Carrie, il romanzo di Stephen King, potrebbe essere riassunto con una frase di Clint Eastwood tratta da Gran Torino: “Avete mai fatto caso che ogni tanto si incrocia qualcuno che non va fatto incazzare?” Questo è quanto succede agli studenti di un liceo americano dopo aver fatto l’ennesimo scherzo alla ragazza più presa di mira della scuola, non avendo fatto i conti che la vittima in questione possiede grandi poteri di telecinesi: la goccia fa traboccare il vaso e tutto il potere finora tenuto sotto controllo si scatena dando vita all’inferno in terra e causando una strage di centinaia di persone nella distruzione della piccola cittadina dove si volgono i fatti.
Raccontato così, il romanzo pare abbastanza limitato, quando invece è vero il contrario: nonostante sia un volume abbastanza breve (neanche duecento pagine, un niente in confronto a certi altri tomi dell’autore), il libro è denso, con King che è diretto, sintetico, che non si dilunga ma va dritto al punto. Carrie è un libro che denuncia il bullismo, mostra la sua crudeltà e insensibilità, dove i ragazzi rivelano tutta la loro brutalità, incoscienza e stupidità, vivendo un’età in cui è difficile provare empatia, mettersi nei panni dell’altro: si agisce senza pensare, senza soffermarsi al fatto che ogni azione ha una reazione, sia nel bene sia nel male. Se le compagne non avessero preso in giro Carrie per il suo primo ciclo mestruale, se non si fossero accanite contro la più debole del gruppo, niente sarebbe successo; occorre però andare a ritroso per capire lo scoppio di tanta violenza, perché difficilmente un singolo evento può essere così traumatico. Ma se si sommano anni di angherie, venendo sempre considerati una merda, è inevitabile non arrivare a uno scoppio. Carrie è sempre stata considerata il peggio del peggio, pagando per le scelte della madre, che con il suo fanatismo religioso l’ha messa in condizione di essere considerata una diversa, qualcosa da evitare e schifare. Sempre bistrattata, presa in giro, senza nessuno che la trattasse come un essere umano con dei sentimenti, in Carrie a un certo punto si è rotto qualcosa e tutto quello che aveva tenuto a freno si è scatenato.
Qui siamo in un racconto fantastico, ma il potere telecinetico ben rappresenta quello che provano le vittime del bullismo e che alle volte a un certo punto sboccia e fa scatenare qualcosa di poco piacevole; quando questo accade, occorre farsi delle domande e cercare di comprendere come si è arrivato a tanto. Le cause di quanto è accaduto spesso sono riconducibili agli ambienti che si frequentano: spesso ai figli si fanno pagare le colpe e i comportamenti dei genitori, senza riflettere che non è automatico che i figli siano come li ha messi al mondo. Molti adulti non pensano a come i loro comportamenti possono rispecchiarsi nell’esistenza di coloro cui hanno dato la vita: così la madre di Carrie con i suoi isterismi e le sue ossessioni rende la figlia un’emarginata, un facile bersaglio per gli altri ragazzi su cui scaricare cattiveria e frustrazioni e provare quel meschino potere che è il fare del male a un altro.
Aspettative e sogni frustrati, soprusi, umiliazioni, una mancanza di comprensione disperante, hanno portato una ragazza che voleva solo essere lasciata in pace e vivere semplicemente la sua età come tante altre coetanee ad andare oltre il proprio punto di rottura. Nonostante sia stato realizzato nel 1984, Carrie è un romanzo sempre attuale, che in tanti dovrebbero leggere.
Di King ho letto poco, anzi pochissimo, qui la tematica è interessante, certe dinamiche di gruppo sono così semplici da capire… quando le osservi da fuori. Un po’ meno quando ci sei dentro.
Vero, si capiscono meglio da esterni: è uno degli aspetti che viene affrontato nel romanzo.