Qualche post fa ho parlato di Hachiko: il film ha già il suo significato, ma le scene finali mi hanno fatto cogliere un’analogia con la vita umana. Come spesso si rimane in attesa di qualcosa che non arriverà mai.
Può trattarsi di tante cose: una grande occasione, la realizzazione di un sogno, il ritorno di sentimenti scomparsi, legami che ormai non esistono più. Aspetti diversi di una stessa natura: l’illusione.
A causa di essa l’esistenza diventa un trascinarsi, un corso lento che scivola via senza essere vissuto. Si vive in un’attesa piena di aspettative, velata con un sottofondo di malinconia, un sottile struggersi che lentamente consuma, facendo scemare quella fiamma che è la vita.
Tale attesa illusoria è ben mostrata in Aspettando Godot di Samuel Beckett. A essere proiettati verso qualcosa che verrà, non si guarda il presente, ci si nasconde a esso; se questo avviene significa che la vita che si vive nell’adesso è triste, c’è qualcosa che non piace e allora si spera che il futuro sia migliore, vivendo nella speranza che un giorno si realizzi, che le cose diventino migliori. Ma se si fugge dal presente e si corre lontano, quando ci si fermerà ci si accorgerà che il presente è sempre stato alle spalle, lo si è portato sempre appresso. Si è corso tanto attendendo qualcosa di migliore, ma in realtà non si è fatto nulla.
E’ un’immagine triste, come quella di un cane vecchio e stanco, logoro nel corpo e nello spirito, che trascinandosi di notte su una rotaia va ad aspettare quell’amico che non potrà mai più arrivare.
Nella vita esistono tante verità: una di queste è che l’umanità è un nomade che continua a errare sempre in cerca.
E che cosa cerca?
Cerca di colmare i vuoti e può farlo solamente attraverso i sogni e i sentimenti.
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