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Il Vecchio e il Mare

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Il Vecchio e il Mare, un romanzo di Ernest Hemingway. E’ la storia di un pescatore a cui la fortuna ha voltato le spalle: le pesche sono infruttuose da lungo tempo. La gente del villaggio, vedendolo in difficoltà, se ne sta alla larga, timorosa che la sfortuna le si attacchi; l’unico che ha simpatia di lui è un ragazzo, ancora incontaminato dalla mentalità dei grandi. Superstizione. Pregiudizi. O più semplicemente fastidio per chi versa in cattive condizioni, timorosi che l’altro possa chiedere un aiuto.
Sembra quasi che nei momenti di difficoltà le persone se ne stiano alla larga perché i guai del malcapitato non li seguano. Si è evitati, messi da parte, la sola presenza un fastidio. La storia è un modo per mostrare che nelle difficoltà si è isolati, anche avendo qualcuno vicino, perché le difficoltà debbono essere affrontate da soli, nessuno può superarle al posto nostro.
Questa è una delle realtà dell’esistenza, quanto il romanzo ha detto a me; faccio questa premessa per rispetto all’autore, che per sua natura non amava che si cercassero simbologie nei suoi libri. Ciò che voglio non è ricercare allegorie, ma semplicemente mostrare a ciò che il romanzo mi ha fatto pensare: un esempio da seguire.
Il pescatore è l’uomo, rappresenta ogni individuo, chiunque può raffigurarsi in lui perché chiunque ha incontrato difficoltà e periodi duri.
L’oceano è simbolo di vita, da esso si dice che si siano sviluppate le prime forme d’esistenza che hanno dato il via al mondo e alle creature che conosciamo. L’oceano con le sue profondità, gli abissi, i luoghi bui è anche il simbolo della nascita delle creazioni: divine, letterarie, scientifiche.
Il pescatore ogni giorno va nell’oceano a pesca: così è l’uomo che ogni giorno va incontro alla vita. Quella vita capace di fare doni (il pesce spada), ma anche di rovinarli e farli perdere (squali), come se alle volte voglia essere chiusa, precludere qualsiasi cosa all’individuo, come se si ostinasse contro di lui.
Il vecchio, oppresso dalle fatiche e dall’età, non si arrende, continua a lottare, convinto che le cose non possono andare male per sempre, che quello che serve è solo tenere duro un altro po’. Questa è la lotta con il pesce, rappresentazione del duro periodo in cui è, deciso a non lasciarsi sopraffare. Il vecchio è l’uomo che fa, che lotta. E alla fine ce la fa, ne esce vincitore: il pesce spada, la difficoltà, non l’ha avuta vinta.
Ma le vittorie sono effimere e ci sono sempre squali pronti ad accanirsi e a distruggere, a sfruttare il periodo di debolezza, rovinando impegno e volontà, lasciando con nulla in mano; lasciando sconfitti.
Così è alle volte la vita: ingiusta, crudele.
E allora sorge una domanda.
Vincere, perdere: che differenza fa?
Tutto passa, tutto è mutevole; niente è per sempre, tutto è cambiamento.
E allora perché darsi tanto da fare, se alla fine, in qualsiasi caso, non si ha nulla in mano?
Per non rinnegare se stessi; per non arrendersi. Perché la vita è anche lotta, una lotta che merita di essere affrontata. Non conta il risultato, non conta ottenere riconoscimenti: conta essere.
E il pescatore è stato l’uomo che non ha mollato.
Una storia triste, ma anche di speranza, un invito a non mollare perché il fato, il destino, la malasorte (chiamatelo come volete) può anche uccidere una persona, ma non avere la meglio su di lei.
Perché non mollare è ciò che conta: il non arrendersi è LA vittoria.