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Sanjuro

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Sanjuro è il protagonista del primo capitolo di L’Ultimo Demone, come ha avuto modo di vedere chi ha letto il brano, ed è uno dei personaggi al centro delle vicende della storia narrata. Già in L’Ultimo Potere c’era un discorso tra Tempo e Guerriero sull’importanza dei nomi e anche in questo caso la scelta del nome del personaggio non è casuale. Sanjuro infatti indicativamente significa “nessuno”. Perché la scelta di un nome che in pratica è l’assenza di un nome?
Toshirô Mifune nella parte di Sanjuro, samurai vagabondo e senza nome in La sfida del samuraiQuesto è legato al passato del protagonista e c’è un motivo per cui ha deciso di farsi chiamare in questa maniera (ma questa è una cosa da scoprire leggendo). Quello che invece si può scoprire è che cosa mi ha influenzato in questa decisione. Dalla prima scena e dal titolo del primo capitolo si capisce che Sanjuro è un vagabondo che viaggia in cerca di qualcosa: questo quadro si rifà in parte a La sfida del samurai, un film di Akira Kurosawa del 1961 con Toshirô Mifune nella parte di Sanjuro, samurai vagabondo e senza nome. Come si sa, La sfida del samurai ha ispirato diversi registi: Sergio Leone per la realizzazione di Un pugno di dollari (anche se forse sarebbe meglio dire che è stato copiato) e ci sono scene di Guerre Stellari e Kill Bill Vol.1 cui Lucas e Tarantino si rifanno a quanto realizzato da Kurosawa. Io, oltre al nome del personaggio e a una scena che cita un’azione del samurai che si vede a inizio film, ho voluto cogliere lo spirito che muove l’agire di Sanjuro: anche se viene celato da un senso d’indifferenza e opportunismo, il personaggio ha una certa carica umanitaria, dato che vuole risanare dal male (in L’Ultimo Demone la presenza demoniaca sulla Terra, in La sfida del samurai un paese dalla presenza di due famiglie malavitose).
Oltre a ciò, in Sanjuro/Nessuno si può vedere un riferimento a Ulisse, protagonista della famosa Odissea, che beffa il ciclope dicendo che il suo nome è appunto Nessuno.
La canzone che riecheggia nella mente di Sanjuro alla fine del capitolo, è una famosa canzone dei Nomadi (qual è, è facile scoprirlo).
Altro non si aggiunge, perché altrimenti si andrebbero a rivelare elementi della storia che risulterebbero spoiler.

L'Ultimo Demone - Primo capitolo. Vagabondo

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Roland, protagonista della Torre Nera di Stephen King, non c'entra nulla con L'Ultimo Demone, ma è un ottimo esempio di vagabondo in cercaLe dita passarono sulla superficie opaca del metallo, frastagliata da graffi e ammaccature. Medaglia: un tempo così la chiamavano gli uomini; un modo per riconoscere il valore dei proprio simili, un simbolo per conferire rinomanza a chi si distingueva dagli altri.
Serrò le dita sull’oggetto, quasi lo volesse sgretolare. “Come se un piccolo pezzo di metallo possa dimostrare l’integrità, il coraggio di un uomo. Il valore non ha bisogno di riconoscimenti: il valore dà valore a se stesso, non necessita d’altro, solo d’essere usato al momento giusto nel luogo giusto. Questo è essere un uomo; il resto è puro e semplice ego che ha bisogno di parole, applausi, per sentirsi vivo, per conoscere il proprio valore. Ma chi ha avuto bisogno di questo non aveva valore, faceva semplicemente parte di un gioco cui molti avevano preso parte, sostenendosi a vicenda: un continuo scambio di compiacimenti che non faceva altro che offuscare la capacità di osservare e comprendere la realtà. Strati su strati di falsità che hanno portato cecità e con essa il disastro.”
Sentì sulla pelle le punte smussate della medaglia: la rappresentazione di una stella, segno dell’aspirazione a qualcosa di elevato.
“Quanta ipocrisia e presunzione. Ma che cosa c’è da aspettarsi da popolazioni che non hanno saputo quanto stavano facendo, che hanno vissuto ignare anche dei loro veri desideri, al punto che sono arrivate ad affogarli come tanti inermi gattini?”
Lasciò cadere la medaglia nella mano del suo proprietario, come se fosse rimasta in attesa che gli fosse restituita. Il metallo picchiettò sulle ossa scarnificate e spezzate con un rumore vuoto.
“Formano davvero una coppia perfetta con il paesaggio: cose morte in un ambiente morto, dove la desolazione si estende oltre l’orizzonte.”
Nessuno. Non c’era nessun essere vivente per chilometri.
“Nessuno eccetto me.”
La costatazione gli fece storcere la bocca in quello che un tempo era un sorriso, quando ancora era capace di sorridere e soprattutto aveva senso farlo. “È ironico che proprio io faccia un pensiero del genere. Ma se non io, chi altro può farlo? Chi meglio di me, dato il nome che ho scelto di portare?”
«Sanjuro, tu devi andare verso oriente.»
“Oriente. La terra dei Draghi. La Terra dei Demoni. Così i miti e le leggende descrivevano queste regioni: fantasie, allegorie di tradizioni e culture antiche per dare senso a ciò cui non si riusciva a dare spiegazione. Peccato che la realtà sia riuscita a superarli e le creature delle storie siano apparse davvero sulla Terra e ne abbiano assunto il comando.”
«Non vuoi che venga con te, Maestro?»
«Ciò che vogliamo non corrisponde a ciò che dobbiamo fare: le forze su quel fronte non sono sufficienti per contrastare ciò che si verificherà.»
«Quindi sarà in quel punto che si avrà la maggior concentrazione di energie demoniache.»
«Sì, ci sarà una vergenza. E sarà necessario che tu sia là.»
«Pensi che potrà essere trovata la fine, dopo tutto questo tempo?»
«I cerchi sono fatti per chiudersi, non importa quanto siano grandi.»
«Hai visto questo nella Visione?»
«È una delle possibilità tra le tante.»
«E se si verificasse, questa volta sarebbe davvero finita? Riusciremo a far cessare definitivamente la loro esistenza e cominciare una nuova era?»
«Sei stanco?»
«Perché fai domande di cui conosci già la risposta?»
Maestro lo scrutò a lungo. «Se riusciremo a fare le cose giuste, il nemico verrà sconfitto. Quanto al suo scomparire per sempre, non so dare risposta: va oltre la mia comprensione. Tuttavia, c’è la possibilità che il passato non si ripeta, perché la vita è come un’ellisse. E nonostante le sue spire possano essere lente a salire, è inevitabile che questo avvenga; occorre solo avere pazienza perché i tempi maturino.»
«Se la sono presa comoda. E di certo gli uomini non hanno dato una mano.»
«Burattini e burattinai.»
Aveva sorriso all’osservazione di Maestro.
«Puoi usare tutte le metafore del mondo, ma sono sempre gli uomini la causa del male. Chiamali mostri, demoni, usa i termini che preferisci, ma sono loro i creatori del male che ci sta perseguitando.»
Maestro aveva continuato a fissarlo. «Ancora non hai ripreso fiducia nell’umanità?»
«E come può esserci fiducia in lei dopo quanto è stato?»
«E allora perché combatti ancora?»
«Perché non farlo significa permettere che altro male sia perpetrato. Stare fermi equivale a dare consenso a quanto viene fatto: è quello che è stato fatto tanto a lungo e per il quale ci troviamo nella situazione attuale. Per avere le comodità del loro tempo, per mantenere il loro quieto vivere, gli uomini si sono fatti comprare, sono divenuti dei mercenari senza bandiera; hanno smesso di credere pure in loro stessi. E per cosa poi? Per della melma che li ha soffocati.»
Ma il motivo per cui combatteva non era quello. O per lo meno, non era solo quello.
Combatteva perché era l’unica scelta che ancora aveva, l’unica possibilità rimasta che poteva portare a una via d’uscita. “Dopo molto tempo, ho di nuovo il mio scopo.”
Spazzando via la polvere dalle ginocchia, si rimise in piedi, stringendo le palpebre per proteggere gli occhi dal sole e scrutare l’orizzonte. “Avanti, bisogna andare sempre avanti, come un passero nella tempesta. Come un vagabondo. Un vagabondo che non appartiene a nessun luogo.”
Riprese il cammino nel deserto sconfinato, la sabbia rovente che grattava le suole degli stivali consumati, mentre nella sua mente una canzone, già vecchia quando era giovane, su un vagabondo e su Dio, scorreva su una lenta melodia che non aveva dimenticato.
Le falcate della sua ombra solcavano le dune, distendendosi mentre il sole cominciava la sua discesa a occidente.
“Dio se n’è andato: ne ha avuto abbastanza del mondo, sua creazione impazzita. Soprattutto ne ha avuto abbastanza degli uomini. Evidentemente ha puntato troppo su di loro e ne è rimasto deluso: succede sempre così quando si conta troppo su qualcuno.” Il passo si allungò. “Ecco cos’è rimasto della fiducia: un deserto. Un luogo che nemmeno gli animali spazzini frequentano, perché è solo un posto dove andare a morire e non lasciare traccia della propria presenza nel mondo.”
Lo scheletro di un gigantesco animale collassò su se stesso. Le pietre crepitarono nell’aria rovente e nuove crepe andarono a formarsi sulla loro superficie. Tutto attorno risuonava di morte. Ma per lui le regole dei vivi e dei morti non valevano, venendo attraversate come se niente fosse.

 

L'Ultimo Demone ora negli store online

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L'Ultimo Demone

 

Tanti nella propria vita, specialmente da piccoli, hanno avuto un supereroe in cui credere. Sperando, desiderando, soprattutto nei momenti di difficoltà, che comparisse e si mettesse al loro fianco, proteggendoli, confortandoli, guidandoli.
Tutti sanno che questo è e rimarrà soltanto un sogno. Un sogno da bambini.
Ma se fosse possibile? Se non fosse solo una fantasticheria, ma un desiderio realizzabile, cosa cambierebbe nella propria esistenza? E come si trasformerebbe la realtà circostante?
In una Terra post-apocalittica dominata dalla violenza e dall’orrore, dove è impensabile che ci sia posto per le favole, dove sembra impossibile che possa esserci luce nelle tenebre dilaganti create dai Vizi, una fiammella brilla ancora e cresce d’intensità, attirando a sé chi non vuole più essere intrappolato in un modo di vivere bestiale, dove il massimo cui si può aspirare è la sopravvivenza.
In una storia sempre più oscura e sempre più luminosa, un piccolo gruppo di uomini, donne e bambini prende il testimone lasciato da Maestro e Guerriero, continuando la lotta per liberare il mondo e l’umanità dal dominio dei Demoni, nella speranza di arrivare a dare il via a un’epoca migliore. Un’epoca dove il mondo sarà forgiato dai sognatori e non più da burocrati, politici e persone volte a interessi economici e di potere per il solo vantaggio personale. Un’Era di Utopie, di Creatori, dove nuovi mondi, nuovi universi nasceranno e la vita acquisirà il suo reale senso d’esistenza.

 

L’Ultimo Demone, secondo romanzo del ciclo fantasy post-apocalittico I Tempi della Caduta, è ora in vendita sui vari store online. Come si capisce, è il seguito diretto di L’Ultimo Potere: ne avevo già parlato in un altro articolo, dove spiegavo, visto le trame da sviluppare, la necessità di realizzare due volumi. Gli eventi di L’Ultimo Demone si svolgono poco tempo dopo i fatti di L’Ultimo Potere e come già scritto nell’altro pezzo, mostrano la realtà da più punti di vista.
Che cosa aggiungere di nuovo a quanto già detto?
Che questa volta tra i protagonisti ci sono dei bambini. L’idea c’era già, ma doveva essere usata in un altro romanzo; succede però che le storie prendono piede da sé, in maniera alle volte quasi naturale, e si sviluppano inaspettatamente. In questa parte mi è piaciuto prendere ispirazione dal gruppo degli Spettri mostrati da Terry Brooks in La Genesi di Shannara: è una delle ultime parti veramente ben realizzate dallo scrittore americano, andato purtroppo in discesa in fatto di qualità di trame e personaggi negli ultimi anni. Mi era molto piaciuta l’atmosfera del gruppo, come vivevano all’interno delle città in rovina, come cercavano di trovare qualcosa che rendesse la loro vita più sopportabile: per questo, anche se in maniera diversa, ho voluto dare spazio a un gruppo nel quale c’erano anche dei bambini, con le loro diversità, i loro problemi, i loro sogni. E grazie alla loro presenza è nato un altro protagonista, un personaggio con una capacità particolare, inusuale e in apparenza fuori luogo in un mondo come la Terra post apocalittica in cui si svolgono le vicende, ma non per questo meno importante, perché la parola ha un ruolo importante, se usata nel modo giusto.
Ho parlato di un punto d’ispirazione, ma non è stato l’unico. Una parte di un certo rilievo nella storia ce l’hanno i fumetti, ma non nel senso che mi hanno ispirato, nel senso che c’è un personaggio che è attratto da essi, al punto da credere che siano qualcosa di vero (come si svilupperà questa cosa, la lascio scoprire al lettore, se vorrà scoprirlo). Un’altra parte di rilievo ce l’ha la figura mitologica del Leviatano, di cui parlerò prossimamente.
Che altro dire? Naturalmente ci sono i Demoni, con le loro caratteristiche, i loro Vizi: questa volta ho voluto addentrarmi nell’oscurità del loro animo e mostrarla, perché il male non è qualcosa che nasce per capriccio, ma c’è sempre un’origine, una causa allo scatenarsi di certe nature.
Ci sarebbe tanto da aggiungere, ma magari lo si farà un’altra volta, perché non bisogna mai essere eccessivi.
Solo altre due piccole note.
Una sulla copertina, sempre realizzata da me. L’immagine non solo è bella e suggestiva (io ho avuto il merito di essere al posto giusto al momento giusto, di aver colto l’attimo fotografando, ma il gran merito di tutto ciò è della natura e va ringraziata per lo spettacolo cui ha dato vita), ma è pertinente a quanto avviene in L’Ultimo Demone: chi avrà modo di leggere il romanzo lo capirà, basta pensare al colore e alla forma delle nubi. Ho già dato abbastanza indizi: a chi lo vorrà, il resto della scoperta.
L’altra sulla dedica, breve, ma significativa: “Per chi è e vuole essere libero.” Non credo si debba aggiungere altro.

Di che cosa ci si innamora

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«Essere innamorato ti fa sentire grande, pieno di opportunità. Ti fa crescere.»
Tempesta lo fissò a lungo e intensamente. «Dipende.»
«Da cosa?» chiese il ragazzo a disagio sotto il suo sguardo.
«Di cosa t’innamori.»
«Ci s’innamora di una donna, naturalmente. Di che altro ci si dovrebbe innamorare?» sbottò stupito il ragazzo.
Tempesta sbuffò. «Si vede che sei sempre vissuto nel piccolo mondo del villaggio, con una visione limitata di cosa è la vita.»
Le guance del ragazzo s’imporporarono ancora di più. «Ho imparato tante cose, più di quante puoi immaginare.»
La risata di Tempesta si levò bassa, divertita e amara allo stesso tempo, con un sottofondo di fredda durezza. «Il ragazzo che vuole insegnare all’uomo…ascolta, invece di continuare a sparare cazzate. Anche se a questa età le donne ti sembrano la cosa più meravigliosa e desiderabile che possa esistere, non sono il centro dell’universo: il mondo non ruota attorno a loro, anzi, il più delle volte sono qualcosa di sopravvalutato.»
Il ragazzo si spostò a disagio. «Ma io…»
«All’inizio le donne appaiono dolci, graziose, come se emanassero un profumo particolare, unico. Come un fiore che attira a sé l’ape con i suoi colori per essere impollinato: un trucco per sfruttare l’insetto e avere quello che gli serve. Ottenuto quanto vogliono, lasciano cadere la maschera di bellezza e purezza, mostrando quello che hanno tenuto celato; cominciano a marcire e a puzzare, proprio come fa un fiore quando inizia ad appassire.» Il ragazzo fece per protestare, ma lo bloccò con una mano. «Le donne non sono qualcosa che dura. Non ti attaccare a esse come se fossero un rifugio, un’ancora di salvezza, vedile per quello che sono veramente: pezzi di carne come noi, che vivono, muoiono e poi marciscono per tornare alla polvere. Segui questo consiglio, prima d’essere appestato dal tanfo di quella che è una semplice illusione.»
«Non ti credo.»
Tempesta scrollò le spalle. «Fa come vuoi.»
«Non può essere come dici» insistette il ragazzo. «Una cosa così bella non può essere una semplice illusione.»
Tempesta sospirò. “Sapevo che ci sarebbero stati dei problemi. Maledetto idealismo della giovinezza.” Per un attimo valutò la possibilità di essere più duro con lui. “Meglio di no, altrimenti Angela non farà che tartassarmi perché lo tratto male.” Poggiò al suolo la bracciata di legna secca. «Siediti e ascolta.» Aspettò che il ragazzo si sistemasse sopra una roccia.
«Tu incontri una donna, ti guarda: i suoi occhi ti sembrano profondi, pieni di promesse, d’opportunità, di parole non dette colme di significati. Occhi che ti scrutano, occhi che ti valutano. Poi lei ti sorrise ed è come se una porta si aprisse: ti senti accolto, come se avessi ricevuto l’invito più importante della vita. La vedi come un angelo, una dea, e ogni momento passato con lei lo reputi un dono, un paradiso in terra: tutto è idillio, tutto è perfetto e ti auguri che rimanga così per sempre.» Lo osservò assentire a ogni sua parola. “È proprio cotto” costatò.
«Ma niente è per sempre, le cose cambiano. Lei cambia. Puoi sperare, pregare finché vuoi, ma accade. All’inizio pensi che sia solo qualcosa di passeggero, un brutto momento, poi ti accorgi che il sogno è finito, ma vuoi continuare a viverlo, provando a recuperare quanto è stato. Perché non riesci ad accorgerti, e a fartene una ragione, che si è trattato solo di semplice non vedere, perché la donna di cui ti sei innamorato non è mai stata perfetta, non era un angelo, ma ha sempre posseduto i suoi difetti, le sue brutture, le sue marcescenze. Il fatto, ragazzo, è che tu non ti sei innamorato di lei, ma di un’immagine di un momento. Un’immagine che avresti voluto essere eterna, un’immagine di leggiadria e perfezione che ha fatto la sua apparizione per un fugace istante: un momento in cui si è aperto un varco per qualcosa che non appartiene a questo mondo e che proprio per questo non può restarvi se non per qualche sprazzo di tempo. Una fugace apparizione: ecco che cos’è quello in cui hai creduto. E tu hai sofferto e ti sei perso per qualcosa che non può esistere sulla nostra Terra, non può far parte della vita dell’uomo.» Tempesta scosse il capo. «La questione è tutta qui.»
Il ragazzo rimase in silenzio a lungo. «Se è così che stanno le cose, di cosa ci si può innamorare?» domandò inebetito.
Il volto di Tempesta si fece improvvisamente serio. «Questa è una bella domanda: possono essere tante cose: un sogno, un ideale…»
«Come ci si può innamorare di un ideale? È qualcosa che non esiste, che non si può vedere, sentire, toccare» protestò il ragazzo.
«Ci s’innamora di un ideale perché è perfetto, immutabile, incorruttibile, perché non tradisce, non delude, a differenza delle persone» disse con calma Tempesta. «Certo, può essere tradito perché l’uomo può essere attirato da nuovi ideali da seguire, ma non ne risentirà mai, né mai protesterà o si vendicherà: semplicemente rimarrà in attesa che qualcuno lo cerchi e lo accolga. Ci si può innamorare di qualcosa del genere perché è quello che l’uomo cerca: qualcosa che mai cambia, che rimane quello che è sempre stato e mai darà brutte sorprese.»

Potere: che cos'è?

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He-Man e il potere di GrayskullPotere: che cos’è? Una domanda che tanti si son posti, una cosa che tanti vogliono.
“Io ho il potere” esclamava il principe Adam quando si trasformava in He-Man nel cartone animato che è andato in voga negli anni ’80 (si potrebbe fare una dissertazione sul fatto che Adam sta a indicare Adamo, il primo uomo, l’uomo com’è all’inizio, e che con l’uso della spada di Grayskull, altro archetipo molto forte, diventa “Lui, l’Uomo”, ma lasciamo al cartone animato il suo scopo d’intrattenimento e divertimento), ma il potere, nella vita reale è qualcosa di meno visibile, ma che comunque ha grande influenza e lo si trova a tanti livelli differenti, nel grande come nel piccolo.

 

 Si finisce sempre a meditare sull’essenza del potere. Io sono inna­morato di Beverly Marsh, che esercita un potere su di me. Lei ama Bill Denbrough e perciò lui ha potere su di lei. Ma, ho l’impressio­ne che Bill stia incominciando a innamorarsi di Beverly. Forse è sta­to per il suo viso, per l’espressione che ha fatto quando ha detto che non poteva farci niente se è femmina. Forse è stato per averle vi­sto un seno per un attimo. Forse è solo come appare certe volte, quando la luce è quella giusta, o per i suoi occhi. Non fa niente. Ma se lui comincia a innamorarsi di lei, allora lei comincia ad avere po­tere su di lui. Superman ha potere, se non c’è della kriptonite nelle vicinanze. Batman ha potere, anche se non sa volare o vedere attra­verso i muri. Mia madre ha potere su di me e il suo principale, giù alla fabbrica, ha potere su di lei. Tutti ne hanno… eccetto forse i bambini piccoli e i neonati.
Poi pensò che anche i bambini piccoli e i neonati avevano un po­tere: potevano strillare fino a costringerti a far qualcosa per farli smettere. (1)

 

Stephen King è molto bravo nel mostrare una forma del potere, ma come dice poco più avanti del brano citato, il potere è multiforme, come la cosa che i Perdenti stanno affrontando.

 

…il potere è collettivo. L’individuo ha potere fintanto che cessa di essere un individuo. Conosci lo slogan del Partito: “La Libertà è Schiavitù”. Hai mai pensato che se ne possono invertire i termini? La schiavitù è libertà. Da solo, libero, l’essere umano è sempre sconfitto. Deve essere per forza così, perché l’essere umano è destinato a morire, e la morte è la più grande delle sconfitte. Se però riesce a compiere un atto di sottomissione totale ed esplicita, se riesce a uscire dal proprio io, se riesce a fondersi col Partito in modo da essere lui il Partito, diviene onnipotente e immortale. La seconda cosa che devi capire è che il potere è il potere sugli esseri umani: sul corpo, ma soprattutto sulla mente. Il potere sulla materia, o realtà esterna che dir si voglia, non è importante. E comunque, il controllo che abbiamo sulla materia è già assoluto. (2)

«Il vero potere, il potere per il quale dobbiamo lottare notte e giorno, non è il potere sulle cose, ma quello sugli uomini.» Si interruppe, e per un attimo riprese quell’aria da maestro che interroga uno scolaro promettente: « Winston, come fa un uomo a eser­citare il potere su un altro uomo?».
Winston rifletté. «Facendolo soffrire» rispose.
«Bravo, facendolo soffrire. Non è sufficiente che ci obbedi­sca. Se non soffre, come facciamo a essere certi che non ob­bedisca alla nostra volontà ma alla sua? Potere vuol dire in­fliggere dolore e umiliazione. Potere vuol dire ridurre la mente altrui in pezzi che poi rimetteremo insieme nella forma che più ci parrà opportuna.
(3)

 

George Orwell in 1984 dà del potere una visione molto più brutale, distopica e totalitaria. Anche J.R.R.Tolkien ne dà identica rappresentazione, seppur in modo diverso, in Il Signore degli Anelli con l’Unico Anello, mostrando come il potere corrompe, logorando e distruggendo l’individuo che cerca di possederlo. Ad analoga conclusione giunge Steven Erikson nella sua saga Il Libro Malazan dei Caduti; in Venti di Morte, settimo romanzo della serie, anzi, va oltre questo concetto quando asserisce che alla fine il potere distrugge sempre se stesso.

 

Lettore si portò con passo deciso a fianco di Sanjuro.
«Che cos’è il Potere?» domandò senza preamboli.
«Forza. Pura e semplice forza.»
«Questo l’avevo già capito.» Lettore trattenne la sua impazienza. «Ma che cos’è esattamente? Da dove viene? Perché non tutti l’hanno?»
«Troppe domande tutte in una volta» lo ammonì Sanjuro. «Riprendiamo dall’inizio. Il Potere è forza. Ma non la forza dei muscoli o delle macchine; non è nemmeno la forza che viene da quella che tu chiami magia, con formule, pozioni, incantesimi. È una forza che nasce da una dimensione che è dentro di te, uno spazio di cui spesso ignori l’esistenza e che pertanto non puoi conoscere.»
Lettore s’imbronciò. «Una dimensione? Dentro di me?»
Sanjuro continuò a guardare davanti a sé. «È come un pozzo che fa da collegamento a un immenso lago che sta sotto terra: ti permette d’attingere all’acqua che contiene.»
Lettore continuò a essere pensieroso. «Che cos’è quell’acqua?»
«È l’essenza di tutte le cose. L’energia che fa soffiare il vento, crescere le piante, battere i nostri cuori, ci fa muovere e alimenta il Potere.»
«Allora perché non tutti usano il Potere? Da quello che dici, tutti dovrebbero usarlo.»
Sanjuro assentì. «Perché non tutti sono consapevoli della vita che possiedono: sanno che senza di essa non esisterebbero, ma tutto quello che riescono a concepire è che essa gli permette di muoversi, respirare, pensare. Nient’altro. Non riescono ad andare oltre questo limite: è come se chiudessero quasi del tutto il pozzo, lasciando solo un buco per far passare quel poco da bere per non morire di sete.»
«Non capisco…»
«Neanche loro» costatò Sanjuro. «Ritengono che la vita sia qualcosa di limitato e per questo la usano con parsimonia, per timore di consumarla.»
«Vuol dire che non ci sono limiti?»
«Dipende fin dove uno è disposto a spingersi. E quanto la paura è capace di frenarlo.»
«Paura?»
«È sempre una questione di paura quello che riusciamo o non riusciamo a fare.»
«Perché si ha paura di farsi del male?»
Il passo di Sanjuro rallentò. «Sì, alle volte è la paura di farsi male a frenare. O di fare del male agli altri. Essa va di pari passo con quanto uno è disposto a sopportare del prezzo che si deve pagare.» Per la prima volta l’uomo si voltò a guardarlo. «Sì» prevenne la domanda del bambino. «C’è sempre un prezzo da pagare quando si vuole ottenere qualcosa.»

Questo è quanto ho voluto mostrare in L’Ultimo Demone, altro romanzo appartenente a I Tempi della Caduta, su che cos’è il potere: una visione magari meno legata alla realtà rispetto a quella di King, più “elevata”, che affonda di più le radici nel fantastico, ma che comunque rappresenta una realtà: il potere è forza. Chi ha potere può imporre il proprio volere sugli altri, condizionarli, fargli fare quello che vuole: è quello che fanno politici, governanti, imprenditori sulle cosiddette persone comuni che stanno sotto di loro. Ma questo potere è una falsa forza, perché non è una forza che proviene da se stessi, ma è un potere che viene concesso, perché sono le persone comuni che permettono a certi individui di avere influenza nella propria esistenza. Come dice saggiamente Gesù a Pilato “Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto” (Giovanni, 19,11): una frase su cui occorrerebbe riflettere attentamente, perché renderebbe le persone più libere e il mondo un luogo migliore.

 

  1. IT. Stephen King. Sperling&Kupfer Economica 2009. Pag. 957.
  2. 1984. George Orwell. Oscar Mondadori 2011. pag. 271-272
  3. 1984. George Orwell. Oscar Mondadori 2011. pag. 273-274

 

Assurgere alla grandezza

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Un eminente storico, il professor Arnold Toynbee, ha detto che le civiltà assurgono alla grandezza soltanto quando sono messe alla prova di un pericolo estremo, di una grave minaccia alla loro stessa esistenza. (Selezione del Reader’s Digest del marzo 1963)
Questo è quanto letto in una vecchia rivista ed è una linea di pensiero già conosciuta, vista e sentita in tanti libri, storie, realtà: si dà il meglio di sé quando si cerca un riscatto, quando si tocca il fondo e scatta dentro una molla che spinge a risalire, a migliorare lo stato delle cose. Solitamente succede dopo una guerra, una catastrofe naturale e c’è tutto da ricostruire per tornare alla normalità, a come si era prima, magari cercando anche di renderlo migliore. Se ci si pensa è una cosa che vale per il grande come per il piccolo, per le popolazioni e per il singolo individuo: è una realtà sempre presente nella storia umana.
Ed è una realtà che ho voluto utilizzare in un personaggio di L’Ultimo Demone; un modo di fare, quello usato dal personaggio in questione, che può sembrare menefreghista, duro e anche rischioso, perché per attuarlo occorre avere fiducia negli altri.
Era l’unico modo possibile perché il cambiamento potesse avere radici profonde: solo quando si è spinti dalla necessità, si possono trovare le risorse che si tengono nascoste. Sapevo che loro le possedevano, ma dovevano arrivarci da soli perché la comprensione li raggiungesse.
Un modo per far compiere un balzo evolutivo agli uomini. Perché è da troppo tempo che sono impantanati nella stessa posizione. Ma solo spinti dal bisogno, dalla necessità, possono fare il salto in avanti e salvarsi: aiutarli, prendere le loro parti, servirebbe solamente a farli rimanere deboli, a essere in balia di qualsiasi cosa, soprattutto di se stessi. Quello che lui sta facendo è spingerli a trovare la forza.
Perché agire in questo modo? Perché lasciare che sia l’individuo a cavarsela da solo quando magari ci sono poteri più grandi che potrebbero risolvere le cose?
Perché se a certe cose non ci si arriva da soli, non le si fa proprie, non si capisce il loro valore. E se non si capisce la loro importanza, allora si è destinati a perderle. Perché nonostante tutto quello che è stato detto, tutti gli esempi dati, gli uomini non hanno imparato nulla. Assolutamente nulla. Veniva mostrato come fare e loro, invece di capire, si mettevano ad adorare, a creare culti che volevano attirare altre persone al loro interno; come se si potesse fare qualcosa con i complimenti…Nella loro stoltezza sono andati a far ingrassare tutto ciò da cui invece dovevano tenersi alla larga e si sono fatti sfruttare nelle varie lotte per il potere, per la supremazia l’uno sull’altro. Guerre, guerre e ancora guerre: in tutte le epoche questa è stata la costante; agli esseri umani deve fare schifo la pace, la tranquillità, non trovano quiete e soddisfazione nello scoprire e nel far crescere. Sempre in tensione, sempre in ansia, protesi verso qualcosa che non sanno nemmeno definire.

Perché chi è stato artefice di una certa situazione è anche capace di trovarne la soluzione.

L'Ultimo Demone - I. Vagabondo

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Le dita passarono sulla superficie opaca del metallo, frastagliata da graffi e ammaccature. Medaglia: un tempo così la chiamavano gli uomini; un modo per riconoscere il valore dei proprio simili, un simbolo per conferire rinomanza a chi si distingueva dagli altri.
Serrò le dita sull’oggetto, quasi lo volesse sgretolare. “Come se un piccolo pezzo di metallo possa dimostrare l’integrità, il coraggio di un uomo. Il valore non ha bisogno di riconoscimenti: il valore dà valore a se stesso, non necessita d’altro, solo d’essere usato al momento giusto nel luogo giusto. Questo è essere un uomo; il resto è puro e semplice ego che ha bisogno di parole, applausi, per sentirsi vivo, per conoscere il proprio valore. Ma chi ha avuto bisogno di questo non aveva valore, faceva semplicemente parte di un gioco cui molti avevano preso parte, sostenendosi a vicenda: un continuo scambio di compiacimenti che non faceva altro che offuscare la capacità di osservare e comprendere la realtà. Strati su strati di falsità che hanno portato cecità e con essa il disastro.”
Sentì sulla pelle le punte smussate della medaglia: la rappresentazione di una stella, segno dell’aspirazione a qualcosa di elevato.
“Quanta ipocrisia e presunzione. Ma che cosa c’è da aspettarsi da popolazioni che non hanno saputo quanto stavano facendo, che hanno vissuto ignare anche dei loro veri desideri, al punto che sono arrivate ad affogarli come tanti inermi gattini?”
Lasciò cadere la medaglia nella mano del suo proprietario, come se fosse rimasta in attesa che gli fosse restituita. Il metallo picchiettò sulle ossa scarnificate e spezzate con un rumore vuoto.
“Formano davvero una coppia perfetta con il paesaggio: cose morte in un ambiente morto, dove la desolazione si estende oltre l’orizzonte.”
Nessuno. Non c’era nessun essere vivente per chilometri.
“Nessuno eccetto me.”
La costatazione gli fece storcere la bocca in quello che un tempo era un sorriso, quando ancora era capace di sorridere e soprattutto aveva senso farlo. “È ironico che proprio io faccia un pensiero del genere. Ma se non io, chi altro può farlo? Chi meglio di me, dato il nome che ho scelto di portare?”
«Sanjuro, tu devi andare verso oriente.»
“Oriente. La terra dei Draghi. La Terra dei Demoni. Così i miti e le leggende descrivevano queste regioni: fantasie, allegorie di tradizioni e culture antiche per dare senso a ciò cui non si riusciva a dare spiegazione. Peccato che la realtà sia riuscita a superarli e le creature delle storie siano apparse davvero sulla Terra e ne abbiano assunto il comando.”
«Non vuoi che venga con te, Maestro?»
«Ciò che vogliamo non corrisponde a ciò che dobbiamo fare: le forze su quel fronte non sono sufficienti per contrastare ciò che si verificherà.»
«Quindi sarà in quel punto che si avrà la maggior concentrazione di energie demoniache.»
«Sì, ci sarà una vergenza. E sarà necessario che tu sia là.»
«Pensi che potrà essere trovata la fine, dopo tutto questo tempo?»
«I cerchi sono fatti per chiudersi, non importa quanto siano grandi.»
«Hai visto questo nella Visione?»
«È una delle possibilità tra le tante.»
«E se si verificasse, questa volta sarebbe davvero finita? Riusciremo a far cessare definitivamente la loro esistenza e cominciare una nuova era?»
«Sei stanco?»
«Perché fai domande di cui conosci già la risposta?»
Maestro lo scrutò a lungo. «Se riusciremo a fare le cose giuste, il nemico verrà sconfitto. Quanto al suo scomparire per sempre, non so dare risposta: va oltre la mia comprensione. Tuttavia, c’è la possibilità che il passato non si ripeta, perché la vita è come un’ellisse. E nonostante le sue spire possano essere lente a salire, è inevitabile che questo avvenga; occorre solo avere pazienza perché i tempi maturino.»
«Se la sono presa comoda. E di certo gli uomini non hanno dato una mano.»
«Burattini e burattinai.»
Aveva sorriso all’osservazione di Maestro. 
«Puoi usare tutte le metafore del mondo, ma sono sempre gli uomini la causa del male. Chiamali mostri, demoni, usa i termini che preferisci, ma sono loro i creatori del male che ci sta perseguitando.»
Maestro aveva continuato a fissarlo. «Ancora non hai ripreso fiducia nell’umanità?»
«E come può esserci fiducia in lei dopo quanto è stato?»
«E allora perché combatti ancora?»
«Perché non farlo significa permettere che altro male sia perpetrato. Stare fermi equivale a dare consenso a quanto viene fatto: è quello che è stato fatto tanto a lungo e per il quale ci troviamo nella situazione attuale. Per avere le comodità del loro tempo, per mantenere il loro quieto vivere, gli uomini si sono fatti comprare, sono divenuti dei mercenari senza bandiera; hanno smesso di credere pure in loro stessi. E per cosa poi? Per della melma che li ha soffocati.»
Ma il motivo per cui combatteva non era quello. O per lo meno, non era solo quello.
Combatteva perché era l’unica scelta che ancora aveva, l’unica possibilità rimasta che poteva portare a una via d’uscita. “Dopo molto tempo, ho di nuovo il mio scopo.”
Spazzando via la polvere dalle ginocchia, si rimise in piedi, stringendo le palpebre per proteggere gli occhi dal sole e scrutare l’orizzonte. “Avanti, bisogna andare sempre avanti, come un passero nella tempesta. Come un vagabondo. Un vagabondo che non appartiene a nessun luogo.”
Riprese il cammino nel deserto sconfinato, la sabbia rovente che grattava le suole degli stivali consumati, mentre nella sua mente una canzone, già vecchia quando era giovane, su un vagabondo e su Dio, scorreva su una lenta melodia che non aveva dimenticato.
Le falcate della sua ombra solcavano le dune, distendendosi mentre il sole cominciava la sua discesa a occidente.
“Dio se n’è andato: ne ha avuto abbastanza del mondo, sua creazione impazzita. Soprattutto ne ha avuto abbastanza degli uomini. Evidentemente ha puntato troppo su di loro e ne è rimasto deluso: succede sempre così quando si conta troppo su qualcuno.” Il passo si allungò. “Ecco cos’è rimasto della fiducia: un deserto. Un luogo che nemmeno gli animali spazzini frequentano, perché è solo un posto dove andare a morire e non lasciare traccia della propria presenza nel mondo.”
Lo scheletro di un gigantesco animale collassò su se stesso. Le pietre crepitarono nell’aria rovente e nuove crepe andarono a formarsi sulla loro superficie. Tutto attorno risuonava di morte. Ma per lui le regole dei vivi e dei morti non valevano, venendo attraversate come se niente fosse.

cominciare dalle cose che non vanno

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Per migliorare, occorre sempre cominciare dalle cose che non vanno: intervenire dove già non si hanno dei problemi per migliorare ulteriormente è qualcosa di inutile, oltreché dannoso, dato che se non si prende atto dei punti deboli, questi si possono ingrandire andando a causare intralcio, quando non danno.
Purtroppo, nella società attuale (ma anche nel passato), le persone hanno spesso preferito non intervenire dove c’era bisogno, facendo finta che il problema fosse di poco conto, quando non lo si è volutamente ignorato, come se non esistesse, relegandolo nell’angolo più buio della coscienza. I danni, purtroppo, sono stati tanti e non di poco conto.
Perché questo modo di fare? Per non affrontare lati spiacevoli, per non prendersi responsabilità, ma anche per mancanza di conoscenza e, per non si sa bene quale motivo, la presunzione che i problemi prima o poi si risolvessero da soli, oppure che se ne stessero buoni buoni in un angolo. Purtroppo ignorare le cose che non vanno o sottovalutarle non è mai una scelta saggia, ma molti lo fanno. Eppure di esempi di come agire nel modo corretto ce ne sono diversi.
La psicologia (se fatta nel modo giusto) si basa proprio, per migliorare lo stato del paziente, sul lavorare sui conflitti che alterano l’equilibrio mentale ed emozionale dell’individuo, studiando i comportamenti erronei, i blocchi, le paure, i traumi; lavorando sulle esperienze che hanno segnato una persona, su quegli elementi custoditi nell’inconscio che vanno a limitarla, la psicologia va a cercare di risolvere le cose che non vanno e che generano ostacoli e menomazioni.
Il viaggio di DAnte  comincia all'Inferno, ottimo esempio di dove cominciare con le cose che non vannoDante Alighieri con La Divina Commedia (che non è solo un esempio di letteratura e immaginazione) fa esattamente la stessa identica cosa: fa cominciare il suo viaggio fantastico all’inferno, perché esso è il luogo dove sono raggruppate tutte le cose che non vanno, tutti quei lati erronei che fanno perdere il senno e l’anima all’essere umano. Un viaggio attraverso i vizi che serve a far riconoscere all’uomo tutti quegli aspetti di sé che lo abbrutiscono, lo rendono bestiale e anche peggio: lo rendono demoniaco (questa è una delle basi che ho voluto usare nella realizzazione di L’Ultimo Potere e L’Ultimo Demone). Solamente dopo un viaggio all’inferno, attraverso il riconoscimento di tutte quelle cose che non vanno nell’uomo, è possibile proseguire per il Purgatorio e poi per il Paradiso: senza la comprensione degli sbagli, tutto diventa inutile, perché non c’è catarsi, non c’è liberazione, non c’è evoluzione. Senza discendere nell’oscurità, nel fango, non è possibile risollevarsi e migliorarsi.

L'Ultimo Baluardo

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I Figli di Armageddon primo romanzo di La Genesi di ShannaraSul forum di Writer’s Dream, in un 3D dedicato a L’Ultimo Baluardo, un utente (Niko), tra le altre cose, nel suo commento ha fatto notare che il brano ricorda molto l’atmosfera dei lavori del Verbo e Vuoto (a questo link un approfondimento sulla saga) e della Genesi di Shannara di Terry Brooks. La cosa mi ha fatto piacere perché significa che sono riuscito a fare un buon lavoro, dato che reputo quelle opere di Brooks ben fatte (specialmente la prima, la seconda un po’ meno e per un buon motivo): per me sono un buon esempio di mondo che va in rovina e della lotta contro le forze del caos e della distruzione. Riprendendo quanto ho scritto in risposta a Niko, da quei libri ho cercato di cogliere (come da altre opere di altri autori) tale spirito: Brooks rappresenta con Verbo e Vuoto la lotta eterna tra bene e male e ben mostra cosa sono i Demoni. Io dei Demoni ho dato una descrizione differente rispetto a lui, perché ho voluto mostrare qual è il potere dei Vizi e come agisce sulla natura umana.
La parte riguardo gli Spettri (il gruppo di bambini e giovani guidati da Falco nella Genesi di Shannara) è molto bella, la migliore insieme a quella di Tom Logan: la prima parte di I Figli di Armageddon è uno dei migliori lavori di Brooks, poi scivola, e non di poco, con la questione degli elfi; non mi è piaciuta per niente, ha sfruttato malissimo il materiale a disposizione e spiego anche il perché. Quando ho letto della comparsa degli elfi in I Figli di Armageddon, ho mandato a spendere l’autore perché ha rovinato un libro fino a quel punto ottimo. Brooks ha scelto la strada più semplice per immettere gli elfi nella saga Verbo e Vuoto e così creare il collegamento con Shannara, ovvero che sono sempre stati sulla Terra e così l’Eterea. Brooks con La Genesi di Shannara poteva cogliere l’occasione di creare il Divieto e l’Albero che tiene imprigionati i Demoni utilizzando l’indiano Due Orsi e il mondo degli spiriti, per esempio: da questo punto potevano nascere gli elfi e la saga avrebbe avuto un senso, un legame più profondo con il nostro mondo. Soprattutto, non avrebbe rovinato il senso di credibilità della saga: d’accordo che è narrativa fantastica (questa però non deve essere una scusa per scrivere sciocchezze), ma anche in esso bisogna mantenere una certa coerenza. Perché se il lettore si trova davanti qualcosa che incrina l’atmosfera, la sua immaginazione, allora si rovina quanto di buono fatto fino a un certo punto.
Dal mio punto di vista, Brooks, su questa scelta, non è difendibile: ha sbagliato per pigrizia. Poteva e doveva fare meglio per creare la congiunzione tra Verbo e Vuoto e Shannara: così ha buttato un’occasione, dimostrando la china sempre più discendente presa da Il Viaggio della Jerle Shannara in poi.
Dai romanzi precedenti La Genesi di Shannara si sa che gli elfi esistono dai tempi di Faerie, ma non è mai stato detto in quale forma: potevano essere per esempio solo spiriti, forze dedite a proteggere la vita, al servizio del Verbo. Se Brooks avesse usato meglio Due Orsi e i poteri del Verbo, avrebbe potuto mostrare la nascita dell’Eterea, del Divieto (non come elementi già presenti): un gruppo di umani (potevano essere Cavalieri del Verbo), attraverso un rituale, poteva creare i due elementi citati qui sopra accogliendo gli spiriti/elfi dentro di sé e sfruttando i loro poteri, venendone perciò modificati e divenendo così la manifestazione materiale degli elfi, assumendosi il compito di proteggere l’Eterea, impedire il ritorno Dei demoni (coloro che hanno ridotto in rovina la Terra) e prendersi cura del mondo, com’è nella natura elfica.
A mio avviso, la scelta che ho proposto è migliore di quella realizzata da Brooks: ha più senso, crea un legame migliore tra le due saghe e non è certo una soluzione difficile da trovare: bastava rifletterci solo un poco e sarebbe stata più funzionale e di gran lunga migliore di quella letta, che toglie credibilità al lavoro e sense of wonder.
Questo è il mio giudizio da lettore. Come scrittore ho evitato di fare simili errori, prendendo spunto e ispirazione da quanto di buono altri scrittori hanno fatto, cercando di cogliere lo spirito trasmesso nel loro lavoro e imparando da esso. Più che in L’Ultimo Baluardo (e di conseguenza in L’Ultimo Potere) (anche se se ne può avvertire la somiglianza), è nel romanzo successivo dei Tempi della Caduta, L’Ultimo Demone, che ho preso ispirazione da I Figli di Armageddon. Ma questa è un’altra storia, e si dovrà raccontare un’altra volta.