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365 Storie d'Amore

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365 Storie d'AmoreCome riporta l’articolo su Fantasy Magazine, dal 14 febbraio arriverà nelle librerie la raccolta di racconti 365 Storie d’Amore, ma per chi volesse è possibile prenotarla sul DelosStore.
Ogni giorno presenta un racconto, un modo di vedere e parlare dell’amore, presentando ogni suo aspetto, ogni suo lato: dolce, amaro, accogliente, tagliente, piacevole, doloroso, accolto, respinto, tradito, ritrovato.
365 persone che hanno dato il loro contributo per dare forma a questa creazione.
Tra di esse ci sono pure io con il racconto Amore senza tempo, presente nell’antologia nel giorno 16 di aprile: per chi volesse, ecco l’incipit di quanto ho scritto.
A chi lo acquisterà, non mi resta che augurare buona lettura.

L’Ultimo Potere – Secondo Atto – XXII Luci e ombre (parte 4)

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Una pioggia d’argilla si riversò nella sala quando le prime fila furono raggiunte dall’ondata di Potere. Nuove statue sorsero pronte a combattere da ogni schizzo arrivato a terra.
Guerriero scagliò un’onda d’urto che schiacciò le creature, fendendo la schiera come burro, come un profeta che separava le acque. Ma come se il profeta fosse già passato, le schiere si chiusero nuovamente, compattandosi all’istante.
Ogni colpo scagliato contro l’intrico di braccia protese era un mantenere la posizione, uno stallo che non faceva andare da nessuna parte. Un equilibrio che non sarebbe potuto durare a lungo.
Due falci d’energia saettarono nell’aria, affettando una colonna in due punti. Il gigantesco pezzo d’argilla crollò al suolo, piegandosi ma non spezzandosi, schiacciando statue come mosche.
Guerriero e Ombrosa corsero sulla rampa creata, eludendo l’accerchiamento.
Le creature d’argilla sciamarono al loro inseguimento, grigie cavallette che si muovevano come una sola cosa. Guerriero fece comparire una barriera di lame energetiche alle sue spalle che affettò gli inseguitori, guadagnando secondi preziosi.
Senza più ostacoli, corsero a rotta di collo verso l’uscita.
Le statue s’inabissarono nel pavimento alle loro spalle solo per riemergere davanti a loro, come funghi che crescevano a velocità straordinaria.
L’istinto fece evitare a Guerriero il colpo dal basso che stava per centrarlo alle gambe. Ma non bastò a scansare il pugno della creatura apparsa a poche spanne di distanza.
Sbalzato all’indietro, Guerriero inarcò le reni nella caduta, convogliando il Potere nelle braccia per attutire l’impatto con il terreno e mantenersi in equilibrio su di esse. Mulinando le gambe come eliche, scatenò un vortice di lame azzurre che decapitò gli aggressori gettatisi su di lui.
Un’ulteriore torsione dei reni lo portò a ritornare sulle gambe, accucciato come una fiera pronta a ripartire all’attacco. Le mani guizzarono in avanti, scatenando una raffica di proiettili infiammati in un attacco simile a quello che aveva visto utilizzare da Ombrosa nella lotta contro Veleno.
Le creature ebbero uno spasmo mentre si seccavano, rimanendo pietrificate nell’ultima azione che stavano compiendo.
Guerriero sorrise crudelmente.
Ecco il punto debole che cercava. L’argilla non era forse un componente della terracotta? E il calore del fuoco non modificava il molle impasto, rendendolo un materiale duro, ma allo stesso fragile?
Un’onda d’urto e le statue essiccate andarono in mille pezzi.
E non si rialzarono più.
«Vediamo ora come la metti.» Mormorò compiaciuto.
Il grido piangente e stizzito riecheggiò tra le pareti della volta. I due umani si sostennero a vicenda cercando di mantenere l’equilibrio.
Il pavimento si gonfiò come se fosse un pallone di gomma. Scosse elastiche si propagarono da ogni angolo della grotta, scontrandosi e rimbalzando come se la terra si fosse mutata in un mare in tempesta, dirigendosi verso il medesimo punto. Come tante serpi che s’aggrovigliavano spinte dagli ormoni dell’accoppiamento, grumi d’argilla s’accavallarono fino ad amalgamarsi in una massa che si espandeva senza posa.
Una testa simile a un uovo emerse dall’impasto che prendeva forma: un capo lucido, privo di lineamenti, con un unico gigantesco occhio che sprigionava odio dalla pupilla dilatata.
Membra si formarono, forme di muscoli guizzarono.
Il mare d’argilla in burrasca si chetò, restando in fremente attesa.
Guerriero e Ombrosa indietreggiarono involontariamente.
Il ciclope li fissò come un adulto che si ritrovava davanti i propri balocchi dell’infanzia e decideva che era tempo di disfarsene.
Falci d’energia saettarono contro la montagna vivente che avanzava.
Il gigante se li scrollò di dosso, la pelle argillosa segnata da insignificanti graffi che venivano assorbiti all’istante.
Guerriero sprigionò una fiammata che avvolse la creatura in una sfera rovente.
Il ciclope uscì dall’inferno di fiamme, l’argilla della superficie crepata e accartocciata in sfoglie che si sfaldavano nell’aria come cenere. La pelle grigia si riformò all’istante, liscia e lucida come se niente fosse.
La creatura aprì le braccia verso l’esterno, reclinando il capo all’indietro.
«A terra!» Urlò Guerriero, afferrando Ombrosa per le spalle e gettandola al suolo.
Una scarica di palle d’argilla saettò sulle loro teste, bucando i pilastri alle loro spalle.
“Ha copiato l’attacco che ho effettuato prima.” Sconvolto, Guerriero vide i fori lasciati dai colpi evitati di un soffio.
Il ciclope si mise di nuovo in posizione per colpire.
Guerriero levò una barriera, pronto a ricevere l’assalto.
Percepì qualcosa di grosso che saettava di lato e il movimento del ciclope che veniva sbalzato lontano. Uno schianto acquoso e la creatura monoculare si ritrovò ad annaspare al suolo, impalata da una colonna di cemento.
Cemento.
Non c’era nulla di cemento nella dimensione in cui erano finiti. Tutto era stato mutato in argilla. Questo significava…
Dallo squarcio aperto nel gigantesco muro d’argilla, una figura avanzava tenendo imbracciata sulle spalle una colonna identica a quella che aveva centrato il ciclope. Una folta peluria nera usciva dagli strappi degli abiti logori e sgualciti.
“Nessun essere umano può sollevare un peso del genere.” Pensò Guerriero cercando di scrollarsi di dosso lo stupore e di reagire. “Questo significa…”
La figura si voltò.
«Cerca il creatore.»
Guerriero si ritrovò bloccato, incapace di reagire.
Che cosa ci faceva in quel luogo il Necrofago?
«Cerca il creatore.» Ripeté il Demone.
«Che cosa?» Mormorò stranito Guerriero.
«Se vuoi sconfiggere la creatura, trova il creatore.» Negli occhi luccicanti di follia del Necrofago bruciava una fiammante lucidità. Posò lo sguardo sul ciclope che stava scivolando attraverso la trave che l’aveva impalato per liberarsi.
«Come faccio a trovarlo?» Guerriero Chiese con fare pressante.
Il Necrofago non gli stava più prestando attenzione, cominciando ad avviarsi verso la creatura che si era rimessa in piedi. «C’è sempre un filo che lega creatura e creatore.»
Guerriero non seppe se essere più stupito per le parole del Demone o per quello che aveva sotto gli occhi.
Un essere che avrebbe dovuto combattere lo stava aiutando, affrontando il suo avversario con un pilone usato per costruire palazzi come spranga; un oggetto troppo grande, troppo grezzo per essere maneggiato con tanta facilità. Solo un folle avrebbe potuto sognare una scena simile.
Ma lui la vedeva e pertanto sapeva che era reale. Che fosse divenuto folle pure lui? Che quanto vedeva non fosse che un delirio della sua mente, infine crollata sotto il peso degli orrori vissuti?
Nel Necrofago c’era follia, lo aveva detto Maestro e l’aveva costatato lui stesso guardandolo in volto; un miscuglio d’Ossessioni e Vizi che avevano scatenato l’instabilità mentale e fatto sorgere un essere di puro male.
Quello che stava accadendo non aveva senso.
I Demoni cacciavano gli umani. Gli umani si difendevano dai Demoni.
Perché tutto quello allora? Perché?
Il pilone calò sulla spalla del ciclope, affondando con facilità.
Il braccio d’argilla cadde al suolo, liquefacendosi e ricongiungendosi con il resto del corpo. Un nuovo arto si riformò dove il vecchio era stato amputato.
Ogni colpo mutilava la creatura gigantesca.
Ogni volta il ciclope si rigenerava.
Esterrefatto Guerriero fissò il mulinello di colpi.
«Sputi sulla fortuna?» La voce di Ombrosa lo fece trasalire. «Approfitta dell’attimo!»
Una sferzata lo riportò di nuovo con i piedi per terra.
Nonostante gli assalti che portava, il Necrofago non riusciva ad avere la meglio sul ciclope. La battaglia poteva giungere a conclusione solo in un modo: doveva trovare il filo che collegava creatore e creatura.
L’argilla.
Ma l’argilla era dappertutto e così poteva essere chi stava lavorando nell’ombra.
Come poteva individuarlo?
L’argilla apparteneva alla terra: chi stava muovendo le fila di quella dimensione era al suo interno?
Cominciò a ricercare lungo la superficie del pavimento.
Alle spalle del ciclope scorse una pulsazione.
Serrò gli occhi per focalizzare meglio l’immagine.
La pulsazione si ripeté con maggiore chiarezza.
Aveva visto il filo. Era come se una grossa giugulare scorresse sotto l’argilla, arrivando fino al ciclope: un cordone ombelicale che dava vita alla creatura. Il Potere lo seguì, deflagrando con forza e sventrando un punto della parete occidentale.
In una pioggia di polvere e detriti, una creatura ruzzolò fuori del rifugio in cui era rimasta nascosta per tutto quel tempo.
Guerriero levò il braccio per far partire un altro colpo.
Sentì una mano posarsi sulla spalla e premere.
Guerriero si fermò vedendo lo sguardo stanco di Ombrosa, il silenzio improvvisamente calato sull’area.
Il combattimento era finito.
Il ciclope era una massa informe e inerme.
Il Necrofago lo fissava con il pilone poggiato su una spalla.
Perché aveva l’impressione che il Demone avesse la stessa espressione di Ombrosa? Non era possibile, era qualcosa di…
Ma la verità gli stava davanti limpida come acqua di sorgente.
Perché c’era tristezza e malinconica compassione? Perché?
I suoi occhi s’abbassarono a guardare il suolo.
E allora seppe.
Un corpo rachitico, bianco come un verme se ne stava rannicchiato in mezzo ai detriti. Membra simili a bacchetti erano strette attorno a un torace dove si potevano contare le ossa. Scapole sporgenti risaltavano sulla schiena curva come un uncino.
Un orrido volto sollevò lo sguardo su di lui. Lineamenti sgraziati, cranio lucido e spelacchiato, profondi occhi viola.
Occhi colmi di paura.
Occhi di bambino.
«Che cosa…»
«Un Mezzodemone.» Mormorò tristemente Ombrosa, facendo scivolare la propria mano sulla sua chiusa a pugno. Le dita sottili la dischiusero, andando a intrecciarsi con quelle dell’uomo. «Il risultato dell’unione tra un umano e un Demone.»
«E’ un…»
«Mostro?» Ombrosa fissò la figura stesa a terra con compassione e tristezza. «No, solo un emarginato, un essere non voluto da nessuna parte.»
Guerriero cercò di calmarsi, rallentando la frequenza del respiro. «Ci ha attaccati. Ha tentato di ucciderci.»
Ombrosa scosse il capo lentamente. «Non siamo mai stati in pericolo. Almeno finché non hai attaccato.»
Guerriero si voltò di scatto, punto nel vivo. «Cosa hai detto?»
Un mesto sorriso ricambiò lo sguardo inviperito dell’uomo. «Lui non voleva altro che giocare con noi.» Gli strinse con forza la mano. «Aveva bisogno di compagnia: è sempre solo in questi luoghi, come compagni i suoi costrutti. Un bambino che gioca con i burattini, ma che ha tanto bisogno d’affetto.»
«Un Demone?» Sbottò iroso Guerriero.
«E’ anche umano, non lo capisci? E’ stato abbandonato. E’ confuso, non conosce altro oltre al suo mondo. Arrivando nella sua casa, l’abbiamo sconvolto, ma allo stesso tempo voleva che ci accorgessimo di lui. E l’ha fatto nell’unico modo che conosce.» Mormorò Ombrosa con una tristezza quasi dolorosa. «Ha dimenticato il volto di suo padre.»
«Non l’ha mai conosciuto.» Il Necrofago s’era avvicinato, la mano che lisciava la barba incolta.
Guerriero trasalì alla vicinanza del Demone, ma Ombrosa gli impedì d’indietreggiare.
«Non capisco.» Borbottò l’uomo.
«Davvero non ci riesci?» La donna inarcò un sopracciglio. «Non comprendi il bisogno d’incontrare i propri simili quando si è isolati? Non riesci ad avvertire la necessità quasi fisica di avere dei compagni con cui vivere? E’ così per gli adulti; lo è ancora di più per un bambino che è sempre restato solo. E’ una necessità a cui non si può fare a meno. Ed è una sofferenza se non si riesce a soddisfarla.»
«Ha attaccato. Lo neghi?» Sibilò Guerriero.
«Solo perché si è sentito respinto e ferito. E’ stata una reazione, non un’intenzione.» Ombrosa accentuò la stretta sulla mano. «Lui voleva soltanto che noi lo accettassimo, non voleva sentirsi più solo.»
“Lui non ci ha aggrediti.”
Questo significava solo una cosa.
Era stato lui che aveva portato l’inferno in quel posto.
Era stato lui il mostro che aveva creato distruzione.
Lui, non un Demone.
Lui e nessun altro.
Sentì crollare le ultime certezze che possedeva. Non c’era più niente di chiaro; tutto era diventato ombra.
Lui, come un Demone.
Un tremito scosse i suoi muscoli.
Aveva attaccato un bambino. Aveva tentato di ucciderlo, senza pensare.
Un bambino che voleva soltanto attenzioni, che desiderava una compagnia che mai aveva avuto e che non conosceva altro modo per chiederla se non seguire la sua natura distorta e confusa, rinchiuso e isolato senza mai avere nessun contatto. Quella creatura non conosceva nulla del mondo, non sapeva nulla. Era qualcosa di vergine e lui l’aveva traumatizzata.
Inspirò.
La solitudine.
Quella compagna che tanto bene conosceva.
Un bambino solo e abbandonato.
In un istante vide le cose in modo diverso.
La rabbia svanì e fu solo pietà e amarezza.
Osservò il volto metà umano e metà di molle argilla cadente, simile a moccoli di cera sciolta.
La creatura tremava sotto il suo sguardo.
Lo vedeva come un mostro.
Come poteva essere altrimenti, dato che aveva tentato di eliminarlo?
Espirò.
Bambino e Demone uniti senza scelta, separati in un unico essere.
Compassione e ribrezzo. E impossibilità di comprendere quanto visto.
Come poteva un essere così contorto, creare cose così meravigliose?
Nessun mostro poteva ricercare e creare la bellezza, lo ammoniva una voce che la mente non voleva ascoltare.
Eppure la realtà negava quella convinzione.
Lo splendore della creazione era stato sotto i suoi occhi. Chi era capace di creare qualcosa di bello, non poteva essere corrotto dal male; nessun essere malvagio era in grado di creare e preservare la bellezza, solo portare distruzione.
Era un dato di fatto.
Nonostante questo, non riusciva ad accettarlo. La bruttezza del bimbo rachitico era un segno inequivocabile dei Demoni: non riusciva a capacitarsi che in lui non potesse esistere il male.
Ma che cos’era il male?
Non stava per portare lui stesso distruzione, senza avere un giusto motivo? E poi, occorreva davvero un giusto motivo per elargire rovina?
Non poteva elevarsi a giudice. L’essere non aveva colpa: aveva lottato per la sopravvivenza, come aveva fatto lui. Non poteva esserci punizione per questo. Non poteva esserci giudizio per voler vivere.
«E’ solo un bimbo.» Sottolineò Ombrosa, come se gli leggesse il pensiero.
Guerriero assentì. «Ma non può venire con noi.»
«Resterò io con lui.» Li sorprese il Necrofago offrendosi spontaneamente.
“Forse è la volta buona che me lo tolgo di torno.” Avere nei dintorni un Demone non gli era mai andato a genio; liberarsene era davvero un sollievo.
Ma che cosa poteva venir fuori da un Necrofago che si prendeva la responsabilità di un Mezzodemone?
In mezzo a quello che sembrava un antico tempio greco, contornati da immagini di dei e figure mitologiche, l’immagine di quelle due creature vicine gli pareva perfettamente naturale.
Scosse il capo. Forse stava impazzendo pure lui.
«Fate quello che volete.» Bofonchiò.
Ombrosa gli strinse la mano riconoscente, chinandosi sorridendo verso il piccolo.
«Vuoi restare con lui?» Chiese indicando il Necrofago.
Il Mezzodemone osservò a lungo il Demone, prima di fissarla con i suoi profondi occhi viola sbarrati. Guerriero non avrebbe creduto possibile che in un essere così mal messo, fosse racchiusa tanta vita e intelligenza.
Il bambino fece un cenno d’assenso deciso. Il sorriso della donna s’allargò.
Guerriero la tirò verso l’uscita della galleria: senza più labirinti e ostacoli da superare, l’apertura verso il mondo esterno era visibile a poche centinaia di metri di distanza. La luce che filtrava dalle colline rocciose oltre l’asfalto si faceva sempre più luminosa, rischiarando la penombra a ogni passo che muovevano verso l’uscita.
Ripensò ai due che si erano lasciati alle spalle.
Una luce nelle tenebre.
Che potesse uscire qualcosa di buono da un incontro d’esseri come loro?
Ammiccò quando fu di nuovo sotto l’azzurro accecante del cielo del deserto.
Dopo l’esperienza della grotta, i confini del mondo e delle cose non erano più nitidi come prima. O forse lo erano più di prima.
Luci e ombre.
In lontananza due figure camminavano verso l’orizzonte.
Era tempo di raggiungere Maestro.

Influenze e deterioramento delle storie e dello stile del Fantasy contemporaneo

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La scrittura nel corso del tempo è mutata, seguendo l’evoluzione dell’uomo. Dai disegni sulle pareti delle grotte si è passati all’uso di caratteri cuneiformi, ai geroglifici, agli alfabeti composti di lettere.
Anche le tipologie di storie sono cambiate. Dagli dei ed eroi greci, si è passati ai cavalieri e ai re del periodo medievale, fino ad arrivare agli uomini di scienza: ogni epoca, con la sua tipologia di pensiero dominante, ha influenzato le opere scritte divenute maggiormente famose.
Ecco l’incipit dell’articolo realizzato per FM, dove sono riportate osservazioni sulle attuali pubblicazioni in ambito fantasy.
Tipologie di storie raccontate, stile: molte cose sono cambiate. Quando si pensa al cambiamento si pensa che sia in meglio, sia un’evoluzione, ma non sempre è così e questi tempi lo hanno dimostrato. Per il consumismo, per la maggior commercialità e quindi il maggior guadagno, per la fretta di coprire fette di mercato e accaparrare più profitto possibile non si è data attenzione alla sostanza, alla qualità.
Se a questo si aggiunge l’influenza nello scrivere e creare storie che hanno trasmissioni televisive, social network, salta fuori il quadro attuale. E non si può certo dire che sia un quadro soddisfacente.

Momenti

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Ci sono momenti
Dove regna l’euforia
Tutto appare bello
Tutto appare possibile

Ci sono momenti
Dove è solo tristezza
Niente ha più colore
Niente ha più sapore

Ci sono momenti
Governati dalla rabbia
Dove si vuole solo
Veder bruciare il mondo

Ci sono momenti
Permeati dalla serenità
Calmi come un respiro
Come acqua che gorgoglia

Ci sono momenti
Dove tutto è frenesia
Tutto è corsa
Senza un attimo di respiro

Ci sono momenti
In cui niente funziona
Dove tutto è vano
L’impegno un valore non richiesto

Ci sono momenti
In cui non si è parte di niente
Tagliati fuori dal mondo
Come un rifiuto gettato nello spazio

Ci sono momenti
In cui si spera solo nell’oblio
Che ogni sensazione sparisca
Ogni desiderio svanisca
Per non sentire più niente
E tutto sia soltanto nulla

Ci sono momenti
Quando tutto è buio
Quando tutto è tenebra
Quando la voragine trascina sempre più giù
Che un raggio di luce ti afferra
E comincia a farti risalire, riscaldandoti
E allora, tutto torna a essere nuovo

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L’Ultimo Potere – Secondo Atto – XXII Luci e ombre (parte 2)

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Un altro giorno era passato. Un’altra notte da affrontare.
Il fuoco illuminava le pareti di quello che un tempo era stato un negozio d’orologi, cercando di tenere lontana l’umidità della pioggia che continuava a cadere.
Schegge di vetro, pendole e catene ossidate erano sparse sul pavimento insieme a calcinacci e lamiere contorte.
Ombrosa era sdraiata sul fianco contro la parete, fissando con sguardo spento le fiamme.
«Dovresti lasciarmi indietro: non faccio che rallentarti.» Disse con un soffio di voce.
«Ne abbiamo già discusso.» Rispose secco Guerriero.
«Ho fatto la mia parte in questa vicenda, non posso fare oltre.» Continuò Ombrosa. «Te l’ho già spiegato.»
Guerriero si mise a guardare la cortina di pioggia. «Devi solo recuperare le forze.»
Ombrosa chiuse gli occhi. «Sono

spezzata.» Mormorò flebile.
Guerriero prese delicatamente tra le braccia la donna dai capelli neri. La pelle del suo volto si era fatta grigia, gli occhi smorti. Quel corpo che aveva resistito agli assalti dei Demoni con tenacia ferrea, pesava come una piuma tra le sue mani, come se sotto la pelle tirata, muscoli e ossa fossero ridotti in cenere.
«Sei solo sfinita per la lotta.» Disse Guerriero scostandole una ciocca di capelli insanguinati.
«Sono svuotata. Non ho più Potere.» Continuò mentre la voce si faceva più roca. «Ho legato il Demone al Potere delle Porte, permettendogli di rubarne le forze: gli ho lasciato fare esattamente quello che voleva, senza farlo accorgere della trappola. E poi ho fatto collassare i canali interiori. Ora sono perduti per sempre.»
«Quindi il tuo essere in difficoltà era solo una finta.» Mormorò Guerriero.
«Serviva per conseguire la vittoria. Quando si è agganciato in maniera da non potersi più staccare, ho provocato la Rottura. Il Demone non ha potuto fare altro che seguire lo stesso fato.»
«Perché hai fatto questo?»
«Era l’unico modo per vincere.»
«Unendo le nostre forze avremmo potuto farcela lo stesso.» Protestò Guerriero.
«Saremmo periti entrambi.» Disse in un soffio la donna. «I nostri Poteri svaniti. Almeno uno dei due doveva sopravvivere. Ed è meglio che sia stato il tuo.»
«Perché?»
«Perché il tuo Potere è molto più forte del mio. Io non riuscirò a superare certi limiti: tu ne stai superando uno dopo l’altro, a velocità sempre crescente. Non te ne accorgi, ma presto diventerai la forza che il Demone che combattiamo dovrà temere: Maestro ne è consapevole, per questo ti ha preso con sé, anche se non eri nei suoi piani.»
«Ma arrivare a sacrificarti…»
«Non esisteva altro modo.» Un colpo di tosse spezzò il suo respiro. «Ci sono Demoni che non traggono forza dai Vizi, dalle Ossessioni, ma si nutrono di energie scaturenti dagli uomini che hanno Virtù. Non ne esistono molti di questo tipo, perché poche ormai sono le persone virtuose, ma continuano a calcare la terra.»
Guerriero scosse il capo. L’ultimo Demone del trio venuto a ucciderli. Il nemico che non era riuscito a sconfiggere.
«Come può un Demone nutrirsi delle Virtù?»
«Le Virtù sono un’energia pura, incanalata in un corpo umano, che interagisce nel mondo materiale. Come sai la materia è imperfetta e rende imperfetto ciò che entra a contatto con essa. Anche una Virtù. Per quanto un individuo sia guidato dalle intenzioni più nobili, rimane sempre una parte che si compiace di quanto di buono riesce a fare, ne trae piacere perché innalza l’immagine che ha di sé, facendolo sentire un essere di luce.»
«L’Ego.» Mormorò in un soffio Guerriero.
«Sì. La breccia, il punto che va a indebolire le Virtù. Ed è a questo che tali Demoni si attaccano per aumentare il loro Potere. Perciò non potevi vincere contro di lui: dentro di te cercavi nobili ragioni che ti dessero l’energia necessaria per sconfiggere il nemico. Ma facendo questo, oltre alla tua, aumentavi anche la sua forza, dato che i colpi con cui lo investivi avevano anche la fonte del suo Potere. Pervasi dalle tue emanazioni, erano la sorgente dal quale attingeva energia. E mentre lui si rafforzava, tu ti indebolivi.» Ombrosa deglutì a fatica. «La via per l’inferno è lastricata di buone intenzioni.»
Guerriero la strinse più vicino a sé. «Perché se sapevi tutto questo, l’hai affrontato lo stesso?»
«Perché in me la luce non brilla con la stessa intensità che tu possiedi: il nome che porto ne dà conferma; non ho nulla di nobile che possa alimentare il mio ego, niente che mi faccia sentire fiera di quello che faccio. La tua luce è troppo limpida, troppo esposta per Demoni di quel genere: non possiedi protezioni di sorta, come invece ho io. Il Demone ha avuto difficoltà a scoprire i miei punti deboli e mentre tentava di farlo, ho tessuto la trappola nella quale è caduto.» Altri colpi di tosse squassarono l’esile torace. «Quando la sua energia s’è avvinghiata alla mia, ho spezzato le Porte: non potendo fermare il processo di risucchio che aveva attivato, non ha potuto fare a meno che ricercare forza nel punto più vicino.»
«Vuoi dire…»
«Ha consumato se stesso. Il suo Potere s’è mangiato da solo, causando la fine del Demone.»
Guerriero rimase scosso dalla rivelazione. «Maestro non mi ha mai parlato di questo tipo di Demoni.»
«Maestro sa tante cose, ma non può sapere tutto.» Le parole uscirono in un soffio dalle labbra pallide.
«E tu come fai a saperlo?»
Un flebile sospiro esalò dalla sua bocca, come se il parlare avesse consumato le ultime energie rimaste. «Perché un tempo stavo per essere una di loro.» La donna aprì gli occhi, fissandoli in quelli di Guerriero. «Ora capisci perché porto questo nome: non sono diventata tenebra, ma in me non c’è posto per la luce. Ecco perché anche se nel gruppo, non ne facevo parte. Quello che ero mi teneva separata da voi; un essere che non appartiene a nessun mondo, né umano né demoniaco. Un aborto isolato da ogni cosa.» Strinse gli occhi, come se pronunciare quelle parole le costasse fatica. «Non sono mai stata veramente una di voi, quello che ho rischiato d’essere mi ha sempre tenuta separata da quelli che in apparenza sono i miei simili. In me c’è una macchia che non può essere cancellata. E il rimorso tiene sempre a distanza.» Il corpo fu scosso da singulti. «E’ questa la tenebra che si cela in me; è questo ciò che sono. La Bella Tenebrosa, mi hai chiamato una volta. E avevi ragione, almeno sulla seconda parte.» Mormorò attraverso un sorriso tirato.
«Mi spiace.» Il volto di Guerriero si contorse in una smorfia. «Io non sapevo…»
La mano esile si appoggiò sulle sue labbra. «Mi ha fatto piacere sentirtelo dire. C’era affetto nel pronunciarlo e il tentativo di colmare la distanza che c’era tra noi: stavi provando a essermi vicino. Nessuno l’aveva mai fatto: si tenevano tutti a distanza. Io li tenevo a distanza.» Sottolineò con la forza che le era rimasta. «Avevo creato apposta questa immagine perché non sono mai riuscita a perdonarmi per quello che ho fatto. Ma con te non ha funzionato. Te ne sei fregato.» Il sorriso s’allargò. «La tua tenacia ti porterà lontano.»
Guerriero rimase in silenzio, non sapendo cosa dire.
«Chiamami ancora così.»
«Bella Tenebrosa.» Sussurrò Guerriero.
Il sorriso della donna brillò come una stella, prima di affievolirsi, ma senza dissolversi, solo divenendo più trasparente. «Lo sai che i lupi si mettono insieme per tutta la vita?» Mormorò chiudendo gli occhi. «Si sostengono e si aiutano, si danno forza a vicenda.»
«Non credevo conoscessi le abitudini di questi animali, ormai sono una razza in via d’estinzione.» Guerriero rimase spiazzato dalla piega che stava prendendo il dialogo; si sentiva in…imbarazzo.
«Li osservavo prima…di tutto questo. Stavo in mezzo a loro per studiarli; ero una ricercatrice prima che il mondo cadesse.» Le parole le uscirono a fatica. «Sono animali magnifici.»
Guerriero ringraziò il cielo che avesse gli occhi chiusi e non potesse vedere il suo stupore; se era come aveva detto, significava che doveva avere un centinaio d’anni, forse anche di più. Eppure sembrava avere la sua stessa età. «E devono essere molto forti e resistenti, se sono riusciti a sopportarti per così tanto tempo.» Cercò di fare una battuta per alleggerire la tensione.
Ombrosa allargò di nuovo il sorriso, ma era tirato e stanco. «Non se sono soli. A un lupo solitario si prospetta una vita di vagabondaggio ed è destinato a soccombere. Chi vive solo e ha deciso di affrontare senza aiuto il mondo, deve combattere una lotta vana, persa ancora prima di cominciare. Il suo è un destino di perdente, che lo porterà a soccombere e a morire abbandonato tra qualche roccia, lacerato e spezzato.» La voce parve spegnersi. «Come me.» Le palpebre tornarono ad alzarsi, fissandolo intensamente. «Non perdere più tempo. Raggiungi Maestro: ha bisogno di te.»

Guerriero distolse lo sguardo dalla pioggia; Ombrosa era scivolata di nuovo in uno stato di dormiveglia.
Così simili eppure così diversi.
“Un tempo stavo per essere una di loro.” Gli aveva detto.
Una Demone.
Non poteva essere. Non riusciva a crederlo.
Eppure era stata lei stessa ad ammetterlo. Che cosa l’aveva portata su quella strada? Che cosa le aveva impedito di divenirlo?
E adesso chi era?

«Ma tu chi sei? Che cosa sei?»
«Si può dire che sia un lupo solitario.» Disse senza pensare a quello che diceva, troppo preso dalla manutenzione dell’arma.

Dio, le stesse parole che aveva pronunciato a Katrin.
In un attimo il suo cuore scoppiò, incapace di sopportare la verità.
Ombrosa era come lui.
Cresciuti lontano dagli altri esseri umani. Soli.
Così vicini, così lontani.
Lo stesso destino, lo stesso passato. La stessa disperazione, lo stesso aggrapparsi a qualcosa perché avevano troppa voglia di vivere. E troppo orgoglio per ammetterlo.
E ora, aveva davanti la visione del suo futuro? La stessa identica fine?

«Io non voglio morire!»

Non un’altra Katrin.
Già una volta era andato vicino a perdere se stesso. Non sarebbe successo di nuovo. Non avrebbe perso anche Ombrosa.
Questa volta avrebbe salvato.

«Non ti lascio qui da sola.» Strinse i denti per non far tremare la voce.
«Lo farai. Dovrai fare come con Tempo.»
Una bruciante lama trapassò Guerriero, uno spasmo che lo lasciò a boccheggiare. «Non di nuovo.» Mormorò.
«Devi.» Sussurrò dolcemente la donna. «La battaglia è vinta, ma io non sono più utile per la lotta contro i Demoni: con la Rottura, non potrò più accedere al Potere. Non ho più uno scopo e senza, la vita non ha alcun senso.» Gli occhi distanti e sfocati si posarono su Guerriero. «Dammi la morte.»
L’incubo tornò a spalancarsi davanti a Guerriero. Una marea nera che s’alzava pronta ad abbattersi. Di nuovo in mezzo alle macerie, di nuovo a stringere la morte. Un aggraziato corpo femminile spezzato, che non era riuscito a proteggere, a salvare.
«Non te la prendere. E’ così che va il mondo.» Mormorò la donna, nel tentativo di facilitargli il compito.
«Me ne frego di come va il mondo.» Guerriero strinse rabbioso i denti. «Questa volta sarà come dico io.»
Scostò i capelli neri dal volto pallido e appoggiò il capo della donna al petto, cominciando a cullarla finché non scivolò nel sonno.
«Basta.» Mormorò. «Non morirà più nessuno. Anche se non hai più Potere, mi prenderò cura di te.» Con cautela s’alzò in piedi, stringendo il corpo al petto. «Troverò un posto dove potrai stare e quando vinceremo la guerra, potremo vivere in pace e non ci sarà bisogno di Potere, perché non ci sarà più nulla da combattere. La vita avrà un senso diverso: non perché è utile e necessaria, ma solo perché bella.»
Mentre s’allontanava dalle macerie con la donna tra le braccia, il suo passo si fece più deciso e risoluto, pervaso da una nuova forza. L’espressione sgomenta di pochi attimi prima era sparita, sostituita da una maschera di ferro.
Il cammino che lo avrebbe ricondotto da Maestro sarebbe stato rafforzato dalla promessa che risuonava nel suo animo.
Non avrebbe fallito.

E così sarebbe stato.
Ora e sempre.

La violenza dell'uomo

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Molti animali vengono definiti feroci perché cacciano altri animali per sopravvivere, ma non si considera che devono seguire la loro natura perché non hanno altra scelta, perché devono mangiare per sopravvivere.
A tal proposito viene in mente un brano di Shakespeare tratta da Riccardo III:

– Non c’è belva tanto feroce che non abbia qualche senso di pietà!
– Ma io non ne ho alcuno, sicché non sono una belva.

Questa è la definizione che viene data dell’uomo. Questo è ciò che è stato e che è. Ciò che ha deciso di essere, il frutto della sua libertà di scelta.
Con le sue capacità, l’uomo può essere tante cose, ma spesso la storia ha mostrato che la strada intrapresa era indirizzata verso la distruzione, la violenza, l’ignoranza. Guerre, stupri, omicidi, schiavitù.
Nessuna società, civiltà o religione è stata ed è esente dalla violenza. E questo perché la violenza è qualcosa che è dentro l’uomo, che è stata fatta nascere ed è stata coltivata al suo interno.
La morte di Ipazia - C.W.MitchellAnalizzando la cultura in cui siamo cresciuti, anche la religione cristiama, la cui fede, il cui principio fondamentale è l’amore, la comprensione, è cresciuta ed è stata permeata di violenza e sopraffazione.
Di esempi ce ne sono tanti, ma quello più immediato che mi viene in mente per via di aver visto di recente il film Agorà, è quello della matematica, astrologa e filosofa Ipazia.
A parte l’odio e il disprezzo verso la donna, la sopraffazione e il desiderio di affermazione, di essere migliori e superiori, sono l’anima di questa pellicola. E’ così che intere culture, tesori inestimabili di sapere e conoscenza, sono andati distrutti per ignoranza, per la superbia e l’ottusità di considerarsi nel giusto, di essere gli unici depositari della verità.
Del messaggio evangelico originario è rimasto ben poco: le parole sono state usate per strumentalizzare, per ottenere potere, per creare una grande istituzione capace d’influenzare i destini delle nazioni e controllarle. Belle parole per coprire uno spirito sopraffattore, impositivo, violento, distruttore, che non rispetta il diverso. C’è da dire che anche altre religioni hanno fatto la stessa cosa: un gruppo che sopraffà un altro.
Non che le cose vadano meglio a secoli di distanza: è lo stesso copione. Guerre e conflitti che fioriscono in ogni parte del mondo, dove il debole viene calpestato e il forte esaltato, dove ciò che è delicato viene infranto. L’uomo è l’unica creatura capace di distruggere la bellezza.
Senza andare lontano basta guardare dove viviamo, un paese che legge poco e non apprezza il patrimonio culturale, anzi, lo lascia andare in rovina e lo distrugge, non capendo che ricchezza sta dilapidando. Ma un popolo grezzo e ottuso, ignorante, che si fa guidare da classi politiche altrettanto grezze, ottuse e ignoranti, che cosa può capire del vero valore delle cose, di cosa è importante da cosa è superfluo?
I culti dell’Ego e dell’Apparenza, del Narcisismo hanno portato a un abbruttimento spaventoso, fatto solo di violenza. Si parla tanto di pace, amore, giustizia, ma si sta solo cercando di coprire o non accorgersi degli impulsi distruttivi che sono dietro la maschera che si porta ogni giorno.

Nei riguardi dei loro impulsi distruttivi, fanno invece l’esatto contrario: li temono a tal punto da parlarne il meno possibile, e preferiscono intrattenersi su quel che di giusto, di lodevole credono di avere, o di voler avere nel proprio cuore. In tal modo gli impulsi distruttivi non fanno che crescere.
In ciò consiste, oggi, uno dei principali pericoli per le popolazioni della C.O.*
Tutte le volte che gli occidentali si indignano ascoltando notizie di crimini contro l’umanità, tutte le volte, cioè, che in quelle notizie si sforzano di vedere qualcosa che contrasta con quel che di lodevole essi credono di avere dentro di sé, stanno in realtà proteggendo la carica d’odio che hanno ereditato dalla generazione attiva tra il ’40 e il ’45, e che da allora hanno imparato a nascondere a se stessi.
Farebbero molto meglio a considerare quei crimini come qualcosa di normale per loro, figli e nipoti di coloro che avevano commesso o tollerato sessanta milioni di vittime in sei anni. Perlomeno non mentirebbero a se stessi. Non sarebbero impegnati in continue autocensure più o meno segrete. L’uomo occidentale, cresciuto tra i reduci, i traumatizzati, i colpevoli, i testimoni indifferenti o impotenti e gli amnestici della Seconda Guerra Mondiale, non può che essere un violento o, qualora si sforzi di negarlo, un ipocrita, sulle cui labbra parole come «amore», «fratellanza», «pace» suonano sempre false, moralistiche, banalmente didattiche.
Non vi è sforzo più costoso, per la psiche umana, del non voler accorgersi di qualcosa. Ed è ciò che, negli ultimi sessant’anni, ha impedito agli occidentali sia di riflettere seriamente sul proprio presente e sul proprio futuro, sia di creare valori nuovi, o di ascoltare i pochi che tentavano di crearne o di riscoprire i valori antichi. Da tale sforzo, gli occidentali appaiono oggi sfiniti.
L’unico principio etico condiviso da tutte le popolazioni della C.O. è, oggi, lo stesso che potrebbe avere un criminale angosciato: «Speriamo di tirare avanti ancora un po’, prima che me la facciano pagare». E al contempo, l’effetto degli impulsi distruttivi che quelle popolazioni nascondono a se stesse diventa sempre più evidente: proprio grazie allo sviluppo tecnologico voluto, diffuso e imposto ovunque dall’Occidente, l’umanità intera è costretta a sperare di tirare avanti ancora un po’, prima che gran parte del pianeta diventi inabitabile.
(Libro delle Epoche – Igor Sibaldi – pag.140,141)

Per un sistema così non c’è speranza. L’unica speranza per un individuo è non averne parte, restarne fuori, per non divenire come esso.

*Civiltà Occidentale

Perché l'anno nuovo

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sia veramente tale, non createvi aspettative, non confidate sugli altri perché ci siano cambiamenti significativi e positivi nell’esistenza che quotidianamente si affronta, specialmente se questi altri sono politici, governanti o uomini di potere. Pensano solo al loro interesse e pertanto non faranno mai il vostro; a questo ci dovete pensare solamente voi. Quindi, non aspettatevi nulla da nessuno.
Non illudetevi che con le vostre parole, scelte, atteggiamenti, gli altri cambieranno. Certo, alcuni, quelli intelligenti, possono prendere spunto da come vi comportate o fermarsi a riflettere, ma i più sono talmente chiusi in se stessi, concentrati sul loro ego, che si accorgeranno a malapena che esistete, convinti di essere il meglio e che tutti gli altri siano inferiori o sbagliati.
Se avete amor proprio, cercate di non divenire come il sistema: siate fedeli alla parte più alta di voi stessi, a quella parte che è al di sopra delle beghe quotidiane, delle meschinità, delle spalate di fango, dei tradimenti, delle delusioni, delle ipocrisie.
Siate individui e non individualisti.
Siate uomini e donne e non maschi e femmine mossi da semplici istinti naturali.
Siate di più di quello che vuole la società.
Scoprite valori nuovi o riscoprite i valori degli antichi, purché siano autentici e non quelli usati nel nostro presente, perché c’è bisogno di miglioramento, dato che troppo a lungo si è stagnato.
Lasciate indietro odi, rancori, risentimenti, ottusità, ferocia: servono solo ad alimentare una marea che si fa sempre più violenta e che alla fine ha bisogno d’infrangersi da qualche parte, portando solo rovina. Riconoscendo la violenza insita nel proprio animo che si cerca di negare o di coprire con belle parole, il cambiamento è possibile. Auschwitz e Nagasaki dovrebbero aver insegnato quanto sia necessario elevarsi da queste tenebre, quanto sia necessario riconoscerle come parti di sé, prendere atto che fanno parte della propria natura e pertanto essere consapevoli quanto sia indispensabile illuminarsi.
L’augurio che sia davvero un nuovo inizio, migliore non solamente a parole.
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