Racconti delle strade dei mondi

Il falco

L’inizio della Caduta

 

Jonathan Livingston e il Vangelo

Jonathan Livingston e il Vangelo

L’Ultimo Demone

L'Ultimo Demone

L’Ultimo Potere

L'Ultimo Potere

Strade Nascoste – Racconti

Strade Nascoste - Racconti

Strade Nascoste

Strade Nascoste

Inferno e Paradiso (racconto)

Lontano dalla Terra (racconto)

365 storie d’amore

365 storie d'amore

L’Ultimo Baluardo (racconto)

365 Racconti di Natale

365 racconti di Natale

Il magazzino dei mondi 2

Il magazzino dei mondi 2

365 racconti d’estate

Il magazzino dei mondi 2
Maggio 2024
L M M G V S D
 12345
6789101112
13141516171819
20212223242526
2728293031  

Archivio

Non è più una questione di sport

No Gravatar

Il calcio, più che sport, è un businessE questo lo si sapeva da un pezzo. Ormai tutto è al servizio dello show, dell’attirare il maggior numero di spettatori, perché i grandi numeri portano grandi guadagni. Troppi interessi sono in ballo e per questo i veri valori dello sport, le sue regole, vengono piegati a favore del business e di chi ha maggiore influenza.
Ne è esempio il campionato italiano di calcio, dove praticamente ogni domenica ci sono episodi che favoriscono alcune delle squadre più grandi. Le cose però non vanno meglio in ambito europeo: anche qui ci sono dei club aiutati. Ne è un esempio il Barcellona, basti vedere la vittoria in Champions League di 6 a 1 sul Paris Saint Germain, dopo che all’andata aveva perso per 4 a 0: un risultato molto improbabile da ribaltare e che eppure si è verificato. Alcuni giornali hanno spiegato la vittoria sottolineando la potenza del Barcellona e la remissività del Paris Saint Germain, ma la partita è stata indirizzata verso questo risultato da un arbitraggio scandalosamente e palesemente di parte: due rigori netti negati al Paris St. Germain, due rigori inesistenti regalati al Barcellona, tre giocatori del Barcellona non espulsi. La cosa è stata troppo eclatante per non far venire dei sospetti sulla regolarità della gara; un atteggiamento che non è nuovo, dato che negli ultimi anni questa squadra in Champions League ha avuto aiuti arbitrali: un altro caso famoso furono le direzioni arbitrali nella semifinale del 2010 contro l’Inter, con mancate espulsioni di giocatori del Barcellona (vedere Messi che colpì deliberatamente Maicon al viso, facendogli saltare un dente e costringendo la sostituzione dell’interista perché faceva fatica a stare in piedi) ed espulsioni inventate di giocatori dell’Inter (Thiago Motta espulso per una simulazione di un giocatore del Barcellona che si buttò a terra come se avesse preso un pugno in viso senza neppure essere stato sfiorato). Ma quell’Inter era molto forte, più forte anche di aiuti arbitrali, e andò lo stesso in finale, vincendo poi la coppa; rimane però il fatto che il tentativo di far andare avanti il Barcellona ci fu e non fu una cosa bella.
Rimanendo in ambito calcistico, non si può non parlare della costruzione del nuovo stadio della Roma, dove il progetto è stato fatto passare nonostante dovesse essere bocciato per i tanti errori che conteneva. Oltre a questo fa pensare che si dia il via a costruzioni che con lo stadio non c’entrano nulla e questo denota che giro d’affari ci sia dietro e le pressioni che sono state fatte a una classe politica che non fa altro che assecondare i fini degli imprenditori.
Andando oltre al calcio, si può pensare allo scandalo delle costruzioni di impianti sportivi finiti poi in nulla quando ci furono i mondiali di nuoto in Italia, ai tanti casi di doping nel ciclismo, quelli alle Olimpiadi (basti pensare a quelli della Cina qualche anno fa o a quelli della Russia nel passato recente). Le cose non vanno meglio nel piccolo, dato che purtroppo anche qui si fa uso di sostanze dopanti per migliorare le prestazioni e ottenere vittorie e piazzamenti alti in praticamente tutti gli sport.
Va preso atto che non è più una questione di sport, che i suoi valori sono stati accantonati per fare soldi. L’attività sportiva non è più una questione di divertimento, di benessere fisico e psichico, ma è competizione e guadagno: è diventata tutta una questione di business.

La vita è sacra, ma dipende da come è vissuta

No Gravatar

In questi giorni si è parlato di Dj Fabo e del suo viaggio in Svizzera, dove ha posto termine alla sua vita. Dj Fabo, dopo un incidente, è divenuto cieco e tetraplegico, poteva solo sentire e a fatica a parlare; dopo anni in questa condizione di sofferenza, ha intrapreso il viaggio verso un paese che permetta l’eutanasia, perché in Italia non esiste ancora una legge che lo consenta.
La vita è sacra, questo è certo, ma dipende come è vissuta. Perché certe vite, vissute in un certo modo, non sono più vite; né per se stessi, né per le persone che sono accanto.
Non è facile arrivare a questo passo: chi lo fa, ha riflettuto a lungo e ha deciso che la morte è la liberazione da una condizione di dolore, disperazione, privazione. Non poter più camminare, toccare le cose, abbracciare persone o animali, leggere, vedere film, paesaggi, ma limitarsi a stare chiusi nella prigione buia che è divenuta il proprio corpo, è una delle esperienze più dure che esistono, soprattutto dopo aver provato tante cose nella propria vita ed essere consapevoli che non ci sarà più modo di viverle di nuovo (in questo il film di Clint Eastwood, Million Dollar Baby, mostra perfettamente una simile condizione).
Una decisione difficile, che solo chi vive certe condizioni può prendere. Una decisione che cambia da persona a persona, dove ogni caso è un caso a sé, perché ogni individuo è unico e prende decisioni in maniera diversa, perché questo fa parte della libertà.
Eppure questa libertà, nella società di oggi, viene ostacolata. Se ci si pensa, in tutto la libertà è ostacolata, in ogni scelta, dalla più piccola alla più grande. Tutti hanno la pretesa di decidere per gli altri, d’imporre i loro giudizi, i propri punti di vista, di dire cosa un altro deve fare.
Dj Fabo ha detto che siamo schiavi di uno Stato, viviamo schiavi di uno Stato, lavoriamo schiavi di uno Stato. In queste amare parole è rivelata la realtà in cui viviamo. Il suo è un caso eclatante, ma se ci si pensa, di libertà nella vita di ogni individuo ce n’è poca e per ottenerne soltanto un pizzico bisogna lottare a non finire e sputare sangue, mangiarsi il fegato, l’anima e, se ci fosse, anche qualcos’altro. Tutti hanno la presunzione e la pretesa di poter dire la loro sulla vita altrui e questo fa ancora più male, rende ancora più tristi, fa ancora più infuriare. Tanti sono stati gli appelli lanciati a Dj Fabo di ripensarci, di continuare a vivere; sarebbe interessante vedere come agirebbe chi ha fatto questi appelli nella sua condizione, perché si è tutti bravi a dare certe risposte quando non si è diretti interessati. Ma anche se fossero nella sua stessa condizione, sarebbe la loro scelta, non la sua: quello che ancora tanti non riescono a capire è che si sceglie singolarmente, in base ai propri valori, alle proprie credenze, alla propria condizione.
Naturalmente, dopo gli appelli delle persone comuni, non possono mancare le istituzioni con il loro modo di fare, contrarie a questa scelta, perché si reputano difensori della vita, che ritengono sacra. Parole che risultano stridenti, dato che le istituzioni non fanno che rendere sempre più complicata la vita, dato che non fanno che accollare pesi e angustie sulle spalle delle persone, facendo sempre più perdere senso alla vita, togliendo agli individui la voglia di vivere. Risulta grottesco volersi ritenere difensori della vita quando non si fa altro che sputare sulla vita stessa. Una contraddizione; o, forse, è meglio definirla follia pura.
Simili situazioni dovrebbero far riflettere e rendere coscienti, come già scritto in precedenza (ma occorre tornare a sottolinearlo), che la vita è sacra e merita di essere vissuta, ma dipende tutto da come è vissuta. E che occorre rispettare le scelte altrui, senza strumentalizzarle o cercare d’imporre un diverso modo di vedere per un proprio tornaconto (e chissà perché, si va sempre a finire in una questione di soldi: sembra strano, ma se ci si pensa bene, è così. Tutto è business).

Jonathan Livingston e il Vangelo

No Gravatar

Jonathan Livingston e il VangeloJonathan Livingston e il Vangelo, a differenza degli altri lavori che ho realizzato, non è un’opera di narrativa ma di saggistica. L’idea è nata diversi anni fa, quando ancora stavo lavorando a Strade Nascoste – Storie di Asklivion: rileggendo Il gabbiano Jonathan Livingston di Richard Bach è risultato evidente che proponeva lo stesso messaggio del Vangelo. Il messaggio originale intendo, quello di libertà, non quello che alle volte viene piegato per favorire il tornaconto di qualcuno  (non per niente Papa Francesco si sta impegnando perché la Chiesa ritrovi questo spirito, dato che troppe volte si è allontanata da un cammino che ha proposto cose ben diverse da quelle riportate nel Vangelo). Non è stata una cosa pensata o programmata: è qualcosa che è nato sul momento. In poco tempo è stato facile associare i brani di Il gabbiano Jonathan Livingston a quelli equivalenti del Vangelo e sviluppare un breve commento che mostrasse il significato insiti in quei pezzi. La stesura della struttura di come si presenta ora Jonathan Livingston e il Vangelo è stata realizzata in pochi giorni: si trattava di una bozza per sapere in che direzione far andare il progetto. Il progetto però non è stato sviluppato subito.
Perché?
Quello che si ha ora davanti non era stato pensato per essere un libro: doveva servire come spunti di riflessione. Inoltre, nel periodo in cui ho realizzato la bozza, come già scritto, stavo portando avanti altri lavori e quindi tempo ed energie erano impiegate altrove. La verità però è anche un’altra: i tempi non erano maturi per sviluppare approfonditamente Jonathan Livingston e il Vangelo. O forse è più appropriato dire che io non ero maturo a sufficienza per un’opera del genere. Nonostante ci fossero già delle basi, avvertivo che mancava ancora qualcosa per poter realizzare un lavoro soddisfacente e quel qualcosa era esperienza di vita, che avrebbe portato a far sviluppare la consapevolezza necessaria per scrivere un simile libro. Così, solo dopo qualche anno, quando stavo iniziando a dare il via al ciclo di I Tempi della Caduta, ho effettuato la prima stesura. Anche dopo le prime revisioni, mentre aspettavo risposte agli invii di sinossi e lettere di presentazioni, ho continuato ad approfondire e sviluppare certi argomenti trattati: le esperienze fatte, la crescita personale da esse conseguite, hanno portato ad ampliare il lavoro. In questo hanno contribuito anche le letture che ho fatto e quanto scritto sul sito che gestisco, Le Strade dei Mondi: come ho avuto modo di scrivere su Jonathan Livingston e il Vangelo, da tutto e da tutti si può imparare e si può crescere.
Anche se dal numero di pagine può non sembrare, Jonathan Livingston e il Vangelo è stato un lavoro lungo, che ha dovuto saper attendere, perché per poter giungere a compimento era necessario che i tempi arrivassero a maturazione. Tutte le cose hanno i loro tempi, bisogna solo saper aspettare, anche se nella società di oggi, sempre di corsa, che vuole tutto e subito, questo modo di fare è inconcepibile: è uno dei mali della società. Una società sempre protesa al materialismo, che non ne vuole sapere di riflessione e meditazione, di calma, vedendole come cose inutili, delle perdite di tempo. Eppure, se non ci si ferma a riflettere e non si assimilano le lezioni che la vita ha da dare, dandogli il tempo di cui si necessitano, si ripetono errori già visti.
Jonathan Livingston e il Vangelo è questo: la condivisione di riflessioni fatte sulla vita e quello a cui è correlata partendo da due opere che hanno tanto da dare perché sono libri sacri. Sì, anche Il gabbiano Jonathan Livingston può essere considerato tale, dato che un libro è sacro perché ha la capacità d’insegnare e arricchire chi legge le sue pagine, a prescindere del riconoscimento dato da un’autorità religiosa. Un insegnamento valido indipendentemente dal tempo in cui è scritto e dalla nazionalità di chi lo realizza, che permette a una persona di migliorare la propria vita.
Ma l’opera scritta non prende spunto solo da essi: per il suo sviluppo hanno dato il loro contributo altri libri, per non parlare di film, ma anche opere teatrali, canzoni e fumetti. Stephen King, Guy Gavriel Kay, George Orwell, Patrick Suskind, sono alcuni degli autori le cui opere sono servite per mostrare certi aspetti della vita. Almeno, questi sono alcuni di quelli che sono serviti a me: con tutto quello che è stato scritto nel mondo, ce ne sono tanti altri da cui prendere ispirazione e imparare. Ma non bisogna fermarsi ai libri, perché c’è sempre da apprendere, da tutto: piante, fiori, bambini, animali, fiumi, monti. Tutto può aiutare a trovare se stessi. In fondo, Jonathan Livingston e il Vangelo è stato scritto per questo. E far capire che di maestri ce ne sono tanti, a partire da se stessi e che forse è il più importante, e il più difficile, da riconoscere.

(Alla pagina download è possibile scaricare un’anteprima gratuita dell’opera.)

Tutti contro tutti

No Gravatar

Tutti contro tutti.
È quello che sta accadendo adesso nella nostra società.
Prendiamo a esempio l’Italia. Il governo è nel caos, i partiti di opposte fazioni si attaccano continuamente, si scagliano l’uno contro l’altro come tanti cani famelici. Ma anche all’interno dei vari partiti ci sono lotte tra le varie correnti in un continuo scambio di colpi. Inutile dirlo, tutto questo non fa per niente bene al paese, che è sempre più spaccato e va sempre più alla deriva; non bastasse questo, un simile modo di fare influenza la gente, facendole reputare che questo modo di fare sia normale e accettabile, e pertanto lo mette in pratica anche nella propria vita.
A livello mondiale è la stessa identica cosa. Trump attacca un po’ tutti e tutti attaccano poi Trump. L’Italia è contro la UE e l’UE va contro l’Italia. Non parliamo poi della Corea del Nord, della Turchia o dell’Iran. Una situazione che ricorda quello che avveniva prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale.
Il caos sta dilagando. Se per caso c’è qualcuno che cerca di mettere ordine e porre fine a sprechi e a sistemi che hanno perso la loro vera natura, viene attaccato senza pietà, proprio com’è successo a Papa Francesco, che sta cercando di riportare la Chiesa al vero senso evangelico, smantellando gerarchie e colpendo chi si è arricchito materialmente invece di aiutare a evolvere spiritualmente.
battle royal, un incontro di wrestling: ottimo esempio di tutti contro tuttiQuesto tutti contro tutti, ricorda tanto un tipo d’incontro del wrestling professionistico, la Battle Royal (Koushun Takami ha usato un termine molto simile, Battle Royale, per titolo del suo unico e famoso romanzo, di cui parlerò in un altro articolo); pochi però si stanno rendendo conto del livello di esasperazione raggiunto con questo modo di fare e di come ci si stia apprestando ormai all’esplosione. Le cause sono evidenti, ma si sono volute ignorare; non ci si lamenti dopo però di quello che accadrà o ci si domandi del perché è avvenuto.

L'ultimo lupo

No Gravatar

L'ultimo lupoL’ultimo lupo è un film del 2015 di Jean-Jacques Annaud, basato sul romanzo Il totem del lupo di Jiang Rong. La storia è ambientata nel 1967, durante la Grande rivoluzione culturale, e vede come protagonista Chen Zhen che, assieme a un altro studente come lui, viene mandato dal governo cinese nelle zone interne della Mongolia per insegnare a una tribù nomade a leggere e a scrivere in cinese. Il giovane rimane affascinato dal saggio capo della tribù Bilig, dal modo di vivere dei suoi membri, dalla libertà dei grandi spazi aperti, ma soprattutto dai lupi, queste fiere e selvagge creature, nonché astute, dalle quali, secondo i mongoli, Gengis Khan ha imparato l’arte della guerra. La tribù vive in armonia con loro, temendoli e rispettandoli allo stesso tempo, ma presto tale equilibrio viene rotto dall’uomo civilizzato e dal suo progresso, dal desiderio incontrollato di arraffare e prendere più di quanto è necessario. Privati delle gazzelle di cui si cibano, ai lupi per sopravvivere non resta che attaccare gli allevamenti umani.
Gli uomini che dirigono la provincia non capiscono che sono stati proprio loro con la loro ingordigia, con il desiderio di arricchirsi, a causare questi attacchi, ma reputano come unici responsabili i lupi, decidendo così di sopprimere le loro cucciolate per farne diminuire il numero. Il capo tribù si oppone, perché sa che i lupi mantengono l’equilibrio, dato che senza di loro crescerebbe troppo il numero degli erbivori che andrebbero a indebolire e danneggiare la steppa, ma a nulla vale la sua protesta. La caccia è spietata, come è spietato il modo in cui i piccoli vengono uccisi: questo non fa che inasprire la rabbia dei lupi e li renderà ancora più feroci e risoluti. Dinanzi alla brutalità e all’insensibilità della gente che governa la provincia, Chen Zhen salva un cucciolo di lupo, decidendo di allevarlo in segreto. Quando verrà scoperto, la tribù nomade non la prenderà bene (il capo lo accuserà di aver reso schiavo un dio, facendogli capire come lui non ha capito nulla dell’animale e come con il suo modo di fare stia calpestando la sua dignità); incredibilmente troverà un alleato nel responsabile della produzione della provincia, che nella spiegazione del giovane (studiare il nemico se si vuole sconfiggerlo, il miglioramento della specie) vedrà le teorie che insegnava all’università e darà il suo consenso a portare avanti quello che viene considerato un esperimento.
Chen Zhen, nonostante le buone intenzioni, continua a non capire il piccolo lupo e come quello che sta facendo sia contro la sua natura, portando avanti un rapporto conflittuale, dove ben si vede la possessività dell’uomo civilizzato e il suo voler imporre il proprio modo di fare, reputandolo l’unico corretto. Lentamente però il ragazzo si accorge come il progresso, la cosiddetta civilizzazione sta distruggendo il paradiso terrestre in cui per secoli hanno vissuto i mongoli seguendo poche ma sagge regole. La caccia ai lupi prosegue spietata, fino a quando l’intero branco non viene tutto abbattuto; toccante è la scena in cui il capobranco, ultimo rimasto, dopo essere fuggito ai cacciatori, ormai in punto di morte per la stanchezza, si volta a fronteggiare per l’ultima volta gli uomini, mostrando la sua fierezza e la sua dignità mai dome.
Scosso dall’episodio, ma anche dal massacro perpetrato dagli uomini, Chen Zhen ritorna alla tribù, dove racconta al morente capo tribù che tutti i lupi sono morti; prima di spirare, il vecchio Bilig gli dice che ne rimane ancora uno, il suo. Chen Zhen sa che deve liberare il lupo, ma ancora non riesce a staccarsene perché gli manca il coraggio. Sarà la donna di cui è innamorato a farlo per lui.
È nel loro ultimo incontro che il giovane finalmente capisce quanto gli ha insegnato Bilig e soprattutto riesce a capire il lupo.
Film dalla bella fotografia, che si può dire anche di formazione, è senza dubbio di stampo ecologista, promuovendo il rispetto della natura e riscoprire un modo più sano ed equilibrato di vivere con essa. L’ultimo lupo è un film per chi è affascinato da questi stupendi e fieri animali, troppo spesso cacciati nei secoli, e troppo spesso diffamati da dicerie che di vero non hanno assolutamente nulla, ma che dimostrano solo la paura e l’ignoranza dell’uomo verso ciò che non conosce. Una paura e un’ignoranza che spesso supera la deficienza totale.

Parlando di deficienza, è di poco tempo fa il primo sì del governo italiano al Piano Lupo, un piano che prevede l’abbattimento selettivo di tali animali (al momento rinviata). Per chi non avesse seguito negli anni la questione dei lupi, questa specie è stata sull’orlo dell’estinzione nel nostro paese, rimanendone poco meno di un centinaio di esemplari. Dopo tante lotte e sforzi,  il numero dei lupi è tornato a crescere, ma non a prosperare: in tutta Italia, al momento, ce ne saranno circa 1500. Ora, perché si ritorna ad additare il lupo come sterminatore di animali d’allevamento, come distruttore dell’economia di contadini e allevatori, si vuole riprendere la caccia. Una caccia che sarà uno sterminio, perché è così che andrà, dato che in Italia le cose sfuggono di mano e si reputa di fare tutto quello che si vuole perché tanto nessuno controlla. A nessuno però è venuto in mente che a uccidere le bestie da allevamento potrebbero non essere i lupi, bensì cani inselvatichiti? Quei cani che vengono abbandonati d’estate da gente che vuole andare in ferie e che per poter sopravvivere devono risvegliare l’istinto del predatore? Il danno come è sempre è l’uomo a farlo, è lui la causa dei mali, ma a farne le spese sono altri, in questo caso i lupi. E se si vuol guardare a chi fa veramente danno, si vada a cercare un altro tipo di lupo. Tradotto: i cacciatori.
A chi prende certe decisioni, sarebbe da far vedere L’ultimo lupo e se non capisce il messaggio che ha da dare, spiegare chiaramente e brutalmente che la causa dei mali e dei danni è solo e soltanto l’uomo.

Vendetta o ricerca di giustizia?

No Gravatar

È di pochi giorni fa la notizia dell’uomo che ha ucciso chi aveva investito la moglie causandone la morte. Un gesto avvenuto a mesi di distanza dal tragico decesso, un atto di vendetta.
simbolo della giustiziaMa è davvero stato un atto di vendetta o si è trattato di una ricerca estrema di giustizia?
Un’azione da condannare e per la quale l’uomo andrà punito, ma di cui era consapevole, sapeva a cosa sarebbe andato incontro, infatti si è costituito immediatamente.
A questo punto è normale chiedersi perché si giunge a simili gesti. La disperazione, il dolore, la rabbia. Una rabbia che non è solo rivolta verso chi è stato causa della perdita di un caro, ma anche verso un sistema che non tutela le persone, che non fa giustizia, per la quale i colpevoli rimangono a piede libero o cavandosela con poco.
Purtroppo questo è uno dei tanti problemi dell’Italia: le persone non si sentono tutelate dalle istituzioni, anzi, spesso le istituzioni non fanno che creare problemi alle persone comuni; quando dovrebbero applicare la giustizia o lasciano correre oppure i tempi sono talmente lunghi che chi ha sbagliato gode ancora di libertà e può anche scamparla. Il brutto del nostro paese è che la legge spesso non viene applicata, i colpevoli di atti gravi in diversi casi la passano liscia, mentre chi cerca di rispettare le regole si ritrova a subire e a vedere chi dovrebbe essere in galera girare tranquillamente come se niente fosse.
L’uomo in questione è colpevole del gesto commesso, ma sono ugualmente colpevoli le istituzioni: anche loro sono la causa d’essere arrivati a questo punto.
In un sistema dove furbi, corrotti, delinquenti se la cavano con poco o niente, non deve sorprendere se c’è chi poi decide di farsi giustizia da solo, dato che chi dovrebbe applicare la giustizia non lo fa. Le persone si stanno sempre più stancando di vedere certe cose (es. imprenditori e politici che continuano a fare la vita di sempre nonostante i reati commessi) e in loro stanno montando sentimenti che prima o poi esploderanno in qualcosa di poco piacevole. I segnali ci sono, ma non si vogliono vederli.
Quando si capirà che tante cose in Italia non funzionano, che occorre un cambiamento perché così non si va per niente bene, non sarà troppo presto, anzi, forse sarà troppo tardi.

Meglio reprimere o comprendere?

No Gravatar

È di qualche tempo fa la polemica per la ristampa del libro Mein Kampf di Adolf Hitler: una decisione ritenuta inappropriata perché considerata pericolosa, dato che poteva dar adito al ritorno di idee che hanno contribuito a uno dei periodi più oscuri, brutali e catastrofici qual è stato quello perpetrato dal nazismo.
Quanto sostenuto è giusto perché ci sono degli individui fortemente influenzabili che possono essere condizionati da idee traviate e seguire movimenti pericolosi.
C’è però anche un altro punto di vista da prendere in considerazione: occorre conoscere certe idee e comprenderle per poterle combattere e fermare. Più si reprime e si censura qualcosa, più si fa sorgere nelle persone la voglia di conoscere, e magari seguire, quanto spaventa tanto.
Entrambe le posizioni comportano dei rischi.
Nel primo caso, mettendo al bando il libro, sembra quasi di voler limitare la libertà, e quindi s’innesca un senso di ribellione che porta a voler scoprire quello che viene visto come tabù (succede sempre così: più una cosa viene vista come tale, più sorge la curiosità di svelarla).
Nel secondo caso, pubblicando liberamente, si corre il pericolo di diffondere un’idea sbagliata e far sì che riprenda piede.
Allora qual è la soluzione al dubbio che sorge nel fare la scelta?
La risposta è semplice e allo stesso tempo difficile e sta nell’essere consapevoli.
La consapevolezza è qualcosa di complesso sia da insegnare, sia da raggiungere: occorre tempo ed esperienza per avere la capacità di discernere il valore di qualcosa, per riuscire a comprendere che cosa ha di valido da dare e che cosa ha di sbagliato. Ignorare a priori qualcosa e non voler conoscere che cosa di cela in essa porta solo a ritrovarsi poi nei guai.
Il primo re di Shannara è un' opera di fantasia di Terry Brooks, eppure aiuta anche a riflettere per comprendere certe realtàTerry Brooks, quando ancora realizzava romanzi validi, aveva mostrato questa realtà in Il primo re di Shannara. Il libro narra la storia di Bremen e del suo piccolo gruppo di alleati che lotta contro le forze del Signore degli Inganni; un tempo questa creatura era un essere umano e un druido, ma Brona, questo il suo nome in origine, addentrandosi nello studio della magia, non prese le dovute cautele, si fece ammaliare dal potere fino a farsene possedere e controllare, perdendo la sua umanità e divenendo un mezzo d’impulsi oscuri e distruttivi. A seguito di tale vicenda, il consiglio dei druidi di Paranor non permise più lo studio della magia, ritenuta pericolosa. Solo Bremen e pochi altri, compresero che soltanto la magia avrebbe potuto aiutarli nella lotta contro il Signore degli Inganni e per questo continuarono a studiarla, naturalmente con molta attenzione, non spingendosi oltre certi limiti e certe direzioni.
Il tempo diede ragione a Bremen: il consiglio, ignorando i suoi avvertimenti, incapace di opporsi alla minaccia in arrivo, fu distrutto da Brona, lasciando le Quattro Terre senza uno dei baluardi che poteva opporsi al ritorno del pericoloso nemico. Solo con grandi sacrifici, alla fine, il Signore degli Inganni poté essere fermato (non definitivamente: questo avverrà nella storia La spada di Shannara).
L’opera di Brooks è una storia di fantasia, eppure aiuta anche a riflettere sul comprendere certe realtà. Fare certe scelte non è mai facile e non ci sono certezze nel seguirle, eppure comprendere più cose possibili, avere discernimento di certe realtà, è qualcosa che andrebbe sempre tenuto in considerazione.
E visto che si è parlato di Mein Kampf, sarebbe giusto che chi lo legge, leggesse anche, per esempio, Se questo è un uomo di Primo Levi: aiuterebbe a comprendere a che razza di orrori hanno portato certe idee distorte e folli.  Comprendere e ricordare, perché ricordare è un dovere.

La morte come spettacolo

No Gravatar

La morte fa parte della vita. Alcuni la vedono come la sua nemesi. Altri come un passaggio a un’altra forma di esistenza. Ma per certi individui, la morte viene vissuta come un mezzo per fare spettacolo. Di esempi ce ne sono tanti.
La morte dei gladiatori nel colosseo era uno spettacolo per migliaia di romaniBasta pensare ai combattimenti nel Colosseo tra gladiatori ai tempi dell’Impero Romano oppure ai cristiani fatti dilaniare da belve feroci durante le prime persecuzioni, dove migliaia di spettatori accorrevano per assistere a tali spettacoli.
Nel Medioevo, ai tempi dell’Inquisizione, della Rivoluzione Francese, le esecuzioni pubbliche attiravano folle di persone che assistevano affascinate alla morte di loro simili.
La letteratura non poteva che prendere esempio dalla storia. Un esempio è la trilogia Hunger Games (2008-2010) di Suzanne Collins (che ricorda molto il romanzo del 1999 di Koushun Takami, Battle Royal), dove la morte dei Tributi viene mostrata in diretta a milioni di persone. Un modo per tenere sotto controllo la massa non solo attraverso la paura, ma anche attraverso il fascino del seguire le vicende d’individui che non sono più persone, ma parti di un ingranaggio di controllo di un sistema dittatoriale. Un sistema già ben mostrato nel film Rollerball del 1975.
Emblematico di questa realtà è il discorso fatto da Kusanagi nel film The Sky Crawlers di Mamoru Oshii, dove la guerra viene vissuta come uno spettacolo.

“Nella sua storia, l’umanità non ha mai voluto né potuto eliminare la guerra perché è la sua esistenza a dare senso e realtà alla vita degli esseri umani. Avere sempre delle guerre in corso in qualche parte del mondo ha una sua specifica funzione: quella di alimentare l’illusione di pace della nostra società. Ma la guerra deve essere reale, non può sembrare una finzione. Leggere delle guerre del passato non basta. La narrazione rischia di trasformarle in favole e annullarne l’effetto. Se la gente non vede morti veri in televisione, se la sofferenza non viene mostrata, se la guerra non la tocca da vicino e le fa paura, la pace non può essere mantenuta. E il suo stesso significato viene dimenticato. La gente ha bisogno della guerra per sentirsi viva. Proprio come noi ci sentiamo vivi quando combattiamo nei cieli.”

Storia, finzione, dimostrano come la morte possa essere uno spettacolo. Ma se non bastasse questo, basta guardare la realtà e vedere quante persone utilizzano la morte di loro simili per fare foto o video da postare in rete e attirare il maggior numero di visitatori.
Dinanzi a questo modo di fare, una cosa è certa: la morte sta perdendo significato e dignità e dolore. E questo non va bene, perché la morte è una cosa seria, come dice la signora Cristina nel film Don Camillo del 1952.

Perdita di diritti

No Gravatar

È ormai chiaro che c’è la volontà di togliere sempre più diritti alle persone. Questo comporta sempre meno tutele nei loro confronti, specialmente nel mondo del lavoro.
È chiaro da tanti anni a questa parte che i vari governi non sono al fianco dei lavoratori ma dei datori di lavoro; già il motto tanto sbandierato ultimamente “gli imprenditori sono eroi” rende palese da che parte pende la bilancia. Se non bastasse questo, ci sono ulteriori prove a dimostrazione di ciò: il Job Act ne è un esempio calzante.
Non bastasse ancora, basta vedere la decisione presa dalla Consulta di bocciare il quesito referendario sul reimmettere l’articolo 18, dichiarandolo inammissibile. E anche la decisione della Cassazione che ritiene giusto per un imprenditore licenziare per aumentare i propri profitti.
Il Quarto Stato, ottimo esempio della questione sociale sui diritti dei lavoratori Si sta arrivando dove gli imprenditori vogliono arrivare: poter fare tutto quello che vogliono, avere libertà di licenziare e decidere della sorte e condizione dei lavoratori come più gli pare e piace. È un tornare indietro di decenni, prima dell’acquisizione dei diritti dei lavoratori dopo anni di lotta.
Questo non vuol dire che i lavoratori debbano avere solo diritti e non alcun dovere: è dovere del lavoratore fare il suo dovere e non è ammissibile che ci siano, come purtroppo tanto spesso è successo, i furbetti del cartellino, ovvero gente che timbrava, ma invece di lavorare era a farsi i fatti suoi. Ci vuole competenza e serietà, le cose, visto che si fanno, vanno fatte bene. Non si può essere pagati per non fare niente o per fare le cose male.
Come non si può in nome del denaro e della produttività essere trattati come oggetti o schiavi.
Come sempre, la soluzione sta nell’uso del buon senso. Quel buon senso che richiama all’equilibrio, ma che sembra essere stato perduto e pare non voglia essere recuperato.
Come scrisse Giuseppe Pellizza da Volpedo nel suo diario prima di dipingere il famoso quadro Il quarto statoLa questione sociale s’impone“.