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Jonathan Livingston e il Vangelo

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Jonathan Livingston e il VangeloJonathan Livingston e il Vangelo, a differenza degli altri lavori che ho realizzato, non è un’opera di narrativa ma di saggistica. L’idea è nata diversi anni fa, quando ancora stavo lavorando a Strade Nascoste – Storie di Asklivion: rileggendo Il gabbiano Jonathan Livingston di Richard Bach è risultato evidente che proponeva lo stesso messaggio del Vangelo. Il messaggio originale intendo, quello di libertà, non quello che alle volte viene piegato per favorire il tornaconto di qualcuno  (non per niente Papa Francesco si sta impegnando perché la Chiesa ritrovi questo spirito, dato che troppe volte si è allontanata da un cammino che ha proposto cose ben diverse da quelle riportate nel Vangelo). Non è stata una cosa pensata o programmata: è qualcosa che è nato sul momento. In poco tempo è stato facile associare i brani di Il gabbiano Jonathan Livingston a quelli equivalenti del Vangelo e sviluppare un breve commento che mostrasse il significato insiti in quei pezzi. La stesura della struttura di come si presenta ora Jonathan Livingston e il Vangelo è stata realizzata in pochi giorni: si trattava di una bozza per sapere in che direzione far andare il progetto. Il progetto però non è stato sviluppato subito.
Perché?
Quello che si ha ora davanti non era stato pensato per essere un libro: doveva servire come spunti di riflessione. Inoltre, nel periodo in cui ho realizzato la bozza, come già scritto, stavo portando avanti altri lavori e quindi tempo ed energie erano impiegate altrove. La verità però è anche un’altra: i tempi non erano maturi per sviluppare approfonditamente Jonathan Livingston e il Vangelo. O forse è più appropriato dire che io non ero maturo a sufficienza per un’opera del genere. Nonostante ci fossero già delle basi, avvertivo che mancava ancora qualcosa per poter realizzare un lavoro soddisfacente e quel qualcosa era esperienza di vita, che avrebbe portato a far sviluppare la consapevolezza necessaria per scrivere un simile libro. Così, solo dopo qualche anno, quando stavo iniziando a dare il via al ciclo di I Tempi della Caduta, ho effettuato la prima stesura. Anche dopo le prime revisioni, mentre aspettavo risposte agli invii di sinossi e lettere di presentazioni, ho continuato ad approfondire e sviluppare certi argomenti trattati: le esperienze fatte, la crescita personale da esse conseguite, hanno portato ad ampliare il lavoro. In questo hanno contribuito anche le letture che ho fatto e quanto scritto sul sito che gestisco, Le Strade dei Mondi: come ho avuto modo di scrivere su Jonathan Livingston e il Vangelo, da tutto e da tutti si può imparare e si può crescere.
Anche se dal numero di pagine può non sembrare, Jonathan Livingston e il Vangelo è stato un lavoro lungo, che ha dovuto saper attendere, perché per poter giungere a compimento era necessario che i tempi arrivassero a maturazione. Tutte le cose hanno i loro tempi, bisogna solo saper aspettare, anche se nella società di oggi, sempre di corsa, che vuole tutto e subito, questo modo di fare è inconcepibile: è uno dei mali della società. Una società sempre protesa al materialismo, che non ne vuole sapere di riflessione e meditazione, di calma, vedendole come cose inutili, delle perdite di tempo. Eppure, se non ci si ferma a riflettere e non si assimilano le lezioni che la vita ha da dare, dandogli il tempo di cui si necessitano, si ripetono errori già visti.
Jonathan Livingston e il Vangelo è questo: la condivisione di riflessioni fatte sulla vita e quello a cui è correlata partendo da due opere che hanno tanto da dare perché sono libri sacri. Sì, anche Il gabbiano Jonathan Livingston può essere considerato tale, dato che un libro è sacro perché ha la capacità d’insegnare e arricchire chi legge le sue pagine, a prescindere del riconoscimento dato da un’autorità religiosa. Un insegnamento valido indipendentemente dal tempo in cui è scritto e dalla nazionalità di chi lo realizza, che permette a una persona di migliorare la propria vita.
Ma l’opera scritta non prende spunto solo da essi: per il suo sviluppo hanno dato il loro contributo altri libri, per non parlare di film, ma anche opere teatrali, canzoni e fumetti. Stephen King, Guy Gavriel Kay, George Orwell, Patrick Suskind, sono alcuni degli autori le cui opere sono servite per mostrare certi aspetti della vita. Almeno, questi sono alcuni di quelli che sono serviti a me: con tutto quello che è stato scritto nel mondo, ce ne sono tanti altri da cui prendere ispirazione e imparare. Ma non bisogna fermarsi ai libri, perché c’è sempre da apprendere, da tutto: piante, fiori, bambini, animali, fiumi, monti. Tutto può aiutare a trovare se stessi. In fondo, Jonathan Livingston e il Vangelo è stato scritto per questo. E far capire che di maestri ce ne sono tanti, a partire da se stessi e che forse è il più importante, e il più difficile, da riconoscere.

(Alla pagina download è possibile scaricare un’anteprima gratuita dell’opera.)

Illusioni

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Siete tutti allievi, praticanti, maestri. (1)

Richard Bach con Illusioni propone un libro che percorre la stessa strada di il Gabbiano Jonathan Livingston, un cammino sulla consapevolezza che l’individuo deve avere di sé e dell’esistenza, in modo da essere libero da tutte le catene, le illusioni che la società, i ruoli, impongono, causando limiti che portano amarezza, tristezza e rabbia.
Sembra incomprensibile, ma agli uomini non piacciono la libertà e la felicità: sono talmente condizionati, abituati ad avere a che fare con catene e prigioni (intesi come limiti spirituali) che concepiscono ormai solo la fatica, le privazioni, la perdita, l’amarezza.
Imposizioni, obblighi, obbedienza: l’uomo non riesce a concepire altro, ritenendo che certi elementi, come a esempio la famosa Illuminazione, sia cosa per pochi. Proprio tale pensiero è il limite che spesso ci si pone e che preclude d’intraprendere certe strade. Ed è per questo che per secoli anche l’insegnamento del Vangelo è stato compreso da così poche persone, ritenendo che il Messia sia il ruolo riservato a qualche raro eletto, che pochi possono essere Maestri capaci d’insegnare, quando invece “ogni persona, tuti gli eventi della tua vita sono lì perché tu li hai attratti lì. Quello che decidi di fare con essi dipende da te” (2), come fa dire Bach in La guida del Messia, il libricino che Donald Shimoda porta con sé. Un personaggio strano, particolare, ma soprattutto un essere libero che per caso (ma si sa che il caso non esiste) incontra Richard, aviatore che si guadagna da vivere facendo volare la gente per tre dollari per dieci minuti, e gli apre gli occhi su un mondo nuovo, ma soprattutto sul modo di vedere le cose, che è completamente diverso da quello cui è abituato: un incontro che sembra predestinato, ma che invece è un ritrovarsi perché di rado gli appartenenti a una famiglia crescono sotto lo stesso tetto. (3)
Come in altri libri scritti da Bach, la lettura si presenta leggera come una piuma, capace con la sua leggerezza di far riflettere sull’esistenza e su come la si approccia, comprendendo come spesso si dia peso alle cose di minor importanza e si perda di vista ciò che conta, ammantandosi d’illusioni, prendendo troppo sul serio elementi quali i soldi, la materialità, e caricandosi sulle spalle pesi che finiscono con lo schiacciare e incattivire perché, anche se non lo si vuole ammettere, rendono schiavi. E in tale condizione, le persone non sopportano chi riesce a essere libero, provano nei suoi riguardi un odio che fa anelare la sua distruzione, perché gli rammenta come vivono e come sono schiavi, incapaci d’essere felici perché non vogliono essere felici, nascondendosi dietro parole come sacrificio, responsabilità.
Essere un Messia, in qualsiasi tempo, non è un compito facile, anzi è pure pericoloso, e non c’è da meravigliarsi se c’è chi rinuncia a tale ruolo, se non lo rivela, perché è stancante vivere costantemente con le pretese, le aspettative degli altri, avere sempre folle che circondano e domandano e risucchiano ogni spazio; soprattutto è stancante avere folle che non ascoltano, sanno solo pretendere che siano gli altri a risolvere i propri problemi, senza capire che ognuno deve vivere la propria vita. E che si deve vivere solo per se stessi, cercando d’essere felici.

1,2,3) Illusioni. Richard Bach