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Jonathan Livingston e il Vangelo

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Strade Nascoste – Racconti

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Il magazzino dei mondi 2

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Fratelli

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È la nostra sofferenza che ci porta insieme. Non è l’amore. L’amore non obbedisce alla mente, e diventa odio quando viene forzato. Il legame che ci unisce è al di là della scelta. Noi siamo fratelli. Siamo fratelli in ciò che condividiamo. Nel dolore, che ciascuno di noi deve soffrire da solo, nella fame, nella povertà, nella speranza, conosciamo la nostra fratellanza. Lo sappiamo, perché abbiamo dovuto impararlo. Sappiamo che il solo aiuto per noi è quello che ci diamo reciprocamente, che nessuna mano ci salverà se non tenderemo la mano. E la mano che voi tendete è vuota, come la mia. Voi non avete nulla. Voi non possedete nulla. Voi non siete proprietari di nulla. Voi siete liberi. Tutto ciò che avete è ciò che siete, e ciò che date.
Io sono qui perché voi vedete in me la promessa, la promessa da noi fatta duecento anni fa in questa stessa città… la promessa mantenuta. Noi l’abbiamo mantenuta, su Anarres. Noi non abbiamo altro che la nostra libertà. Noi non abbiamo altro da darvi che la vostra libertà. Noi non abbiamo altra legge che il singolo principio dell’aiuto reciproco tra individui. Non abbiamo altro governo che il singolo principio della libera associazione. Non abbiamo stati, non abbiamo nazioni, presidenti, capi del governo, capi militari, generali, principali, banchieri, padroni di casa, non abbiamo salari, ospizi, polizia, soldati, guerre. E le cose che abbiamo non sono molte. Siamo compartecipanti, e non proprietari. Non siamo prosperi. Nessuno di noi è ricco. Nessuno di noi ha potere. Se è Anarres ciò che volete, se Anarres è il futuro che cercate, allora vi dirò che dovete accostarvi ad esso con mani vuote. Dovete raggiungerlo da soli, e nudi, come il bambino giunge nel mondo, nel futuro, senza alcun passato, senza alcuna proprietà, dipendente in tutto da altri per la sua vita. Non potete prendere ciò che non avete dato, e dovete dare voi stessi. Non potete comprare la Rivoluzione. Non potete fare la Rivoluzione. Potete soltanto essere la Rivoluzione. È nel vostro spirito, oppure non è in alcun luogo.

I Reietti dell’altro pianeta – Ursula K. Le Guin

Un brano che non ha bisogno di essere commentato, dato che mostra tutto quello che c’è da mostrare.

Piccole Soddisfazioni

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“Che cos’è quello che più cerchiamo? Che cos’è quello che ciascuno di noi vuole? Sicuramente è importante scoprirlo. Probabilmente la maggior parte di noi cerca qualche genere di felicità, qualche genere di pace; in un mondo sconvolto dai tormenti, dalle guerre, dalle contese, dalla lotta, vogliamo un rifugio dove ci possa essere pace. Penso che sia quello che la maggior parte di noi vuole. Così ci mettiamo al seguito di qualcuno, passiamo da un leader all’altro, da un’organizzazione religiosa all’altra, da un maestro a un altro.
Ora, noi cerchiamo la felicità oppure cerchiamo una gratificazione di qualche tipo, dalla quale speriamo di derivare la felicità? C’è differenza tra felicità e gratificazione. Si può cercare la felicità? Forse si può trovare gratificazione ma sicuramente non si può trovare felicità. La felicità è derivata; è un sottoprodotto di qualcos’altro. Allora, prima di mettere le nostre menti e i nostri cuori su qualcosa che richiede una grande dose di onestà, attenzione, pensiero e cura, non dobbiamo forse scoprire che cos’è che stiamo cercando, se la felicità o la gratificazione? Temo che i più stiano cercando la gratificazione. Vogliamo essere gratificati, alla fine della nostra ricerca vogliamo trovare un senso di pienezza.”

Queste sono le prime righe di La ricerca della felicità di Krishnamurti, riflessioni che sono iniziatiche di una presa di consapevolezza di sè, della vita, di che cosa si cerca in essa. In fondo quello dell’uomo è sempre stato un continuo viaggio, un continuo inizio di qualcosa di nuovo e non c’è mai una vera fine, una meta cui arrivare.
Quello che spesso gli individui non riescono a cogliere è che ciò che conta di più non è tanto l’inizio o la fine, quanto il cammino che si conduce, il viaggio e ciò che in esso s’incontra.
Una vita è meritevole d’essere vissuta più che per raggiungere un obiettivo (se ci si fa caso, spesso, quando questo avviene, ci si sente svuotati perché si è perso lo scopo, la meta che era divenuto il fulcro della vita), per il saper cogliere quanto l’esistenza ha da proporre giorno per giorno. Spesso non ci si accorge di questo perché troppo concentrati (o distratti) su altre cose, su se stessi, e si pensa che ci sia solo povertà quando invece per rendere ricca la vita basterebbe veramente poco, basterebbe accorgersi di ciò che si ha intorno, aprire gli occhi: l’incontro con una persona, un paesaggio, un libro. Tante piccoli fatti piacevoli che rendono l’esistenza più luminosa.
Dal canto mio, in questi giorni una piccola soddisfazione l’ho avuta, ancora migliore dato che non l’ho cercata: fa piacere ricevere la richiesta d’essere menzionati sul sito ufficiale di Guy Gavriel Kay l’articolo che avevo scritto sulla trilogia di Fionavar (lo si può vedere in questa pagina del sito dell’autore canadese).
Certo, non è un fatto che cambia la vita, ma la rende un pò migliore, dato che è una soddisfazione ricevere un apprezzamento da chi si è apprezzato.

Dove sta andando l'editoria?

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In questo periodo sono accaduti fatti in ambito editoriale che hanno fatto levare proteste su decisioni che lasciano perplessi; decisioni che fanno compiere riflessioni verso dove si sta andando e che piega possa prendere il quadro delle case editrici.
Non è facile trovare una risposta, ma non è nemmeno possibile che tutto si debba ricondurre solo a una questione di soldi, dato che il libro è più di un elettrodomestico, di un oggetto inanimato. D’accordo che una casa editrice deve fare utile per sopravvivere e deve valutare il venduto (non solo osservare i resi: perché se un libro vende centomila copie, ma si è fatta una tiratura di un milione, la colpa non è dello scrittore che non è valido, quanto dell’editore che ha fatto valutazioni errate). Purtroppo, come succede in tutta l’imprenditoria, si ritiene che la panacea ai problemi sia il taglio dei costi, senza riuscire a comprendere che per uscire da certi periodi la soluzione è aumentare invece la professionalità e la qualità del prodotto, perché è questo che fa sopravvivere e dà futuro.
Soprattutto va ricordato che lettori e scrittori sono persone, non oggetti da sfruttare, macchine da cui spremere soldi, e vanno rispettate. Come vanno rispettati i valori e le idee che esprimono, perché la libertà d’opinione, sempre nei giusti modi, è un bene prezioso, non qualcosa da condannare e perseguitare, mettendo da parte, cercando di eliminare chi non segue le direttive del potere e dell’adattarsi al sistema (come questo buio periodo storico del nostro paese ha dimostrato in questi anni).
Occorre riflettere su quanto sta accadendo e prenderne coscienza, sapendo che tutti si è responsabili. Occorre che ognuno faccia la sua parte, dia un contributo insieme alle altre persone a cambiare il sistema.

Essere il Migliore

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Che cosa significa essere il migliore?
Significa essere il più forte?
Questo non può essere vero, perché non c’è uno forte che non ne esista uno più forte, un continuo superarsi dato che questo è ciò che fa l’evoluzione: ciò che è l’apice oggi rimarrà indietro rispetto a ciò che sarà domani.
Significa essere il primo?
Anche questo può essere contestato, dato che alle volte la bravura non basta, spesso i meritevoli, coloro che hanno dimostrato capacità, si vedono superati da chi è stato aiutato dalle circostanze, dalle coincidenze, o, purtroppo, anche dalle raccomandazioni.
Significa essere perfetti?
No, perché la perfezione è soltanto un ideale che non troverà mai attuazione in mondi creati e dominati da regole. Ma forse un frammento di verità nel tendere verso qualcosa di così grande c’è: è un anelito che spinge a superare i limiti, qualcosa che pochi possono comprendere e che ancora meno possono intraprendere come cammino nella vita che hanno a disposizione.

Un fruscio sull’erba richiamò la sua attenzione. Tre praticanti, due ragazzi e una ragazza, stavano ritti davanti a lui.
Era la terza volta che li incontrava.
Li aveva visti festeggiare il passaggio di livello e affrontare una prova troppo ardua per la preparazione che avevano, per il puro gusto di essere umiliati. E ora lo stavano fissando.
«Buongiorno signore.» Lo salutò il ragazzo dai capelli castani.
«Le siamo di disturbo?» Aggiunse garbatamente la ragazza.
Il terzo membro rimase un po’ in disparte.
«Nessun disturbo, ma non importa che vi rivolgiate a me con tono formale: non siete di fronte al vostro tutore o a un superiore. Reinor basterà.»
Il ragazzo che aveva parlato dopo un attimo d’esitazione riprese la parola. «D’accordo Reinor. Noi vorremmo chiederle se…»
«Quando ho detto di non usare un tono formale, intendevo in tutti i sensi. Puoi rivolgerti a me alla stessa maniera con cui parleresti ai tuoi amici.» Lo interruppe l’Usufruitore.
«Ma c’è stato insegnato di dimostrare rispetto per i superiori di livello.» Precisò il ragazzo.
«Ti hanno insegnato bene, ma con me non è necessario: non sono un superiore e non ho cariche nell’ateneo. Sono qui per approfondire le mie conoscenze e sviluppare le capacità.» Puntualizzò Reinor.
«Per quello che dobbiamo chiedere lo è.» Sottolineò la ragazza.
«Spiegatemi la vostra richiesta.» Aveva già un’idea di quello che volevano.
«Vorremmo che c’insegnassi a usare il nostro Potere, a controllare le nostre discipline.» Questa volta a parlare era stato il ragazzo rimasto in disparte.
Nei suoi occhi Reinor vide un fuoco che riconobbe all’istante e seppe subito della volontà che li aveva spinti a fare quella richiesta.
«Vorremmo che fossi il nostro tutore e ci svelassi la via per aumentare le nostre capacità.»
«Sapete che ai giovani non è concessa la facoltà di scegliere la propria guida. E’ l’ateneo a sceglierlo e voi ne avete già uno.» Reinor ricordò la regola dell’istituzione.
«Lo sappiamo, ma è troppo poco quello che c’è dato; siamo limitati, sentiamo il bisogno di avere di più. Secondo il nostro tutore quello che ci viene insegnato è più che sufficiente e non vuole darci altro. Da ieri siamo però convinti che non è in grado di darcelo. Per questo ci rivolgiamo a te.» Spiegò rapidamente il giovane che aveva parlato per primo.
Reinor capì quel che volevano, avendolo già provato quando era giovane. «Comprendo la vostra richiesta, ma non posso accoglierla. Non sta a me prendere il posto di chi vi è stato assegnato. Vi posso solo dire di impegnarvi al massimo e non accontentarvi mai di quanto raggiunto: cercate sempre di spingervi oltre. Questa è la chiave di riuscita.»
«Non chiediamo niente di tutto questo.» Intervenne la ragazza. «Vorremmo se possibile che c’insegnassi nel tempo libero, al di fuori delle lezioni.»
«Perché fate questa richiesta proprio a me?»
Fu la ragazza a rispondere. «Non abbiamo mai visto nessuno usare il Potere in quella maniera; lo ha anche ammesso il nostro tutore ed è una cosa che non fa mai. Per questo ti riteniamo la persona adatta.»
«Non è la risposta giusta alla domanda. Perché fate questa richiesta a me?»
«Perché vogliamo diventare i migliori.» Fu il terzo membro del gruppetto a rispondere.
Nella sua voce Reinor non percepì alcuna incertezza.
«Sapete cosa state chiedendo?» Il suo sguardo indagatore non li lasciò un attimo. «Che cosa vi spinge a volerlo diventare?»
Il primo ragazzo che aveva parlato si schiarì la voce. «Vogliamo essere i migliori per dimostrare quello che valiamo veramente, per non avere più nessuno che possa ritenersi superiore a noi.»
«Per chi lo fate?» Proseguì Reinor deciso.
La domanda li spiazzò, inaspettata e incomprensibile.
«E’ una cosa personale.» Interloquì la giovane. «Lo facciamo per noi stessi.»
«Non è una motivazione sufficiente.» Spiegò con calma Reinor. «La difficoltà per conseguire questo stato è nel riuscire a sopportare il prezzo per il suo conseguimento; ed è un prezzo che può spezzare anche i più forti. Per questo come motivazione occorre qualcosa di più grande della soddisfazione personale, del senso di rivalsa o di te stesso. La motivazione deve essere qualcosa al di sopra di tutto, niente gli deve essere anteposta: tutto deve esservi sacrificare. Deve essere una dedizione speciale.» Si fermò osservando i ragazzi.
«Cosa intendi per sacrificare tutto?» Domandò il ragazzo dai capelli castani.
«Divertimenti, sentimenti, legami, gioie: qualsiasi cosa ostacoli l’obiettivo. Ci deve essere solo quello. Devi capire che ti sarà richiesto molto per perseguire questo scopo. Sarà una vita di sacrifici e non finirà mai perché ci saranno sempre sfide e limiti da superare: è questo il destino cui si va incontro se si vuole essere il migliore. Bisogna esseri pronto a percorrere questo cammino da soli perché nessuno potrà aiutare. Nessuno potrà capire le ragioni dell’intraprendere tale strada: quando sei o vuoi diventare il migliore sei in una dimensione lontana dall’ordinario, dalle sue ragioni, dai suoi bisogni. Sei come un falco: voli alto, al di sopra degli altri. Ti vedono, ma non possono conoscere i tuoi pensieri. E’ così che si diventa intraprendendo questa strada.»
I ragazzi erano turbati, la risposta avuta inaspettata.
Reinor seppe ciò che provavano: non erano molti quelli disposti a fare una tale scelta. «Siete sicuri di quello che chiedete?»
«E’ una scelta difficile.» Disse la ragazza. «E anche molto triste. Perché ci sono state delle persone che hanno preso questa decisione, sapendo qual era il prezzo da pagare? Ne erano consapevoli?»
«Lo erano.» Asserì con calma Reinor.
«E allora perché?» Continuò la ragazza non riuscendo a capire.
Sul volto dell’Usufruitore si dipinse una dolcezza che di solito non lo caratterizzava. «I motivi possono essere differenti. Per alcuni è l’unico modo di vivere, per altri è la loro natura, per altri ancora sono le circostanze a spingerli su questa strada. Come ho già detto, non lo fanno però per se stessi. Anche se non lo capiranno, o non lo ammetteranno quel che fanno è in favore degli altri: per essere una guida o un aiuto. Spesso sono pragmatici, appaiono estranei e insensibili, non si riesce a comprendere quel che fanno. A loro non interessa che la gente li capisca: si sono distaccati dalle cose del mondo, anche dalla comprensione. Sono pronti a tutto pur di raggiungere il fine.»
La rivelazione data aveva avuto un duro impatto sui tre: non erano pronti ad accettare quella verità. Non sarebbe stata la loro strada. Forse se n’erano resi conto anche e questo stava minando la loro sicurezza, quando ancora ne avevano poca.
«Tuttavia questo è un fatto che si rivela solo con il tempo: non è il caso di occuparsene adesso. Guardiamo al presente. Avete ragione sul fatto di volere di più da quello che vi è insegnato e sulla limitatezza dell’istruzione ricevuta. Occorre sopperire e cercare di migliorare le vostre capacità.» Non mancò di notare che in loro stava ricomparendo la voglia che aveva visto all’inizio dell’incontro. «Faremo così: domani, dopo le vostre attività quotidiane, ci ritroveremo all’arena, dove mi mostrerete le vostre capacità. Dopodiché vi darò dei suggerimenti per colmare lacune ed eliminare i difetti. V’insegnerò anche qualcosa di nuovo; poi vi consiglierò la lettura di volumi che riterrò adatti all’inclinazione mostrata. V’indicherò la direzione da prendere, ma toccherà a voi seguirla. Conoscete il detto “ sii l’unico maestro di te stesso?”» Aspettò che facessero cenno di sì. «E’ quello in cui credo e così insegno. E’ duro da seguire all’inizio, ma alla fine è quello che dà maggiori risultati. Vi sembrerà che vi lasci a voi stessi, ma imparerete a capire che vi sto aiutando. Vi può andare bene?»
I ragazzi erano raggianti, la durezza della scoperta avvenuta poc’anzi lasciata alle spalle, i pensieri già rivolti al domani. Reinor rinunciò a contare le volte in cui lo ringraziarono. S’avviarono agli alloggi pieni d’esultanza, lasciandolo di nuovo con i suoi pensieri. Sorrise mentre li vide allontanarsi a passo spedito, ridendo e scherzando, lieto per la loro spensieratezza.
I ragazzi si erano rivolti a lui in seguito alla dimostrazione avuta il giorno precedente e al discorso che aveva sentito proferito. La richiesta che gli avevano fatto era stata rivelatrice: volevano essere i migliori e consideravano che per esserlo occorressero gli insegnamenti del migliore. Per loro era lui.

La fine di un'epoca

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I fatti occorsi in questi giorni hanno segnato la fine di un capitolo della storia contemporanea.
Un capitolo buio, fangoso, squallido, presuntoso, irrispettoso, denigratorio, sopraffacente, disprezzante.
Un capitolo che ha ricordato, quando non le ha fatte risorgere, le ombre del periodo comprensivo tra il prima della seconda guerra mondiale e il subito dopo.
Un capitolo che si augura sia quello finale di un pessimo e mediocre libro, esempio di come non si deve fare per realizzare una storia.
Quanto successo rappresenta una tappa necessaria, ma non sufficiente per cambiare pagina. Le reazioni del momento sono di euforia, di vittoria, di certo si può tirare un sospiro di sollievo e si può respirare meglio, ma i problemi non sono risolti: è tempo di metterci finalmente mano e il lavoro da fare è tanto. Un’intera catena montuosa.
L’ex presidente del consiglio non era la totalità del male, ma ha fatto parte del male, ne è stato creatore e perpetratore. Se fosse stato l’unica causa, una volta scomparso tutto sarebbe stato risolto:purtroppo non è così. E’ che tra non fare, assecondare, giustificare si è arrivato nello stato in cui siamo. E molti sono responsabili di quanto successo.
I danni sono talmente ampi che per risalire occorreranno svariati anni e quando si cominceranno a scoprire gli altarini ci si accorgerà che la situazione è peggiore di quel che adesso appare. Il paese è a pezzi, peggio del dopoguerra, perché allora c’era la spinta a ricostruire, qui invece non c’è nulla e nessuno che si muove: vale per i politici, ma soprattutto per la gente che è rimasta passiva a subire, senza mai ribellarsi, dire un no, lottare, se non per gli altri, almeno per la propria dignità.
E questo le persone non sono ancora giunti a capirlo.
Ora è tempo di prendere coscienza degli errori del passato, di essere consapevoli di cosa si deve fare nel futuro perché, come recita la famosa poesia di Edgar Allan Poe, mai più sia in mano a individui del genere.

Boria, Sopravvalutazione, Umiliazione

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Da sempre, in qualsiasi epoca e luogo, avere anche solo un minimo di potere fa provare a molti un senso di superiorità e disprezzo verso gli altri, come già visto.
La boria non porta mai nulla di buono: fa sopravvalutare le proprie capacità, non facendo vedere i propri limiti e, cosa peggiore, non facendo prendere in considerazione che se ne possano avere.
Un atteggiamento che porta a sfruttare la posizione, la carica che si ricopre, per umiliare chi sta un gradino più in basso. E a dimenticarsi che si viene trattati nello stesso modo in cui si trattano gli altri (lo insegna anche una preghiera molto nota: rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori): la vita rende sempre quello che si fa, alle volte con gli interessi; prima o poi arriva il momento di rendere conto di quanto fatto (chi ha orecchi per intendere, intenda). Senza dimenticare che questa gran maestra non fa che rammentare che non c’è uno forte, che non ne esista uno più forte.

Una serie di puntini neri si muoveva a settentrione. Focalizzò l’attenzione su di loro, lasciando che la sua energia fosse permeata dalla sensazione d’espansione, convogliandola sul senso visivo.
Istantaneamente l’immagine divenne più grande e nitida: un gruppo di giovani al cospetto del loro tutore. Mantenendo attivo il Potere lo utilizzò per amplificare l’udito.
«Il vostro obiettivo è centrare e polverizzare i bersagli posti alla distanza di venti metri.» Udì chiaramente la voce dell’istruttore come se fosse al suo fianco.
«Avrete un solo tentativo, ma, date le vostre umili origini, dubito che sarà un successo. Anche se di questo non può esservi imputata colpa: non tutti possono avere la fortuna di nascere in una famiglia nobile nella quale scorrono i geni del Potere.»
Un sorriso di soddisfazione comparve sul volto di Reinor.
Non impiegò molto a raggiungerli e quando fu nei loro pressi s’accorse che la prova era già terminata: le pietre che fungevano da bersaglio erano scheggiate e rotolate lontano dalla posizione originaria. L’obiettivo richiesto non era stato finalizzato.
Lo sguardo ricadde sugli esaminandi ed ebbe spiegato perché la prova non era stata superata: erano troppo giovani per superare un esame del genere. Riconobbe i ragazzi che pochi giorni prima aveva visto festeggiare nel prato.
Spostò lo sguardo sul tutore.
«Come volevasi dimostrare, avete fallito. Non c’era da aspettarsi niente di più da gente della vostra risma; avete dato dimostrazione del valore delle vostre umili origini. Ricordatevi sempre questo giorno; per quanto v’impegnerete non raggiungerete mai il livello di chi ha nobili origini. Portategli rispetto: sono esseri superiori.» Asserì sprezzante, guardando ogni singolo praticante, soffermandosi su uno in particolare. «Qualcosa da ribattere? Ricordati che non solo sono un nobile, ma che ti sono anche superiore di grado e sei sotto la mia guida: è da me che dipende il tuo giudizio e il tuo avanzamento, oltre la tua permanenza all’ateneo.» Lo squadrò dall’alto al basso. «Rammenta che cos’è l’umiltà: non raggiungerai mai i miei livelli.»
«Ma se alla sua età non eri capace nemmeno di far levitare una piuma.» La voce di Reinor li fece sobbalzare.
«Chi osa proferire simili parole?» Sbottò il tutore voltandosi a guardarlo.
«Io e parlo con cognizione di causa. Chi si loda tanto delle sue capacità, vuol dire che sa di essere limitato e cerca d’aumentare il proprio valore con le parole.» Lo fronteggiò Reinor.
Il tutore si levò tronfio della sua carica. «Sei straniero per non conoscere che io sono Cazias, allievo e nipote del grande Galtias.»
“Deve essere un vizio congenito della città.” Pensò Reinor.
«Non conosco il tuo maestro e quindi non posso giudicarne il valore, né posso assegnargli il nome di grande. Ma se è stato grande, questo non significa che lo sei anche tu. Se come dici è stato così, allora da lui non hai saputo apprendere quanto ha insegnato. Ostenti troppo il fatto di essere suo discepolo; è la prima immagine che presenti quando ti trovi al cospetto di altri e lo fai per nascondere quel poco che sei.» Continuò senza fermarsi. «In questa maniera tu stesso ammetti che il tuo maestro era grande e tu sei niente, solo un’ombra, una brutta copia. Della tua guida non hai capito che ha cercato d’insegnarti come, trovata la propria via, si possono raggiungere grandi livelli. Hai travisato l’insegnamento, credendo che con il suo metodo potessi raggiungere la grandezza che ostenti. Quello che ti ha dato è andato sprecato: sei un fallimento come uomo e discepolo.» Un luccichio comparve nei suoi occhi. «Se il tuo maestro è stato grande: altrimenti rispecchi quello che era.»
Il tutore si fece livido di rabbia. «Sei bravo a parole, ma lo sei altrettanto nei fatti? Io l’ho dimostrato, tu puoi fare altrettanto?» Disse indicando il mucchietto di detriti a una trentina di metri dal punto in cui si trovavano. «Ragazzo va a sistemare un bersaglio nel punto dov’era quello che ho distrutto.» Ordinò a uno dei praticanti del gruppetto.
«Non ce n’è bisogno: il bersaglio è già presente sul terreno.» Lo fermò Reinor.
«Un po’ poco per dimostrare le proprie capacità non credi?» Lo derise il tutore. «Utilizzare i bersagli dei praticanti è misera cosa per un Usufruitore.»
Reinor non lo prese in considerazione, il Potere che fluiva in lui, espandendosi e crescendo come un mare in tempesta. Levò il braccio destro, il palmo della mano rivolto verso l’obiettivo. La terra tremò, ci fu rumore di roccia che si spaccava in una violenta esplosione. Una pioggia di detriti bucò la nube di polvere che si era alzata. Quando tornò visibilità la roccia grossa come un bue a una cinquantina di metri era frantumata per più di metà.
Gli astanti erano a bocca aperta per la dimostrazione di Potere. Si ripresero quando un brusco cenno del tutore fece segno di rientrare; impettito nelle sue vesti guidò la colonna d’allievi.
«L’umiltà è una gran cosa per chi sa usarla. Ricordalo se vuoi davvero essere il migliore.» Disse Reinor.

Oggi voglio segnalare

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il racconto Chi vuol essere un eroe di Alessio Paolucci, finalista al primo premio Effemme.
Una lettura piacevole, ben scritta e caratterizzata, capace di far nascere un sorriso, far riflettere e perché no, anche far sorgere un pò di speranza: in fondo molte opere del passato sono state “profeti” di quanto avvenuto dopo che sono state scritte (vedi i libri di Jules Verne per fare un esempio).
Chi volesse seguire il consiglio che ho dato, la scoperta di aver impiegato bene il tempo dedicato a questo brano.