della paura.

Il vero psichiatra, pag. 199. Franka Caprio. Longanesi & C., 1966.

Carrie di Stephen King

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CarrieCarrie, il romanzo di Stephen King, potrebbe essere riassunto con una frase di Clint Eastwood tratta da Gran Torino: “Avete mai fatto caso che ogni tanto si incrocia qualcuno che non va fatto incazzare?” Questo è quanto succede agli studenti di un liceo americano dopo aver fatto l’ennesimo scherzo alla ragazza più presa di mira della scuola, non avendo fatto i conti che la vittima in questione possiede grandi poteri di telecinesi: la goccia fa traboccare il vaso e tutto il potere finora tenuto sotto controllo si scatena dando vita all’inferno in terra e causando una strage di centinaia di persone nella distruzione della piccola cittadina dove si volgono i fatti.
Raccontato così, il romanzo pare abbastanza limitato, quando invece è vero il contrario: nonostante sia un volume abbastanza breve (neanche duecento pagine, un niente in confronto a certi altri tomi dell’autore), il libro è denso, con King che è diretto, sintetico, che non si dilunga ma va dritto al punto. Carrie è un libro che denuncia il bullismo, mostra la sua crudeltà e insensibilità, dove i ragazzi rivelano tutta la loro brutalità, incoscienza e stupidità, vivendo un’età in cui è difficile provare empatia, mettersi nei panni dell’altro: si agisce senza pensare, senza soffermarsi al fatto che ogni azione ha una reazione, sia nel bene sia nel male. Se le compagne non avessero preso in giro Carrie per il suo primo ciclo mestruale, se non si fossero accanite contro la più debole del gruppo, niente sarebbe successo; occorre però andare a ritroso per capire lo scoppio di tanta violenza, perché difficilmente un singolo evento può essere così traumatico. Ma se si sommano anni di angherie, venendo sempre considerati una merda, è inevitabile non arrivare a uno scoppio. Carrie è sempre stata considerata il peggio del peggio, pagando per le scelte della madre, che con il suo fanatismo religioso l’ha messa in condizione di essere considerata una diversa, qualcosa da evitare e schifare. Sempre bistrattata, presa in giro, senza nessuno che la trattasse come un essere umano con dei sentimenti, in Carrie a un certo punto si è rotto qualcosa e tutto quello che aveva tenuto a freno si è scatenato.
Qui siamo in un racconto fantastico, ma il potere telecinetico ben rappresenta quello che provano le vittime del bullismo e che alle volte a un certo punto sboccia e fa scatenare qualcosa di poco piacevole; quando questo accade, occorre farsi delle domande e cercare di comprendere come si è arrivato a tanto. Le cause di quanto è accaduto spesso sono riconducibili agli ambienti che si frequentano: spesso ai figli si fanno pagare le colpe e i comportamenti dei genitori, senza riflettere che non è automatico che i figli siano come li ha messi al mondo. Molti adulti non pensano a come i loro comportamenti possono rispecchiarsi nell’esistenza di coloro cui hanno dato la vita: così la madre di Carrie con i suoi isterismi e le sue ossessioni rende la figlia un’emarginata, un facile bersaglio per gli altri ragazzi su cui scaricare cattiveria e frustrazioni e provare quel meschino potere che è il fare del male a un altro.
Aspettative e sogni frustrati, soprusi, umiliazioni, una mancanza di comprensione disperante, hanno portato una ragazza che voleva solo essere lasciata in pace e vivere semplicemente la sua età come tante altre coetanee ad andare oltre il proprio punto di rottura. Nonostante sia stato realizzato nel 1984, Carrie è un romanzo sempre attuale, che in tanti dovrebbero leggere.

Il monopattino

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Era una domenica pomeriggio e Roberto si annoiava: tutti i suoi amici erano partiti per le ferie e per giunta era venuta a mancare la corrente e non poteva usare la console. Papà era impegnato a leggere un libro, mamma a curare il giardino e non avevano tempo per giocare con lui.
Stanco di starsene chiuso in casa senza far niente, Roberto uscì per una passeggiata in paese, dove quel giorno si teneva il mercatino dell’usato. Gironzolò da una bancarella all’altra, dando occhiate svogliate qua e là, ma non c’era niente d’interessante: solo vestiti, vettovaglie e cianfrusaglie varie.
All’inizio aveva sperato d’incontrare qualche suo coetaneo per andare a fare qualche tiro al campo di calcetto, ma c’erano soltanto anziani e genitori con bambini troppo piccoli per giocare.
Stava per tornarsene a casa quando dietro una bancarella di macinini da caffè e teiere dalle forme più strane vide un monopattino appoggiato a un muretto: era un vecchio modello, eppure la vernice brillava al sole come se fosse stata appena data.
«Hai occhio giovanotto, è uno dei miei pezzi migliori.»
La voce fece sobbalzare Roberto: preso com’era dal guardare il monopattino, non si era accorto dell’anziano che stava seduto dietro la bancarella.
«Mi ha portato in ogni luogo sia voluto andare e non mi ha mai lasciato a piedi» continuò orgoglioso l’anziano.
«E perché lo vende allora?» chiese d’impulso Roberto.
«Quando si arriva alla mia età gli acciacchi si fanno sentire e si capisce che il tempo delle avventure è finito.» L’anziano sospirò. «Però ho così tanti ricordi che non mi annoio neanche a star fermo tutto il giorno. Meglio di Netflix» sorrise compiaciuto.
«Ah» fu tutto quello che riuscì a dire Roberto.
L’anziano socchiuse gli occhi mentre lo squadrava. «Mi sembri un ragazzo con tanto tempo a disposizione, così tanto che non sai come impiegarlo.»
Roberto rimase così sorpreso che non seppe cosa rispondere.
L’anziano posò un attimo lo sguardo sul monopattino e poi lo riportò su di lui. «Sarebbe un peccato se restasse a prendere polvere in cantina… quanti soldi hai in tasca?»
Roberto ci guardò e trovò solo il resto del gelato comprato il giorno prima. «Cinquanta centesimi.»
«Venduto!» L’anziano si tirò su in piedi dopo aver dato una manata a un ginocchio e andò a prendere il monopattino. «A una condizione» disse prima di consegnarglielo. «Non devi porre limiti alla tua fantasia.»
«Va bene.»
“Che strano vecchietto” pensò Roberto mentre si allontanava. “Chissà cosa avrà voluto dire.”
Quando la folla fu distante, salì sul monopattino per provarlo: filava che era una meraviglia. Mentre avanzava lungo il marciapiede, osservava le poche auto che passavano per la strada. “Sono andati quasi tutti al mare” pensò tristemente. “Piacerebbe anche a me fare lo stesso.”
Svoltò l’incrocio ed ecco che davanti ai suoi occhi il mare comparve. I gabbiani volavano sulla spiaggia, un bastimento rosso solcava le onde.
«Uao!» esclamò mentre con il monopattino filava veloce lungo la discesa. Come un razzo passò accanto a una panchina dove c’era un bambino con i capelli neri che fece appena tempo a scorgerlo passare.
Vide una stradina secondaria che si diramava da quella principale e decise d’imboccarla. Percorse qualche decina di metri, l’asfalto lasciò il posto al ghiaino: Roberto si spaventò, temendo che sarebbe caduto per terra, ma il monopattino proseguì senza nemmeno uno scossone, portandolo nei pressi di alcune grotte lambite dalle onde del mare. Già s’immaginava a esplorarle e a trovare i tesori perduti dai pirati quando un rombo giunse dalla profondità di una di esse; pochi secondi dopo la testa di un grosso drago dalle scaglie color bronzo fece capolino da dietro una roccia.
Il grande animale fissò Roberto, poi scosse il testone, mettendosi a brontolare prima di spiccare il volo.
Roberto fu sollevato nel vederlo allontanarsi. “Meno male, credevo volesse mangiarmi” pensò.
Ma il drago non si era allontanato troppo: girava in tondo sopra il mare e soffiava nuvole fuori dalla sua grande bocca. Presto il cielo fu oscurato dalle nubi: fulmini cadevano in mezzo al mare mentre chicchi di grandine grossi come noccioline cominciarono a colpire in testa Roberto. In tutta fretta si rifugiò in una delle grotte, lontano da quella del drago per non farlo arrabbiare ancora di più.
Era appena entrato che un animale simile a un cavalluccio marino, ma con le ali e più grosso, prese a starnazzare contro di lui.
«Mi scusi, non volevo disturbarla, stavo solo cercando un riparo contro la grandine» cercò di spiegare Roberto.
L’animale però non volle sentir ragioni: prese a sparargli dal suo becco a trombetta delle dure palline arancioni.
Roberto tornò a uscire dalla grotta e le cose andarono di male in peggio: il drago si era messo a girare in tondo ancora più velocemente, creando una gigantesca tromba d’aria che si faceva sempre più vicina.
“Avessi le ali come il drago, potrei volare via” pensò impaurito Roberto.
Come per magia si ritrovò a fluttuare nell’aria, il monopattino che lo portava sempre più in alto. Roberto strabuzzò gli occhi passando accanto a uno strano razzo verde e giallo e vedendo le stelle farsi sempre più grandi e luccicanti. Stava già fantasticando dei mondi che avrebbe scoperto che la sveglia del suo orologio cominciò a suonare: era ora di cena.
“Meglio che torni a casa, se tardo mamma e papà poi mi sgridano.”
In men che non si dica si ritrovò nel suo giardino. Mise il monopattino in garage e salì le scale di corsa. “Chissà quali avventure mi aspetteranno domani” pensò trepidante.

Il monopattino è un racconto che ho scritto per Piccoli Grandi Sognatori; alla seguente pagina è possibile vedere il video che è stato realizzato.