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Analogie 2: Trump come Greg Stillson?

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Analogie 2: Trump come Greg Stillson?Ne avevo già parlato in un articolo diversi anni fa, quando ci furono le precedenti elezioni americane; allora le cose andarono diversamente e non vinse chi si temeva. Non è andata così questa volta e i timori di allora ora sono più forti, dato che si vedono le stesse analogie tra Trump e Greg Stillson, il candidato al Senato del film La Zona Morta (1983, diretto da David Cronenberg), tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King. I modi di fare e la politica di Trump sono preoccupanti (che punta al conflitto, all’odio e alla discriminazione), diretti in una direzione che non preannuncia nulla di buono: anche nel libro di King il personaggio si presentava come il rappresentante di tutti, disponibile verso chiunque, ma in realtà, a parte il potere e il compiacimento di possederlo, a Stillson non importava nulla della gente, ma solo di se stesso; se fosse stato lasciato fare, avrebbe condotto a un tremendo conflitto mondiale. Il fato non si verificò perché si riuscì a fermarlo.

La realtà è diversa dal libro e non perché non c’è nessuno con poteri paranormali, ma perché non c’è volontà di far andare le cose per il meglio: è chiaro che non si andrà incontro a qualcosa di buono. Ancora non si è compreso che non dovrebbe essere permesso a imprenditori di ricoprire ruoli politici e il motivo è semplice: troppo potere concentrato nelle mani di uno solo. La maggior parte delle persone non vuole comprendere questa realtà, o non dando importanza alla cosa o convinta distortamente che questi individui siano davvero le figure giuste per far funzionare le cose. Ma in un periodo sempre più esasperato, dove prende sempre più piede l’intolleranza, dove la giustizia viene calpestata per far spazio alla corruzione e al malaffare e la gente compie in numero sempre maggiore gesti di omicidio/suicidio, ci si rende conto che il mondo sta sprofondando nella follia; è come se ci fosse una sorta di presenza che condiziona e spinge per far esplodere violenze e atrocità. Forse It, la famosa creatura dell’omonimo romanzo di King, esiste davvero. O forse si tratta della Bestia di cui si parla nell’Apocalisse di Giovanni (capitoli 12 e 13), che tanta ammirazione fa nascere negli uomini. Una cosa però è certa: la storia ha insegnato più volte simili lezioni e tutte le volte non si è appreso nulla da esse.

IT - Alcune riflessioni sull'uscita del film

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It è il romanzo capolavoro scritto da Stephen King nel 1986. Per chi non conoscesse la trama, la storia inizia nel 1957 nella cittadina americana di Derry con una barchetta di carta, un tombino, un clown e un bambino ucciso brutalmente. Una morte violenta, ma che non è certo l’unica che deturpa la quiete della comunità, come alcuni hanno modo di accorgersi. E quelli che si accorgono davvero di quanto sta accadendo non sono altro che ragazzi poco più che bambini, un gruppo che si fa chiamare i Perdenti e che si trova unito in una lotta contro qualcosa di più grande di loro, un male che periodicamente si risveglia per nutrirsi e quando lo fa, fa dilagare la follia e la violenza di cui è portare. Ben Hanscom, Eddie Kaspbrak, Bill Denbrough, Richie Tozier, Stan Uris, Beverly Marsh, e Mike Hanlon sono gli unici a opporsi a IT, l’essere spietato che ha fatto di Derry la sua casa. La cosa non va bene al mostro, che prende a perseguitare i membri del gruppo, ma questo non basta a fermarli: affrontano la malefica creatura, sconfiggendola ma non uccidendola. I ragazzi temono che ritornerà e allora fanno un giuramento di affrontarlo nuovamente se tornerà a saltare fuori.
Passano ventisette anni. Tutti hanno lasciato Derry e hanno avuto successo; tutti tranne Mike, che è rimasto nella cittadina ed è l’unico che non ha dimenticato il mostro e il passato: lui è la memoria del gruppo ed è quello che li ricerca per farli tornare e affrontare IT. Uno di loro non reggerà a questo ritorno, ma gli altri andranno avanti nella lotta, perché sanno che non avranno un’altra possibilità per fermarlo.
It

Questa è a grandi linee la storia narrata da King, ma la trama del romanzo è molto più profonda e articolata e solo leggendola nella sua interezza si può comprendere l’ampiezza del lavoro dello scrittore, di quanto va a fondo nel caratterizzare i personaggi e scavare nella realtà di Derry e dell’animo umano. It è molto più di un romanzo dell’orrore: è una storia di consapevolezza, che parla della crescita, dell’amicizia, della memoria e della perdita; è qualcosa di una bellezza difficile da spiegare a parole, ma è qualcosa che rimane dentro.
Proprio per questo, per le sue tante sfaccettature e sfumature, è difficile pensare che una trasposizione per il grande schermo (nel 2016 dovrebbero iniziare le riprese per due film dedicati a IT) possa riuscire a suscitare le emozioni che il romanzo è capace di creare, e soprattutto possa riuscire a cogliere il vero significato del libro: occorrerebbe una grande sensibilità, aver colto appieno il suo spirito.
I dubbi che sorgono in questi casi sono diversi: ne parlo in questo articolo su Letture Fantastiche, dove faccio alcune riflessioni ed esprimo alcuni timori sull’uscita della pellicola tratta dal romanzo di King. Riuscirà il regista (e chi ha realizzato il copione) a mostrare quanto contenuto nel libro? Il compito preso in consegna non è cosa da poco e non è esente da rischi, come non è esente da ricompense: se si riesce nell’intento, si può realizzare un capolavoro. Altrimenti si perde una grande occasione.

Il Ritmatista

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Il RitmatistaSu Letture Fantastiche è possibile leggere la recensione che ho fatto su Il Ritmatista, ultimo romanzo pubblicato in Italia da Brandon Sanderson. Il giudizio dato è positivo: è uno young adult bello, ben strutturato e che non scade in banali atteggiamenti adolescenziali presenti in molti romanzi del genere (come succede anche in un’altra serie realizzata dall’autore, la trilogia dedicata agli Eliminatori). Buona la trama, il sistema magico e la caratterizzazione dei personaggi; con poche pennellate Sanderson riesce a creare un quadro coinvolgente e credibile, dando vita a un’ambientazione che ricorda quella di fine Ottocento, sia nel modo di vestire, sia nella tecnologia usata, solo che in questo caso non si usa olio o petrolio per le lampade o vapore per far muovere i treni, ma tutto funziona grazie a un complesso sistema d’ingranaggi. Per chi vuole approfondire, lascio il resto alla lettura dell’articolo.
Qui invece voglio approfondire la questione della fascetta presente in Il Ritmatista, di cui ho già parlato nel pezzo, ma in cui non mi sono addentrato perché questa si tratta di una riflessione personale e che esula dal giudizio oggettivo che deve essere una recensione su un prodotto. Nell’articolo ho scritto che le fascette alle volte possono far avere un risultato opposto di quello voluto, ovvero spingere il lettore a non comprare il volume perché infastiditi dalle affermazioni che si leggono: non è stato il mio caso, perché, conoscendo il modo di scrivere dell’autore, non mi soffermo su quello che leggo sulle fascette per valutare le sue opere, però ne sono rimasto infastidito.
Sì, alle volte le affermazioni che si leggono infastidiscono perché sono stupide, sparate sensazionalistiche che sembra quasi che considerino i lettori degli sprovveduti che sono ignari di tutto e credono a tutto; è vero che il fantasy è un genere di nicchia, che Sanderson può non essere conosciuto come altri suoi colleghi, ma fare certe affermazioni è irritante. Non si può paragonare Sanderson a Stephen King e J.K.Rowling, dato che scrivono cose molto diverse, avendo approcci molto diversi. Rowling è divenuta famosa grazie alla saga di Harry Potter e ha avuto un successo planetario, ma questo non significa che sia migliore di Sanderson, anzi: Sanderson ha un’immaginazione molto più ampia e variegata, ha dimostrato di saper scrivere ottimi libri con diverse ambientazioni (cosa in cui Rowling ha fallito). Soprattutto, ha dimostrato di saper caratterizzare i suoi personaggi e di creare trame coerenti e prive di buchi narrativi, cosa che non è riuscita alla scrittrice inglese.
Il paragone poi con King è pietoso. I due scrittori scrivono storie e hanno approcci totalmente differenti, quindi fare un confronto tra i due è quasi improponibile. Forse è proprio questa la cosa che mi ha dato più fastidio. O forse il fatto che avevo appena terminato la rilettura di quel capolavoro che è It; sarà un’associazione strana, ma quanto letto ha fatto sorgere un paragone tra It e Il Ritmatista, due opere totalmente diverse, con un approccio e uno scopo che non potrebbero essere più lontani. Inutile dire che, per quanto il romanzo di Sanderson mi sia piaciuto, ne uscirebbe completamente perdente dal confronto con l’opera di King.
Come già scritto nella recensione, un consiglio agli addetti ai lavori, che pensano e decidono su come proporre un prodotto: evitare di usare le fascette. Si farebbe un favore all’autore e all’opera che ha realizzato.

Immaginazione e fantasia come difesa dagli orrori del mondo

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a Conquista dello Scettro - Stephen R. Donaldson, un esempio di come l'immaginazione può essere un mezzo per mantenere la propria integritàIl primo è un film del regista Guillermo Del Toro del 2006, il secondo è un romanzo di Stephen R. Donaldson del 1978, primo volume della trilogia Le Cronache di Thomas Covenant l’Incredulo. Il labirinto del fauno ha come protagonista una bambina, Ofelia; La conquista dello scettro un adulto, Thomas Covenant. In entrambe le opere è presente l’elemento fantastico, ma se in Il labirinto del fauno la bambina crede fortemente in ciò che vede e vive, in La conquista dello scettro Covenant ritiene che la Landa, il mondo in cui è finito dopo un incidente, sia un’invenzione della sua mente, un sogno che sta facendo mentre è incosciente (non per niente viene soprannominato l’Incredulo).
Se ci si sofferma su questi punti, le due opere sono molto diverse per storia e ambientazione. Ma se si va oltre la superficie, ci si accorge che hanno elementi in comune.

Questo è l’inizio dell’articolo Immaginazione e fantasia come difesa dagli orrori del mondo pubblicato su Letture Fantastiche: prendendo spunto da queste due opere (ma non solo queste) ho voluto mostrare come l’immaginazione e la fantasia possono essere una difesa contro gli orrori del mondo. Questo non significa rifugiarsi nel mondo dei sogni per sfuggire alla realtà e non affrontarla, ma avere un mezzo per mantenere la propria integrità e sanità mentale.

It. Chi è?

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It è il romanzo capolavoro scritto da Stephen King nel 1986. Ma chi è esattamente It, l’antagonista dei sette del gruppo dei Perdenti che imperversa a Derry, cittadina del Maine?
It è un mostro che uccide adulti e bambini, che compare nelle varie epoche periodicamente con le sembianze di un clown. Chi ben conosce la figura del clown sa che non è l’individuo divertente, comico, che fa ridere: il clown è qualcosa d’inquietante, che incarna la follia, l’irrazionalità, tutto ciò che non ha senso e gli istinti più primordiali.
it--It non è solo un mostro sotto le sembianze di clown, è un mostro particolare: è un mutaforma, capace di assumere le sembianze di ciò che fa più paura alla persona che ha davanti. Per alcuni può essere una mummia, un licantropo, un vampiro, il mostro di Frankenstein, un lebbroso; per altri può essere addirittura una persona cara che però li terrorizza.
Fermarsi a questo sarebbe riduttivo, perché It è ancora più di questo: è un’entità aliena giunta sulla Terra quando il mondo era giovane, quando ancora non c’era l’uomo. Un’entità antichissima come la Tartaruga, la sua nemesi; solo chi ha creato entrambe è più antico. Essendo giunto sulla Terra, It ha assunto una forma fisica (e pertanto deve sottostare alle leggi del mondo in cui abita, avendo in questo modo un punto debole e potendo così essere sconfitto), ma la verità è che forse il vero io di It non ha una forma, ma è una luce che non fa luce, è una luce che oscura, capace di distruggere la mente di chi ha la sfortuna di vederla nella sua vera essenza.
King è stato molto bravo nel dare molti volti a It, nel rendere sfaccettata questa creatura, e non si è fermato a questi aspetti: con It è riuscito a incarnare una realtà della vita ormai molto diffusa e che ben viene descritta dal seguente brano.

Derry è IT. Mi capite?…Dovunque andiamo…quando IT ci assalirà, la gente non vedrà, non sentirà, non saprà. Vi rendete conto che è così? (1)

King mostra come la cittadina di Derry sia un’estensione di It, come si sia talmente radicato in essa da condizionare le persone e farle divenire alleate, complici. It ha trovato terreno fertile in quegli individui dove la cattiveria, lo scarso equilibrio mentale, la malvagità erano fiorenti e le ha usate come strumenti portatori di violenza e morte. In Derry ci sono state vere e proprie stragi, delitti efferati, ma sono passati come se niente fosse, nell’indifferenza più totale, dove la gente ha chiuso gli occhi o si è voltata dall’altra parte per non vedere. Da parte di molti cittadini c’è stata una condiscendenza non da poco, per la quale sono stati anche ripagati, avendo avuto fortuna nei propri affari e una certa ricchezza: è stato un po’ come vendere la propria anima al diavolo.
Se ci si pensa, King sta dicendo ai lettori che It è sempre esistito perché It in realtà non è il mostro venuto da lontano, dallo spazio profondo, ma è una mentalità umana, è quella che se ne frega delle conseguenze di certe azioni, quella che l’importante è poter vivere tranquilli, che finché capita agli altri va tutto bene. È il menefreghismo delle persone che per non avere guai passano oltre a chi è in difficoltà. È l’egoismo che permette che il male dilaghi, che fa pensare solo ai propri interessi, a guardare solo al proprio giardino, disinteressandosi di tutto il resto, anche se questo può portare alla rovina dell’intero paese.
Se si osserva, questa è una parte della realtà che viviamo, nel piccolo come nel grande. La gente passa oltre a chi è in difficoltà perché non vuole guai, non vuole pensieri. Le multinazionali, i governi, pensano solo al loro interesse, poco importa se questo porterà a disastri che rovineranno l’ambiente, se faranno sorgere conflitti.
IT esiste ed è sempre esistito. E continuerà a esistere finché persisterà una certa mentalità umana.

 

  1. IT. Stephen King. Sperling&Kupfer Economica 2009. Pag.1085

 

Il luogo fa notizia

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Il luogo fa notizia non meno dell’accaduto, figliolo. Per questo ci sono titoli più grossi sui giornali per un terremoto che uccide dodici persone a Los Angeles di uno che ne uccide tremila in qualche paese pagano del Medio Oriente. (1)

Los Angeles, un luogo che fa notiziaIl luogo fa notizia. Si è mai fatto caso a questa realtà? Una persona viene uccisa a Londra, Parigi, Roma, New York e il fatto fa scalpore, attira attenzione, fa sorgere indignazione, compassione, rabbia, si scatenano dibattiti, giudizi, i politici si attivano per prendere provvedimenti e dare nuove norme di sicurezza. Un’altra persona viene uccisa allo stesso modo in un piccolo paese di provincia e il fatto passa inosservato, al massimo viene scritto un trafiletto su un giornale o se ne dà velocemente notizia in un qualche tg; passato l’attimo, cui si dà scarsa attenzione, viene subito dimenticato.
Se viene fatto un attentato in una capitale europea e muoiono decine di civili, sui giornali si scrivono pagine e pagine per giorni e giorni, per non dire settimane: tutte le trasmissioni ne parlano, i governi si attivano in ogni modo, sono pronti anche a scatenare una guerra. Ma se in qualche remoto paese africano è in atto una guerra dove muoiono migliaia di persone, quasi nessuno s’interessa, pochi sanno quello che sta succedendo e i media gli danno scarsa rilevanza; eppure il costo in termini di vite umane è di gran lunga superiore, la tragedia è di portata maggiore, i danni portati dal conflitto sono disastrosi.
E allora perché si dà tanta importanza a certe notizie e meno ad altre?
Perché i fatti che accadano in luoghi importanti, ovvero luoghi di potere, centri nevralgici per governi ed economia, ottengono maggiore importanza. Come sempre tutto ruota attorno a dove c’è maggior potere e denaro. E a dove c’è il maggior numero di persone, perché i grandi numeri sono potere: è un’altra realtà che non va dimenticata.
Una tragedia è sempre una tragedia, eppure la mente umana tende a darle importanza a seconda del luogo ma anche della rilevanza della persona coinvolta. Se viene colpito un individuo che ricopre un certo ruolo di potere in una nazione, si è pronti a scatenare una guerra (come quanto è successo nella Prima Guerra Mondiale, anche se lì c’erano molte altre cause dietro allo scoppio del conflitto e l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando fu solo l’ultimo pretesto per dare vita a una delle più sanguinose guerre della storia); se viene uccisa una persona comune che va al lavoro, il fatto lascia indifferenti, non ci si fa nemmeno caso, si continua a vivere la propria vita come se niente fosse. Ma se muore un’icona della musica pop o rock, oppure un attore famoso del cinema, si è pronti a versare fiumi di lacrime, a rattristarsi per settimane, scrivendo post commoventi su internet.
Quello che non si riesce a capire è che la morte è sempre una perdita: quando se ne va un individuo, la sua esperienza, quanto ha dato, viene a mancare e al mondo manca un pezzo, per quanto piccolo e nullo possa sembrare. E’ vero che ci sono individui che danno tanto e altri che sembrano insignificanti, eppure è anche vero che si compiangono individui che non hanno dato nulla (o peggio, hanno fatto danno, solo perché avevano una certa visibilità ed erano conosciuti perché nella gerarchia sociale avevano un certo posto), mentre persone ben più meritevoli vengono ignorate (eppure nel loro piccolo avevano fatto del bene ed erano state di aiuto).
Come direbbe Einstein, tutto è relativo; oppure come direbbero altri, l’essere umano è un animale ben strano, difficile da capire, troppo complesso e contraddittorio.

1 – IT. Stephen King. Sperling&Kupfer Economica 2009. Pag. 710.

 

Potere: che cos'è?

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He-Man e il potere di GrayskullPotere: che cos’è? Una domanda che tanti si son posti, una cosa che tanti vogliono.
“Io ho il potere” esclamava il principe Adam quando si trasformava in He-Man nel cartone animato che è andato in voga negli anni ’80 (si potrebbe fare una dissertazione sul fatto che Adam sta a indicare Adamo, il primo uomo, l’uomo com’è all’inizio, e che con l’uso della spada di Grayskull, altro archetipo molto forte, diventa “Lui, l’Uomo”, ma lasciamo al cartone animato il suo scopo d’intrattenimento e divertimento), ma il potere, nella vita reale è qualcosa di meno visibile, ma che comunque ha grande influenza e lo si trova a tanti livelli differenti, nel grande come nel piccolo.

 

 Si finisce sempre a meditare sull’essenza del potere. Io sono inna­morato di Beverly Marsh, che esercita un potere su di me. Lei ama Bill Denbrough e perciò lui ha potere su di lei. Ma, ho l’impressio­ne che Bill stia incominciando a innamorarsi di Beverly. Forse è sta­to per il suo viso, per l’espressione che ha fatto quando ha detto che non poteva farci niente se è femmina. Forse è stato per averle vi­sto un seno per un attimo. Forse è solo come appare certe volte, quando la luce è quella giusta, o per i suoi occhi. Non fa niente. Ma se lui comincia a innamorarsi di lei, allora lei comincia ad avere po­tere su di lui. Superman ha potere, se non c’è della kriptonite nelle vicinanze. Batman ha potere, anche se non sa volare o vedere attra­verso i muri. Mia madre ha potere su di me e il suo principale, giù alla fabbrica, ha potere su di lei. Tutti ne hanno… eccetto forse i bambini piccoli e i neonati.
Poi pensò che anche i bambini piccoli e i neonati avevano un po­tere: potevano strillare fino a costringerti a far qualcosa per farli smettere. (1)

 

Stephen King è molto bravo nel mostrare una forma del potere, ma come dice poco più avanti del brano citato, il potere è multiforme, come la cosa che i Perdenti stanno affrontando.

 

…il potere è collettivo. L’individuo ha potere fintanto che cessa di essere un individuo. Conosci lo slogan del Partito: “La Libertà è Schiavitù”. Hai mai pensato che se ne possono invertire i termini? La schiavitù è libertà. Da solo, libero, l’essere umano è sempre sconfitto. Deve essere per forza così, perché l’essere umano è destinato a morire, e la morte è la più grande delle sconfitte. Se però riesce a compiere un atto di sottomissione totale ed esplicita, se riesce a uscire dal proprio io, se riesce a fondersi col Partito in modo da essere lui il Partito, diviene onnipotente e immortale. La seconda cosa che devi capire è che il potere è il potere sugli esseri umani: sul corpo, ma soprattutto sulla mente. Il potere sulla materia, o realtà esterna che dir si voglia, non è importante. E comunque, il controllo che abbiamo sulla materia è già assoluto. (2)

«Il vero potere, il potere per il quale dobbiamo lottare notte e giorno, non è il potere sulle cose, ma quello sugli uomini.» Si interruppe, e per un attimo riprese quell’aria da maestro che interroga uno scolaro promettente: « Winston, come fa un uomo a eser­citare il potere su un altro uomo?».
Winston rifletté. «Facendolo soffrire» rispose.
«Bravo, facendolo soffrire. Non è sufficiente che ci obbedi­sca. Se non soffre, come facciamo a essere certi che non ob­bedisca alla nostra volontà ma alla sua? Potere vuol dire in­fliggere dolore e umiliazione. Potere vuol dire ridurre la mente altrui in pezzi che poi rimetteremo insieme nella forma che più ci parrà opportuna.
(3)

 

George Orwell in 1984 dà del potere una visione molto più brutale, distopica e totalitaria. Anche J.R.R.Tolkien ne dà identica rappresentazione, seppur in modo diverso, in Il Signore degli Anelli con l’Unico Anello, mostrando come il potere corrompe, logorando e distruggendo l’individuo che cerca di possederlo. Ad analoga conclusione giunge Steven Erikson nella sua saga Il Libro Malazan dei Caduti; in Venti di Morte, settimo romanzo della serie, anzi, va oltre questo concetto quando asserisce che alla fine il potere distrugge sempre se stesso.

 

Lettore si portò con passo deciso a fianco di Sanjuro.
«Che cos’è il Potere?» domandò senza preamboli.
«Forza. Pura e semplice forza.»
«Questo l’avevo già capito.» Lettore trattenne la sua impazienza. «Ma che cos’è esattamente? Da dove viene? Perché non tutti l’hanno?»
«Troppe domande tutte in una volta» lo ammonì Sanjuro. «Riprendiamo dall’inizio. Il Potere è forza. Ma non la forza dei muscoli o delle macchine; non è nemmeno la forza che viene da quella che tu chiami magia, con formule, pozioni, incantesimi. È una forza che nasce da una dimensione che è dentro di te, uno spazio di cui spesso ignori l’esistenza e che pertanto non puoi conoscere.»
Lettore s’imbronciò. «Una dimensione? Dentro di me?»
Sanjuro continuò a guardare davanti a sé. «È come un pozzo che fa da collegamento a un immenso lago che sta sotto terra: ti permette d’attingere all’acqua che contiene.»
Lettore continuò a essere pensieroso. «Che cos’è quell’acqua?»
«È l’essenza di tutte le cose. L’energia che fa soffiare il vento, crescere le piante, battere i nostri cuori, ci fa muovere e alimenta il Potere.»
«Allora perché non tutti usano il Potere? Da quello che dici, tutti dovrebbero usarlo.»
Sanjuro assentì. «Perché non tutti sono consapevoli della vita che possiedono: sanno che senza di essa non esisterebbero, ma tutto quello che riescono a concepire è che essa gli permette di muoversi, respirare, pensare. Nient’altro. Non riescono ad andare oltre questo limite: è come se chiudessero quasi del tutto il pozzo, lasciando solo un buco per far passare quel poco da bere per non morire di sete.»
«Non capisco…»
«Neanche loro» costatò Sanjuro. «Ritengono che la vita sia qualcosa di limitato e per questo la usano con parsimonia, per timore di consumarla.»
«Vuol dire che non ci sono limiti?»
«Dipende fin dove uno è disposto a spingersi. E quanto la paura è capace di frenarlo.»
«Paura?»
«È sempre una questione di paura quello che riusciamo o non riusciamo a fare.»
«Perché si ha paura di farsi del male?»
Il passo di Sanjuro rallentò. «Sì, alle volte è la paura di farsi male a frenare. O di fare del male agli altri. Essa va di pari passo con quanto uno è disposto a sopportare del prezzo che si deve pagare.» Per la prima volta l’uomo si voltò a guardarlo. «Sì» prevenne la domanda del bambino. «C’è sempre un prezzo da pagare quando si vuole ottenere qualcosa.»

Questo è quanto ho voluto mostrare in L’Ultimo Demone, altro romanzo appartenente a I Tempi della Caduta, su che cos’è il potere: una visione magari meno legata alla realtà rispetto a quella di King, più “elevata”, che affonda di più le radici nel fantastico, ma che comunque rappresenta una realtà: il potere è forza. Chi ha potere può imporre il proprio volere sugli altri, condizionarli, fargli fare quello che vuole: è quello che fanno politici, governanti, imprenditori sulle cosiddette persone comuni che stanno sotto di loro. Ma questo potere è una falsa forza, perché non è una forza che proviene da se stessi, ma è un potere che viene concesso, perché sono le persone comuni che permettono a certi individui di avere influenza nella propria esistenza. Come dice saggiamente Gesù a Pilato “Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto” (Giovanni, 19,11): una frase su cui occorrerebbe riflettere attentamente, perché renderebbe le persone più libere e il mondo un luogo migliore.

 

  1. IT. Stephen King. Sperling&Kupfer Economica 2009. Pag. 957.
  2. 1984. George Orwell. Oscar Mondadori 2011. pag. 271-272
  3. 1984. George Orwell. Oscar Mondadori 2011. pag. 273-274

 

Saghe fantasy famose

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Anomander Rake, uno dei protagonisti di Il Libro Malazan dei Caduti di Steven Erikson, una delle saghe fantasy più conosciuteIl fantasy negli anni scorsi ha avuto il suo periodo di maggior diffusione, questo grazie al grande successo dei film di Peter Jackson su Il Signore degli Anelli: come conseguenza, molte nuove opere di tale genere hanno visto la luce sugli scaffali delle librerie, dato che le case editrici hanno voluto sfruttare il mercato che si è andato creando. Sembrava che per il fantasy ci fosse una ribalta in Italia, ma questo non è avvenuto a causa di mancanza di conoscenza, preparazione e organizzazione: il genere non è stato conosciuto a dovere da chi pubblicava, realizzando prevalentemente opere che si adattavano alla moda ma che non davano qualità, e così si è persa l’occasione di dare risalto a un genere spesso sottovalutato e che è ritornato a essere di nicchia. Certo, alcune opere hanno avuto dopo quel periodo una buona diffusione lo stesso (ma si tratta sempre di autori stranieri), come la saga di Geralt di Rivia di Andrzej Sapkowski e Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di George R.R. Martin (che aveva però già un suo seguito e un buon numero di vendite in Italia), questo grazie al successo dei videogiochi dedicati al primo e della serie televisiva dedicata al secondo. Tutto questo non sorprende: già alla fine degli anni Novanta, i romanzi basati sui mondi di D&D (es. Forgotten Realms) avevano avuto il loro periodo di gloria grazie ai videogiochi creati dalla Black Isle (la serie Baldur’s Gate, per citarne una).
Come si può vedere, la maggior diffusione di certe opere fantasy è data al successo che hanno avuto in altri settori. Di certo questo aiuta (si veda il grande risalto avuto dalla saga di Harry Potter di J.K. Rowling grazie ai film), ma non significa che senza di esso un’opera non possa trovare grandi consensi: basta pensare alla serie di Shannara di Terry Brooks,  a La Ruota del Tempo di Robert Jordan (conclusa alla sua morte da Brandon Sanderson) e a Il Libro Malazan dei Caduti di Steven Erikson.

Questa è l’introduzione dell’articolo che ho scritto e pubblicato su Letture Fantastiche, nel quale analizzo brevemente i punti di forza e quelli deboli di alcune delle saghe fantasy più famose: Shannara di Terry Brooks, Geralt di Rivia di Andrzej Sapkowski, La Ruota del Tempo di Robert Jordan, Harry Potter di J.K. Rowling, Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di George R.R. Martin, Il Libro Malazan dei Caduti di Steven Erikson, La Torre Nera di Stephen King.

Non dimenticare d'essere bambini

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«…Questa sera ho ricevuto una telefonata da un vecchio amico, un certo Mike Hanlon. Mi ero completamente dimenticato di lui, Ricky Lee, ma non è questo che mi ha spaventato. In fondo ero solo un ragazzo quando lo conoscevo e i ragazzi sono abbastanza smemorati. Non trovi? Ma sì. Puoi scommetterci la testa. No, quel che mi ha spaventato è stato che ero sceso per venire qui quando mi sono accorto che non mi ero solo dimenticato di Mike. Mi ero dimenticato di tutto quel che significa essere ragazzo.» (1)

Tanto tempo fa, quando eravamo bambini, il nostro universo andava prendendo una certa forma; ed eravamo certamente noi a dargliela (chi altro?); e anche se allora eravamo molto piccoli, quella forma era più grande di ciò che poi ci hanno obbligato a vedere, a capire, e a diventare. Lo era, sì; ed è facile dimostrarlo: i giorni e le notti, la luce e i colori, gli affetti e le sensazioni di allora, ci sconvolgerebbero per la loro intensità, se potessimo riviverli oggi. (2)

Quanto si guadagna e quanto si perde crescendo? Dipende da come si vive. Quello che però spesso accade è che si dimentica quello che è stato, che si è provato. Alle volte è una cosa naturale, altre volte è una cosa voluta. Restare ancorati al passato è sbagliato perché non fa vivere il presente, ma anche dimenticare il passato è qualcosa di sbagliato, perché fa dimenticare sia le cose belle e quanto di positivo hanno dato, sia gli errori e le lezioni che da essi c’è da apprendere.
Quello che spesso si perde è quel punto di vista che rendeva il mondo un posto pieno di opportunità e speranza, di scoperte e promesse. E lo si perde perché società, istituzioni, fanno credere che sia qualcosa d’immaturo, d’infantile, perché sognare è qualcosa da deboli, mentre nel mondo occorre essere duri, spietati, furbi e saper colpire e sfruttare i punti deboli degli altri. “Bisogna ragionare da adulti, occuparsi delle cose concrete”, è quello che tanti insegnano. Ma non si accorgono che così facendo ci s’impoverisce. Sognare però non significa stare con la testa fra le nuvole, infilare la testa nella sabbia per non vedere la realtà: significa semplicemente seguire le proprie ispirazioni e non quelle imposte dagli altri (che hanno sempre un tornaconto a far sì che ci si adegui, mentre l’individuo ha più che altro da perderci). Significa ritrovare se stessi e come si era, quell’essere bambini che rendeva le cose diverse, alle volte speciali e faceva essere più vicini e uniti agli altri.

1. It. Stephen King. Sperling&Kupfer Economica 2009 Pag.87
2. Agenda degli angeli (L’Angelo delle antiche promesse). Igor Sibaldi. Frassinelli. 2012