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L’Ultimo Potere – Preludium: II Frivolezze (parte 1)

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Fuori della porta del bar, i quattro stavano seduti attorno a un tavolino di marmo concentrati sulle carte in mano e i soldi posti sulla tovaglia di seta rossa, disinteressati delle farfalle dalle ali chiare che svolazzavano attorno al lampioncino a pochi passi dalla veranda e dell’aria satura di resina di ginepro proveniente dal parco vicino. Con i fondoschiena flaccidi schiacciati sulle larghe sedie, si grattavano i ventri prominenti, rotoli di grasso afflosciati sulle cinture troppo strette. Pigramente giravano le carte tra le mani, prendendosi tutto il tempo per giocarle.
«Ehi, ragazzo.» Chiamò l’uomo dalla camicia azzurra finemente lavorata.
Sull’uscio apparve un giovane con pantaloni e maglia bianchi adornati di lustrini viola e rosa.
«Vedi di portarci un’altra bottiglia di vino novello, quello tenuto in frigo. Qua si muore dal caldo. E portaci dei bicchieri puliti: non possiamo certo bere in questi già usati.»
Pochi attimi dopo il ragazzo ritornò da dietro il bancone, portando con un vassoio l’ordinazione richiesta. Posatala sul tavolo, rientrò nel bar come se stesse sfilando su una passerella.
Il vecchio con la pelata stappò la bottiglia, versando il contenuto nei bicchieri puliti. «Un bravo ragazzo, il barista. Veloce, efficiente e di poche parole.»
«Fa solo il suo lavoro.» Sbuffò da sotto una densa voluta di fumo il giocatore alla sua destra. «Se non sapesse fare nemmeno questo potrebbe spararsi.» Sentenziò appoggiando il sigaro nel posacenere per bere un sorso di vino.
«Lascia stare i tuoi soliti commenti.» Borbottò l’uomo di mezz’età con gli occhiali. «Cos’hai stasera? T’ha punto un tafano? Oppure i vestiti che ti hanno ordinato di preparare non sono di tuo gradimento?»
«Quando avrai la mia età te ne accorgerai. Voglio vedere cosa dirai allora.» Brontolò lo stilista tornando a mettersi in bocca il sigaro puzzolente.
«Non potresti cambiare marca? Ci appesti tutte le sere.» Si lamentò l’uomo dalla camicia. «E quando torniamo a casa, chi le sente le nostre mogli? Sempre a criticarci perché siamo dei viziosi. Tutto per colpa tua. E poi ci rovini la messa in piega.»
«Ma và a farti fottere, acconciatore.» Mugugnò lo stilista mentre fumava, vagliando con cura la carta da calare.
«Irascibile più del solito. La sciatica non ti ha fatto dormire stanotte, vero?» Il vecchio con la pelata tirò su con il naso.
Lo stilista fece una smorfia. «Sono due notti che non chiudo occhio. Ma scommetto che neanche tu riesci a dormire: con tutta la merda che hai tirato su per il naso soffri d’insonnia.»
«Ormai non c’è nulla da fare, ma non mi posso lamentare, dato che mi sono goduto la vita alla grande con quella che tu chiami merda. Se vuoi te ne posso procurare un po’: è una panacea per tutti i mali, fisici e psichici.»
«Non ci provare con me, spacciatore che non sei altro. Non voglio bruciarmi quel poco di salute che ho.» Lo ammonì severamente lo stilista.
«Fa come vuoi, sei tra i pochi in questa città che non ne fa uso, ma ti aiuterebbe a vivere meglio: è da stupidi seguire qualche sciocco valore morale quando si può per niente rendere la vita migliore. E’ anche vero che non tutti fanno un lavoro piacevole come il tuo.» Aggiunse sornione il vecchio con la pelata.
Lo stilista sbuffò. «Non è tutto rosa e fiori: anche il mio ha le sue beghe.»
Gli altri tre risero sommessamente.
«Certo, certo. E’ davvero una faticaccia dover soddisfare le richieste di tutte quelle povere giovani che vengono alla tua porta.» Convenne l’uomo con gli occhiali arricciando le labbra. «Smettila di lamentarti, come se fosse la cosa peggiore che possa capitare. C’è la fila di belle ragazze che pregano per potersi inginocchiare davanti alla patta: che cosa vuoi di più?»
«E tu che ne sai?»
L’uomo con gli occhiali fece il sorriso di chi la sa lunga. «Vengono sempre da me per farsi depilare, per essere sempre belle lisce, senza nemmeno un pelo. Da nessuna parte.» Sottolineò con cura. «E quando si stanno facendo massaggiare o mettere le creme idratanti, chiedono consigli su come far colpo sullo stilista. Specialmente su come soddisfare i suoi gusti sessuali.»
«L’estetista ha ragione.» S’intromise l’acconciatore. «Anche quando vengono a cambiare colore ai capelli o a rifarsi il taglio, non parlano d’altro. Sei un uomo desiderato.»
«Non fate i santarellini: anche voi ve le siete ripassate tutte.» Sbottò lo stilista.
«Ma noi non ci vergogniamo ad ammetterlo.» Rise lo spacciatore. «Sei tu che ti schernisci, come se fosse una cosa deplorevole. Tutti in città fanno così. E non sai cosa combinano nelle feste private.»
«Quando si ritrovano tutte ben vestite e acconciate e su di giri,» aggiunse in fretta l’estetista «ne combinano davvero delle belle, con chiunque abbiano a tiro: donne, uomini, animali e bambini.»
«Bambini?» Lo stilista alzò le sopracciglia sorpreso.
«Sì, dicono che hanno delle carni molto morbide.» Disse con sicumera lo spacciatore. «Quelle giovani ragazze dallo sguardo così dolce si trasformano in erinni insaziabili.»
«Ma che razza di roba gli dai?» Sbottò lo stilista.
«Roba buona. Manna del cielo.» Disse serafico lo spacciatore. «Diventano sfrenate, il loro corpo è tutto un umore. Sono bollenti, come possedute da una febbre. Una volta ne ho vista una svenire al suolo dopo avere galoppato sui cavalli di una ventina d’uomini per sei ore di fila. Era sfinita, ma ha fatto una maratona davvero notevole.»
«Ah, la gioventù.» Commentò lo stilista massaggiandosi la schiena. «Non ho più l’età per queste cose. Ma quando avevo i loro anni, ne ho sparate di cartucce.»
«Almeno sei andato a farti visitare? Ti sei sottoposto a qualche trattamento fisioterapico?» Domandò l’acconciatore vedendo la smorfia di dolore sul suo volto.
«Soldi buttati via. Non sono mai serviti a nulla.» Lo stilista strinse il sigaro tra i denti. «Sono anni che lotto con questa bastarda e niente me l’ha fatta passare.»
L’acconciatore calò una carta sul tavolo. «E’ sempre una conseguenza di quella battuta di caccia?»
Lo stilista grugnì inalando una generosa dose di fumo. «Quel maledetto cinghiale è saltato fuori all’improvviso, sembrava un missile. L’ho evitato per un pelo buttandomi nel canalone che avevo a fianco: se non l’avessi fatto m’avrebbe sventrato. Ma proprio su un sasso dovevo atterrare.» Si sporse a lato della sedia sputando sul porfido del porticato.
«E da lì sono cominciati i dolori.» Concluse lo spacciatore giocando la sua carta e prendendo la mano del turno. «Ho sentito che hanno aperto un nuovo centro per massaggi, dove un tempo c’era il supermercato. Una cosa in grande, molto professionale.»
«E allora?» Intervenne seccato l’estetista vedendo che nessuno stava prendendo le carte per una nuova mano.
«Potresti provare a farci un salto.» Continuò a parlare lo spacciatore ignorando l’occhiata storta lanciata dal vicino.
«Pensi che risolverei qualcosa?» Borbottò lo stilista storcendo la bocca in una smorfia di dolore.
«Se non provi come puoi saperlo?» Rimbeccò lo spacciatore. «Nella peggiore delle ipotesi avrai passato una mezz’ora piacevole.»
Lo stilista lo guardò perplesso. Gli altri due giocatori cominciarono a sghignazzare. «Beh, cosa c’è di tanto divertente?» Protestò offeso.
L’acconciatore fece un sorriso astuto. «Ancora non lo sa.»
«Cos’è che dovrei sapere?» Sbottò sulla difensiva lo stilista, affrettandosi a togliere la cenere caduta sui pantaloni di velluto.
«Anche tu ci sei già stato.» Costatò l’estetista rivolgendosi all’acconciatore.
«Puoi scommetterci.» Tornò a sghignazzare l’altro.
Lo stilista osservò i tre sempre più spazientito. «Qualcuno mi vuole spiegare?»
Lo spacciatore si lisciò la pelata, sorridendo bonariamente. «Con il lavoro che fai dovresti essere un uomo più di mondo.» Obiettò. «Ma adesso lo facciamo.» S’apprestò ad aggiungere vedendo lo sguardo torvo dell’altro, giocando in fretta l’ultima carta che aveva in mano. «Da circa un mese è aperto un centro benessere dove, come ti abbiamo detto, un tempo c’era il supermercato. E’ stata una cosa abbastanza veloce: gli incartamenti e le pratiche burocratiche sono stati sbrigati in tempo record. E così pure l’allestimento dei saloni e delle palestre con l’attrezzatura e i macchinari necessari.»
«Chi ha messo su questa baracca deve averne di soldi.» Notò lo stilista.
L’estetista rise di gusto. «Infatti: è stato il capo a fare tutto questo.»
«Il capo della cittadina? Ma non ne sa mezza di palestre, massaggi et similia.» Sbottò sorpreso lo stilista mentre riaccendeva il sigaro che si era spento.
Lo spacciatore ammiccò sornione. «Lui no, ma l’attuale compagna sì: era la sua personal trainer. E visto che lei aveva il sogno di aprire un centro benessere, lui ha deciso di accontentarla. In fondo se l’era meritato, dato i continui piaceri dati.»
«Già. Si mormora che sia il pagamento per le prestazioni extra che offriva.» Aggiunse l’acconciatore.
«Beh, cosa c’è di male? Non fanno così tutte? Non mirano forse ai soldi? Mi sembrate nati ieri.» Sbottò seccato lo stilista.
«Forse è un po’ caro, ma…»
L’estetista fu interrotto dall’arringa dello stilista. «E’ una che ha fiuto e sa il fatto suo. Ha beccato l’uomo giusto. Se fossi una donna, sceglierei anch’io chi ha soldi e potere.» Sventolò il sigaro davanti alle loro facce. «E uno nella sua posizione può permettersi di scegliere le migliori. Anzi può permettersi tutte le donne che vuole. Sfido chiunque a non fare come lui!»
«Come il solito t’infervori e perdi il filo del discorso.» Lo riprese l’estetista. «Non era lì che volevamo andare a parare. Ti stavamo spiegando com’è nato il centro di benessere, ma la parte interessante arriva adesso. Come ti abbiamo detto, la proprietaria è stata una personal trainer che ha lavorato in diverse palestre e centri benessere: perciò come collaboratrici ha scelto le colleghe che hanno lavorato con lei. Tutte ragazze giovani.»
«Molto carine.» Sottolineò lo spacciatore.
«E molto…manuali.» Aggiunse l’acconciatore sistemando il colletto della camicia.
Gli occhi dello stilista si fecero attenti.
«Queste ragazze hanno molta esperienza e sanno rimettere in sesto qualsiasi problema articolare o muscolare; questo di certo è un bene. Ma c’è di meglio.» L’estetista si sporse sul tavolo. «Allungando un piccolo premio, sono disponibili a fare lavori extra, chiamiamoli prestazioni personali a richiesta. Quando esci da quel centro benessere ti senti riconciliato nel fisico e nello spirito.»
Con il sigaro in mano, lo stilista pendeva dalle loro labbra, rimanendo diversi secondi a bocca aperta prima di riscuotersi. «E voi sapevate queste cose e non me lo avete detto prima.»
«Veramente non solo sapevamo, ma ci siamo già stati.» Commentò compiaciuto lo spacciatore. «C’è un’orientale con due chiappette a mandolino che fa dei servizietti davvero fantastici.»
Tutti scoppiarono a ridere al vedere la faccia dello stilista.
«Maledetti bastardi.» Contrasse la mascella, seccato per essere al centro del loro divertimento. «Ma è legale? Civilmente accettabile» Puntò il dito contro il gruppetto.
«Lo sentite?» Lo sbeffeggiò l’acconciatore. «Chi ha potere detta le regole e se il capo dice che è legale, allora lo è. Proprio tu non fare lezioni di coscienza, che hai fatto cose che farebbero arricciare il naso a un maiale: sappiamo i giochini che fai con le ragazze che vengono da te, specie le più giovani, di come ti piace seviziarle e farle urlare.» Si divertì nel vedere gli occhi dell’accusato restringersi. «E poi perché farsi degli scrupoli moralistici, quando pure il sacerdote ne fa uso.»
«Allora è tutto a posto.» Tagliò corto lo stilista per uscire dalla spinosa questione in cui rischiava di essere coinvolto.
L’avvicinarsi di un fitto vociare interruppe la discussione, portando l’attenzione dei quattro sul gruppo che si stava avvicinando al bar.
«Chissà perché i giovani devono sempre fare casino.» Brontolò lo spacciatore mescolando il mazzo di carte.
«Si vede che non ti ricordi più com’eri ai loro tempi.» Rimbrottò l’estetista.
«Smettetela di perdervi dietro le sciocchezze.» Li rimproverò l’acconciatore. «Avete visto chi è entrato?»
«Certamente.» Asserì lo spacciatore.
«E vi sembra decente? Una cosa da permettere?» S’accalorò lo stilista.
L’estetista scrollò le spalle. «Al bar ci possono andare tutti; non glielo si può certo impedire.»
«E invece si dovrebbe!» Lo stilista calò il pugno sul tavolo. «E’ un affronto per gente civile come noi! Ai poco di buono come quello là dovrebbero mettere delle limitazioni, impedire di andare dove gli pare e piace. La gente vuole rimanere tranquilla, non essere infastidita dalla loro spiacevole presenza!»
«Non hai tutti i torti.» Convenne lo spacciatore.
«Qui ci vuole una legge!» Lo stilista batté con forza il pugno sul tavolo. «Una legge che ci protegga e ci tuteli da persone spregevoli come quel ragazzo. Esseri come lui vanno sbattuti in cella!»
«Per quanto convenga con te, non gli si può fare nulla. Nel venire al bar non infrange alcuna legge.» Gli fece notare l’acconciatore.
«Ma ha la barba!» Sbottò lo stilista.
«E allora?» Fece l’estetista.
«Tutti quelli che portano la barba hanno qualcosa da nascondere.» Il fumo del sigaro turbinò nell’aria mentre la mano si muoveva a scatti. «E si ha qualcosa da nascondere solo se si è dei poco di buono, dei delinquenti.» L’arringa s’alzò di tono. «Il suo vestiario: solo un mascalzone, un uomo che vive nella malavita, può andare in giro vestito con degli stracci. Lui è un criminale e il suo posto è in prigione.»
«Finché non commette un crimine, non può esservi rinchiuso.»
«Invece dovrebbe!» Lo stilista quasi urlò. «Così si anticiperebbero le sue azioni criminose e nessuno ne soffrirebbe. Serve il carcere preventivo: è l’unica soluzione contro quel genere di persone. Fidatevi di me: con esseri come lui ci sarà da patire, se si lasciano liberi.»
Gli altri tre lo guardarono, le carte tra le mani.
«Che avete da guardare?» Sbottò risentito. «Adesso non venite a dirmi che in sua presenza non avvertite un senso di fastidio e pesantezza; non mi direte che lo considerate uno di noi. Lui è diverso, non appartiene alla gente normale.»
Lo spacciatore lo guardò risentito. «Cosa credi, che a noi piaccia vederlo girare qua attorno, sentirci sfiorare dall’aria che smuove passandoci vicino? La sua presenza c’irrita. Lo so anch’io che non si dovrebbe tollerare la sua presenza e che le autorità dovrebbero intervenire per impedire che frequenti i luoghi delle persone perbene.»
«Dovrebbero impedirgli il solo avvicinarsi.» Lo corresse l’estetista.
Lo spacciatore assentì con il capo. «Ma al momento questo non è possibile.»
Tutti mugugnarono di dissenso.
«Bei tempi quando si bruciava la gente al rogo.» Bofonchiò lo stilista sorseggiando il vino. «Ve lo dico io, quello è un mostro, un demonio.»
L’acconciatore lo seguì a ruota. « E’ vero: un indemoniato. Non fa mai come le altre persone, non ci tiene a mischiarsi con noi: quello non è normale.»
«Forse dovremmo farlo esorcizzare.» Borbottò l’estetista facendosi il segno della croce. «Dovremmo parlarne con il sacerdote: forse c’è un modo per salvarlo e farlo divenire come noi.»
«Sì! Ogni ministro religioso ha il potere di inquisire e scacciare il demonio dalle persone.»
«Per me bisogna dargli fuoco e basta.» Commentò l’estetista continuando a sorseggiare il vino.
«State perdendo tempo in chiacchiere inutili. E’ soltanto un poveraccio che non ha i soldi nemmeno per farsi una lampada.»
Tutti si voltarono a guardare il nuovo arrivato.
«Buonasera, professore.» Lo salutò lo spacciatore. «Com’è andato il giro con la nuova fuoriserie?»
Il distinto uomo di mezz’età si lisciò la giacca, spazzolando via due piccoli peli che vi si erano adagiati sopra.
«Ormai si assomigliano tutte: design quasi identico, stessa potenza, sedili in pelle. Niente di nuovo.»
L’estetista scrollò le spalle. «Sarà, ma non si può tenere la roba vecchia.»
«E’ vero.» Convenne il professore. «L’altra auto ormai aveva quasi un anno.»
«E’ così che si fa.» Plaudì lo spacciatore. «Non come quel poveretto appena entrato che ha la stessa auto da dieci anni. E’ uno messo davvero male. Pensate» s’affrettò ad aggiungere «gli ho visto portare la stessa maglia che aveva anche l’anno scorso.»
«Che barbone. E il taglio di capelli l’avete visto?» Sbottò l’acconciatore «Andava bene due anni fa.»
«Un pezzente, come vi ho detto.» Disse il professore. «Mi meraviglio più di voi a prenderlo in considerazione. Persone così vanno trattate come se non esistessero; isolarle, metterle da parte.»
Tutti non poterono che convenire. Ma l’espressione dello stilista rivelava che per lui non era sufficiente.

L'Ultimo Potere - Preludium: I Overture

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A seguito di fatti di cronaca che esulano dall’ambito letterario, si è tornato a parlare del fantastico; un copione già conosciuto che immancabilmente si ripete: ormai sono anni che si ascoltano i soliti discorsi.
Il fantastico come fuga dalla realtà. Il fantastico per disadattati, per gente che non vuole crescere e chi più ne ha, più ne metta: non ho intenzione di perdere tempo con giudizi del genere perché sono un modo superficiale di giudicare senza avere la conoscenza di un genere spesso sottovalutato, ma che non ha nulla da invidiare alla cosiddetta letteratura “colta”, “intellettuale”; anzi, ha molto da dare. Solo che viene sottovalutato perché usa una veste diversa da quella conosciuta.
Un grosso errore, come lo riterrebbero i greci antichi, dato che avevano compreso come fosse più facile per la gente giungere alla comprensione d’insegnamenti sulla realtà e sull’umanità attraverso le storie, indifferentemente che fosse il metterle in scena a teatro o il raccontarle attraverso i miti.
Un errore che se non si sta attenti fa cadere (e ha fatto cadere) molti in una mentalità discriminante, limitante e inquinante.
Il fantastico non è un palliativo come fa vedere la riflessione di Lara Manni: il fantastico è un modo per mostrare la realtà, facendo comprendere i suoi lati oscuri, i suoi vizi e trovare il bandolo della matassa per far giungere a una comprensione che porta all’evoluzione.
Il discorso potrebbe dilungarsi a lungo, portando a riflessioni approfondite, ma non è questo il mio intento: troppo a lungo ha visto ripetersi queste discussioni. Non dico che sono inutili, ma ormai le conosco bene e le lascio fare ad altri. A chi fosse interessato suggerisco di seguire gli articoli pubblicati da Lara Manni, interessanti e affrontati in modo intelligente e con toni che non vanno sopra le righe, che non sfociano in flame e non hanno pregiudizi, come è invece per una parte dei giornalisti (leggere questo post. C’è una parte di verità, ma fortunatamente non tutti quelli che scrivono lo fanno per farsi intervistare e finire in tv o sui giornali. Inoltre, non sono poi così ben disposti a farsi manipolare il proprio lavoro come pare e piace all’editore).
Come Val (e come ha detto Lara), ho voglia di storie, voglia di leggerle, ma anche di raccontarle.
Per questo ho deciso di mettere sul sito “Preludium”, la prima parte di L’Ultimo Potere, l’ultima opera di genere fantastico che ho realizzato. Certo, il fantastico è narrativa, ma anche fonte di consapevolezza, mezzo per parlare della realtà e della società. Ed è questo che ho voluto fare con tale romanzo: vediamo se attraverso le vicende si è riuscito nell’intento. Io dico di sì, ma essendo l’autore, il giudizio è di parte 😉 .
I fatti si svolgono in una società decadente e ormai decaduta, una situazione causata dalla mentalità e dalle scelte umane, ma anche da forze che agiscono nell’ombra: due elementi che saranno gli artefici degli sviluppi che ci saranno nel mondo mostrato.
Un mondo che come scenario mi ha fatto tornare in mente quelli di Mad Max, il protagonista della trilogia cinematografica di Interceptor, Il Guerriero della Strada: una figura ben caratterizzata e forte, che rivisita l’archetipo ben conosciuto del Guerriero, che in tante storie è così spesso presente: lo è nella trilogia di Fionavar di Guy Gavriel Kay (interpretato da Arthur Pendragon), lo è nel manga di Tetsuo Hara e Buronson (pseudonimo dello sceneggiatore Yoshiyuki Okamura), Hokuto No Ken, lo è anche nel romanzo che ho scritto (nei capitoli già pubblicati di L’Ultimo Potere, non a caso uno dei protagonisti porta appunto il nome di Guerriero: una scelta voluta, non casuale, perché anche i nomi hanno un significato e devono essere scelti con cura perché rivelano e rafforzano la natura di un individuo o la possono anche cambiare. Ma questo è un discorso che verrà affrontato un’altra volta, sempre con un brano tratto dal libro).
Come già detto in un post precedente, gli Archetipi hanno trovato ampio spazio nelle pagine dell’opera ultimata, come spazio hanno trovato i Vizi (e già si può capire dai primi capitoli: sarebbe interessante vedere se i lettori riescono a individuare quali sono i primi a essere incontrati) nel mostrare lo spaccato della società che porta alle vicende centrali della storia.
Una società che ha portato all’estremo elementi già ben presenti nella realtà che viviamo: l’apparire, il consumismo, lo sfruttamento. Ma anche un ritorno e uno sviluppo di teorie del passato che non sono mai del tutto sparite, come quelle di Cesare Lombroso. Riassumendo sinteticamente, un criminale può essere riconosciuto dal proprio aspetto: quindi, se non rientra nei canoni della persona normale (e qua ci sarebbe da riflettere su cosa è la normalità e sull’influenza che ha la maggioranza nel sceglierla), un individuo viene considerato pericoloso per la società. Molte delle teorie di Lombroso sono state destituite di ogni fondamento, tuttavia c’è una mentalità persistente nella società dove chi è al di fuori dai canoni della normalità viene visto come pericoloso, come male: il povero, l’extracomunitario, il mussulmano, ma anche chi è brutto o presenta deformità fisiche. Certo non è una cosa solo di adesso, ne parlava già Verga (e quanti prima di lui: l’associazione bello=buono e brutto=cattivo è vecchia come il mondo) nel racconto Rosso Malpelo, dove un ragazzo, la cui unica colpa (se si può parlare poi di colpa) è di essere nato con i capelli rossi, viene visto come un poco di buono, un delinquente.
Ho già tolto molto spazio all’inizio della storia, quindi lascio campo alla lettura del primo capitolo.

Vidi salire dal mare una bestia
che aveva dieci corna e sette teste,
sulle corna dieci diademi
e su ciascuna testa
un titolo blasfemo

(Apocalisse 13,1)

Seduta all’ombra dell’albero, la donna se ne stava a guardare il vento spazzare le distese erbose. Di tanto in tanto, mollemente, sollevava lo sguardo a fissare il passaggio delle nuvole nel cielo e il lento scorrere del traffico nella cittadina a valle.
Con un sorriso soddisfatto, si portò le mani dietro alla nuca, stiracchiandosi pigramente come un gatto. Tutto il giorno a lasciar passare le ore in un monotono accavallarsi. Una vita senza pressioni, senza stimoli: un’apatia che smussava ogni cosa, rendendo tutto uguale. Niente picchi emotivi, nessun arrabattarsi dietro sogni: solo il quieto lasciar andare e il perdersi nella dimenticanza del non fare.
Un boato in lontananza, come d’aria collassata su sé stessa, gli fece piegare il capo di lato con disinteresse.
Zolle di terra furono strappare, cespugli avvizzirono nel vento rovente giunto dalla pianura, foglie s’arricciarono nel caldo che si faceva sempre più cocente.
“Esibizionista.” Sbadigliò annoiata.
Piccole trombe d’aria si rincorsero lungo la salita del pendio ingiallendo l’erba.
«Basta così.»
Un gesto mellifluo della mano e i vortici si dispersero in una brezza leggera che andò a sfiorarle i lunghi capelli. Sospirando rassegnata, si sistemò in una posizione meno rilassata, preparandosi alla visita in arrivo.
Spassionatamente rimase a guardare il vento che urlando, bruciando, cercava di sferzare la sommità della collina, trovando a chetarsi come un agnellino appena si avvicinava all’area di sua influenza.
«Tu.» La parola del nuovo arrivato calò come un’accusa, un giudizio carico di colpa e livore.
La donna sollevò gli occhi dal fiore con cui stava giocando. «Modera l’aura: le tue manifestazioni non m’impressionano.»
«Dovrebbero.» Sibilò il nuovo arrivato, le spire di vento che si divertivano a rincorrersi tra i capelli sparati all’insù.
«Lo sai che per quanto ti sforzi non puoi toccarmi con il tuo Potere.» Lo redarguì la donna.
«E il tuo non ha modo di contrastarmi.» Rimbeccò l’altro.
Con un sorriso sbiadito, la donna non poté che convenire. «Una situazione di stallo. Quindi perché prendersela così tanto?»
L’uomo la squadrò in cagnesco prima di mettersi a camminare avanti e indietro, la testa incassata tra le spalle. «Voglio vederti distrutta.» La voce carica d’astio fece tremare l’aria.
La donna abbozzò un flaccido sorriso. «Tutta quella bile ti corroderà le viscere.»
«Quello che per te è veleno, per me è un nettare che mi sostiene e mi rafforza.»
«Credi quello che ti pare.» Con una mano moscia, la donna lo liquidò come se stesse allontanando delle mosche.
L’espressione di divertimento cattivo scomparve dalla faccia affilata dell’altro. «Tu sai perché sono qui.»
«Certo.» Lei socchiuse gli occhi sbadigliando, tendendo la pelle molle di rilassatezza del volto tondo.
«E non hai nulla da dire?»
La donna scrollò le spalle. «Dovrei?»
Il vento esplose ululando, portando scintille con sé.
«Hai finito con queste sceneggiate? Non mi fanno né caldo né freddo.» La donna sbatté le palpebre con disinteresse.
«La città è mia.» Ringhiò l’uomo.
«Interessante.» Rispose lei con noncuranza. «Ma tal questione è tutta da verificare.»
«Non t’intrometterai in questa storia.» La voce dalle labbra sottili dell’uomo in un sibilo.
Svogliatamente la donna si lisciò i capelli compiaciuta. «E tu cosa stai facendo?» Lo punzecchiò con nota sarcastica.
«Non mi provocare. Questa città deve essere mia.» L’aria si fece come d’acqua al passo in avanti dell’uomo, prendendo a ballonzolare come una bolla.
L’indice sinistro di lei fece cenno di no. «Non metterai piede sulla sommità della mia collina: è suolo sacro.»
«Sacro per chi?» Abbaiò sguaiatamente lui.
«Per me e tanto deve bastare.» Il tono basso non faceva presagire nulla di buono. «Per quanto riguarda l’altra questione, so perché la brami tanto: stai cercando di accrescere il tuo Potere per prendere il posto del Sapiente.»
Il volto affilato dell’uomo s’irrigidì.
«Non fare quella faccia.» Le sopracciglia curate della donna si sollevarono annoiate. «E’ quello che tutti noi stiamo cercando di fare.»
«Se lo sai, allora fatti da parte.»
«E rinunciare a una fetta di torta così invitante? Non ci penso nemmeno.» La bolla liquida nella quale si era avvolta cominciò a tremolare sempre più ferocemente, levando schizzi come una botte piena d’acqua colpita con forza. «Possiamo anche stare qua a scannarci, perdendo tempo in uno scontro che non vedrà nessun vincitore.» Sospirò con disinteresse osservando l’erba assumere tonalità giallastre sotto i piedi dell’altro. «Oppure trovare un’alternativa per risolvere la questione.»
L’aura di lui si placò, lo sguardo vigile e rapace. «Quale alternativa?»
«Una sfida.»
«Vuoi combattere con me?» Il corpo dell’uomo si tese con compiaciuta ferocia.
«Di che cosa abbiamo parlato fino adesso?» Lei lo rimproverò pacatamente. «Sei troppo istintivo, per niente riflessivo: assecondando il tuo carattere, fai andare una quantità eccessiva di sangue al cervello, offuscandone il pensiero.»
«E tu sei troppo accomodante.» La rimbeccò con una sferzata l’altro. «Mi domando se ancora sei capace di sollevarti in piedi o se i muscoli ti si sono atrofizzati.»
«Inutile sprecare energie per spiegare a chi non può capire.» Le guance grassocce ballonzolarono allo scuotersi della testa tonda. «Ma ritorniamo alla sfida. E’ più divertente di un confronto diretto tra noi due.» La schiena si staccò dal tronco dell’albero. «Facciamo come gli umani in un lontano passato; scegliamo un campione in mezzo alla gente e lasciamo che sia lui a portare avanti la nostra diatriba. Chi vince si prende tutto il piatto, chi perde lascia il campo. A prescindere dall’esito della sfida, non ci massacreremo a vicenda.»
L’uomo la squadrò in cagnesco. «Dov’è il trucco?»
«Nessun trucco.»
«Perché non risolviamo la questione subito?» La bolla liquida prese a incresparsi all’aumentare dell’aggressività.
«Mio caro» sorrise la donna quando vide il ringhio distorcere i lineamenti dell’altro «tu non hai pazienza, non sai gustare le cose: così facendo ti brucerai tante esperienze.»
«Al diavolo te e i tuoi discorsi!» La voce aspra fece levare di nuovo il vento rovente. «Io voglio la città!»
«E l’avrai. Ma solo se riuscirai a vincere la sfida: non c’è altro modo. Altrimenti continueremo ad annullarci a vicenda.»
Spazientito, l’uomo strinse i pugni con forza. «Ognuno può scegliere chi vuole? Qualsiasi mezzo è lecito?»
«Certo.»
«Limiti di tempo?»
«Il più veloce ad attuare la tattica migliore vince.»
Uno sfrigolio elettrico pervase l’atmosfera.
Uno sguardo d’intesa intercorse tra i due.
«Allora che sia sfida.» Concesse l’uomo.
«Che sia sfida.» Convenne la donna.
In un ghigno tra il divertito e l’arrogante, lui la squadrò. «Sono curioso di vedere come farai per vincere la sfida.»
«Non hai che da aspettare.» Fu la disinteressata risposta che seguì alla scrollata della spalle morbide.
«Sei un parassita.»
«Tu no?»
«Io mi do da fare per ottenere quello che voglio.» Fu il rimbrotto serpentino. «Tu deleghi sempre agli altri, non ti esponi mai. E in una guerra, come nella vita, vince chi è attivo, non chi è passivo.»
«Chi filò ebbe una camicia; chi non filò ne ebbe due.» La donna si gustò compiaciuta la perplessità disegnata sul volto affilato. «E poi fare da spettatori è più divertente.» Sorrise sorniona. «Ti puoi defilare se le cose vanno male, spegnere tutto senza farti male. Ricorda: la vera forza non è quella che si vede, ma quella che rimane celata. Ma tu sei troppo grezzo per comprendere simili sottigliezze.»
L’uomo rispose con un sorriso cattivo. «Gioca pure al burattinaio, agisci come meglio credi. Vedremo chi la spunterà.» Con il corpo scosso da una risata a stento trattenuta, ritornò da dove era venuto.
«Poverino.» Commentò a mezza voce la donna, sentendosi quasi di compatirlo.
Placidamente si lasciò scivolare sul manto erboso, le mani adagiate sul ventre morbido.
Poteva tornare alla sua attività preferita.
Chiuse gli occhi, smettendo di pensare.

I Muri alzati dalla Società

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Noi non cooperiamo: noi obbediamo. Abbiamo paura di venire messi fuori dal gruppo, di sentirci dire che siamo pigri, che siamo disfunzionali, che egoizziamo. Abbiamo timore dell’opinione dei nostri vicini piú di quanto non rispettiamo la nostra libertà di scelta. Tu non mi credi, Takver, ma prova, prova soltanto a scavalcare la linea, soltanto nell’immaginazione, e guarda cosa provi. Comprenderai allora che cosa è Tirin, e perché è un rottame, un’anima perduta. È un criminale! Abbiamo creato il crimine, esattamente come lo crearono i proprietaristi. Noi costringiamo un uomo a uscire dalla sfera della nostra approvazione, e poi lo condanniamo per il fatto di essere uscito. Abbiamo fatto delle leggi, leggi di comportamento convenzionale, innalzato muri tutt’intorno a noi stessi, e non li possiamo vedere, poiché sono parte del nostro modo di pensare. Tirin non ha mai fatto questo. Lo conosco da quando avevamo dieci anni. Egli non l’ha mai fatto, non è mai stato capace di innalzare muri. Egli era un ribelle naturale. Era un Odoniano naturale… uno vero! Era un uomo libero, e il resto di noi, suoi fratelli, l’ha fatto impazzire come punizione per il suo primo atto di libertà!

I Reietti dell’altro Pianeta – Ursula K. Le Guin

Questo scrisse nel 1974 Ursula K. Le Guin.
Questa è ciò che fa la società attuale.
Questo è ciò che sempre ha la fatto la società agli individui liberi.
E che continuerà a fare se non si raggiungerà una consapevolezza diversa, se non si aprirà la mente.

Mani di Forbici, Cuore Puro

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Edward Mani di Forbici è uno dei primi e più famosi film realizzati da Tim Burton. Una storia nel tipico stile di questo regista, con tocchi cupi, dolci e malinconici allo stesso tempo. Una favola moderna, interpretata da un protagonista che sembra venire da un altro tempo, un periodo in contrasto stridente con quello in cui si svolgono le vicende.
Edward è una creazione di un uomo geniale, un inventore di automi, che un giorno decide di realizzare qualcosa di vivo, qualcosa che provi sentimenti ed emozioni; una sorta di Mastro Geppetto che dà forma e vita a un altro Pinocchio. Ma non fa solo questo: lo educa alla cortesia, all’educazione, alla gentilezza. Lo educa alla sensibilità, instillandogli nel proprio animo valori che lo renderanno un cuore puro.
Cuore puro, mani di forbici.
Purtroppo l’inventore, ormai anziano, non riuscirà a compiere la propria opera, morendo proprio il giorno in cui stava per donare a Edward il suo ultimo regalo: mani umane.
A lungo Edward vive solo nel castello sopra la collina, fino a quando non viene trovato per caso da una donna, che, mossa a compassione per la sua solitudine, lo prende a vivere assieme a lei e alla sua famiglia.
Dapprima Edward viene visto come un mostro, un diverso, poi grazie alla sua abilità nell’usare le forbici nel creare magnifiche acconciature per persone e animali e sculture con le siepi, lo rendono un’attrazione al centro dell’attenzione, ammirato, ma non compreso.
E’ quello che succede sempre a un artista, a un cuore puro: troppo grande la distanza con un mondo che non riesce a cogliere la bellezza, che pensa solo a usare e ad apparire. Un mondo possessivo, che con la sua smania di avere è capace solo di rovinare. Un mondo standardizzato, dove le persone più che individui sembrano macchine programmate per seguire lo stesso copione (non è un caso che Burton mostri la cittadina come un agglomerato schematico di abitazioni tutte uguali, dove la mattina le auto partono alla stessa ora per recarsi al lavoro); macchine guidate da un sistema chiuso, che non dà comprensione, che esclude, capace di farsi condizionare da paure e ossessioni, egoismi e invidie, capaci per un non nulla di reagire con violenza, di arrivare a voler uccidere, sobillata da una natura animalesca.
Una storia che si ripete sempre, da secoli; una storia che non si riesce mai a imparare, nonostante siano molti gli esempi. Gesù con i giudei e i farisei, mossi dalla paura dei sommi sacerdoti di veder scomparire il loro potere sulla popolazione; in ugual maniera Bach mostra la stessa scena in Il Gabbiano Jonathan Livingston (“E’ un demonio! E’ il DIAVOLO! E’ venuto a disgregare lo Stormo!” Erano spaventati, da quello cui avevano assistito. E il grido “E’ IL DIAVOLO! IL DIAVOLO!” Passò come una procella in mezzo a loro. Vitrei occhi, affilati i rostri, s’avanzavano, pronti ad uccidere.)
Una storia che parla di odio. Ma l’odio non è tanto una questione di cattiveria, quanto d’ignoranza; un’ignoranza così ottusa da creare un rifiuto sistematico. Incontrare una persona con un pensiero o un modo di vivere differente dalla media, è visto come un male. O come più comunemente veniva detto in passato, come una figura demoniaca, posseduta dal diavolo, rappresentazione di tutte le cose negative esistenti.
La maggioranza delle persone, avendo a che fare con individui diversi dal loro modo d’intendere il vivere, si trova in forte disagio; perciò reputa quelle persone la causa del loro stato d’animo. In realtà tali individui non fanno assolutamente nulla che possa essere ritenuto causa di un qualsivoglia malessere, dato che sono solamente loro stessi; se si vuole trovare il colpevole, basta che le persone che avvertono il disagio si guardino in uno specchio.
La realtà è una sola: gli unici nemici che le persone hanno sono sé stessi e nient’altro, nessun diavolo o avversario le minaccia. Quello che vedono quando provano certe sensazioni è semplicemente specchio di ciò che essi sono e che ancora non riescono, o non vogliono, riconoscere.
E’ incredibile come questo fastidio sia così forte da far desiderare di portare morte e distruzione attorno a sé; ma non è altro che l’ennesimo riflesso di un cattivo rapporto con l’interiorità e la vita. La storia per secoli ha mostrato questo aspetto e nessuno se n’è accorto, lasciando scorrere via questo insegnamento, facendo sì che il copione di chiusura e odio si ripetesse. Questo è demoniaco, non certo confrontarsi con ciò che è diverso, che porta a mutare; ma è proprio quello che molti individui ritengono pericoloso, perché scuote le fondamenta, i credo e ciò per loro è il male.
La verità è che le moltitudini odiano la verità e non fanno altro che cercare di eliminarla in ogni modo possibile.
Una realtà triste, dove c’è solo una gran perdita e la malinconia che rimane nel lasciar andare qualcosa di prezioso e raro.
Così è per i cuori puri, per gli artisti, per i sognatori, per chi riesce a vedere oltre gli strati della realtà e a cogliere la bellezza dell’essenza, che vedono e vivono un mondo diverso da quello conosciuto, un mondo per pochi. E’ per questo che vivono lontano e al di sopra dagli altri, come sta a indicare il castello sopra la collina; e alle volte, se si ha questa fortuna, scendono nel villaggio portando ciò che di prezioso hanno per chi sa coglierlo e apprezzarlo. Visite brevi, perché chi è così non può essere destinato a vivere in mezzo alla massa, con le sue regole e le sue limitazioni; uno spirito libero che torna nel suo rifugio per affacciarsi su altri mondi e dare vita a creazioni meravigliose.

Anelito di Libertà

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Nelle nuvole c’è una fluidità molto simile a quella dell’acqua.
Come il liquido vitale s’adatta a qualsiasi contenitore lo contenga, così le nuvole prendono forma grazie alla spinta del vento, mutando, cambiando in continuazione, lasciandosi trasportare, indifferenti a ciò che saranno o somiglieranno.
Alle nuvole non importa di dove si fanno portare, seguono la corrente, adattandosi alla sua forza, libere viaggiatrici che solcano i cieli come giganteschi flotte di velieri o piccole barche solitarie.
Da sempre gli uomini hanno levato lo sguardo a rimirarle, rapiti dalla loro bellezza, dalla mutevolezza che solleticava l’immaginazione o dalle sfumature che pizzicavano l’animo.
Quante volte sono sembrate un mare di fiamme o una gigantesca onda di spuma pronta ad abbattersi sulla terra.
Quanto volte vedendo un raggio di sole spuntare dietro una di esse si è pensato che fosse un dio che s’affacciasse sul mondo o un angelo che discendesse in mezzo agli uomini.
Tante storie e poesie sono state ispirate da loro, ma più di tutto, quando gli uomini le guardano avvertono una leggerezza che spinge a un’apertura, a un’espansione che è come se aprendo le braccia potessero abbracciare tutto quanto: è un anelito di libertà che toglie per qualche istante ogni peso, ogni catena e costrizione.
E’ questo che l’uomo sente quando le vede: la libertà.