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Perché non mi sento italiano

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Racconto con cui ho partecipato al contest Mezzogiorno d’Inchiostro 101 di Writer’s Dream che segue la traccia ispirata alla famosa canzone di Giorgio Gaber, Io non mi sento italiano (ma per fortuna o purtroppo lo sono). Seppure scritto in prima persona, non è un racconto autobiografico (precisazione per fugare subito i dubbi): il personaggio è nato da solo mentre scrivevo e ha raccontato il suo punto di vista e le ragioni di questo suo sentire. Ci sarebbero tante cose da dire, ma con uno spazio limitato di 8000 caratteri non si poteva fare un’analisi più approfondita.

Non mi sono mai sentito italiano. Eppure sono nato, cresciuto e vissuto in Italia; tuttora ci vivo. Amo il mio paese: ha una storia varia, una cultura ricchissima. Nessun altro paese ha ospitato così tante civiltà: quella greca, quella etrusca, quella ottomana, quella dei popoli nordici. Abbiamo monumenti del periodo classico, medioevale, rinascimentale. I musei sono pieni di opere d’arte. Abbiamo avuto grandi artisti, poeti e scrittori.
Per non parlare delle bellezze naturali: laghi, spiagge, montagne, parchi, mari. Ce n’è per tutti i gusti. C’è solo l’imbarazzo della scelta.
Questo però non basta a sentirmi italiano. Mi sono sempre sentito come un dinosauro che per caso è finito in un wormhole e si è ritrovato catapultato in una dimensione di fauni effemminati e fatine sbrilluccicose e ridanciane. Esempio esagerato? Mica tanto. Anzi, direi che non potrebbe essere più calzante e tutto a causa del mio carattere. Avete mai sentito di un dinosauro che ride? Non credo proprio. Certo, non ci sono prove per questo, ma penso che ai tempi dei dinosauri si fosse troppo impegnati a sopravvivere per perdersi dietro cazzate di ogni tipo e mettere tutto in caciara e risate sguaiate. Credo che i dinosauri fossero esseri molto seri. Dannatamente seri. Proprio come me.
O almeno, è questo che dice la gente di me.

«Sei troppo serio, dovresti lasciarti un po’ andare.»

«Eeeeehhh, te ne stai sempre a seguire le regole…ma sgama un pochino, pensa alla gnocca!» (certo che ci penso, ma non penso solo a quella: nel cervello ho i neuroni, non solamente ormoni come te, maledetto caprone sempre in tirella!)

«Su dai, non stare a pensare sempre a risolvere i problemi, lascia che ci pensi qualcun altro…è meglio andarci a fare un negroni, un daiquiri, un manhattan…dai che prediamo una bella pitona!» (e poi magari è la volta buona che i vigili ci fermano e partono qualche centello e i punti della patente, se non la patente stessa…dopo come ci vado al lavoro? Farmi cinquanta chilometri all’andata e al ritorno a piedi o in bicicletta non mi ispira per niente).

«Sai…tu sei un bravo ragazzo, serio, so che non mi faresti mai le corna, che cercheresti di farmi stare bene…ma io non sono abituata a questo genere di persone e perciò con te mi sentirei male, quindi è meglio che non ci mettiamo insieme: preferisco stare con ragazzi cattivi, anche se so che mi faranno soffrire. Sembra strano, ma è così che mi diverto» (e a questo punto non so se restare senza parole, urlare «Ma che cavolo di ragionamento è?», oppure pensare di andare in psicanalisi per cercare di capire come ha fatto piacermi una tipa del genere).

Forse il mio modo di essere dipende dal fatto che mio padre probabilmente non era italiano. Probabilmente era tedesco. I miei occhi azzurri e i capelli chiari potrebbero far propendere per questa possibilità. Ma è soprattutto il mio carattere che rivela questa possibilità. Pratico. Costruttivo. Efficace. Efficiente. Per niente propenso a mettere tutte le cose in vacca. Del carattere mediterraneo non ho nulla. Non sono una persona solare; questo non vuol dire però che sono un tipo cupo: semplicemente non mi piace stare nel casino e pensare solo a divertirmi.
Queste però sono solo mie riflessioni: non ho nessun riscontro certo che le confermi. Mia madre non ha mai voluto dirmi nulla di mio padre. L’unica cosa che so è che è sparito subito dopo aver saputo che era incinta. Un comportamento che sembrerebbe tipicamente italiano, ma mi verrebbe da dire che in questi casi tutto il mondo è paese e che di vigliacchi ce ne sono ovunque.
A pensarci con un po’ di fantasia, potrei anche pensare che mio padre fosse un alieno. Ma non ho qualche tentacolo strano nascosto nei pantaloni (no, nessun doppio senso o allusione alla mia dotazione) e neppure mi s’illumina il dito come ET; quindi direi che questa opzione è da scartare.
Quali che siano le mie origini, io non mi sento italiano. Ma proprio per niente. E non è per le figure del cavolo che ci tocca fare a causa dei politici o di altre cose purtroppo famose. Quando ero adolescente, andai in Germania e la prima cosa che mi dissero quando seppero che ero italiano fu: «Ah! Italia! Mandolino! Pizza! Mafia! Berlusconi!» subito seguito da un bel «Bunga bunga!». Adesso, grazie ai vari Renzi, Grillo e Salvini le cose se possibile sono addirittura peggiorate, ma la sostanza non cambia: siamo sempre presi per il culo per le colpe di pochi. Inutile stare a spiegare che non si è tutti così, che non si ha nulla a che vedere con quelle figure: pochi ci credono.
Ma questo non c’entra nulla con il mio non sentirmi italiano: il motivo è un altro. C’è voluto un po’ di tempo, ma alla fine mi è stato chiaro. I segnali sono stati diversi, ma sono state due esperienze in particolare a farmelo capire. Possono sembrare piccole cose, cose da niente, ma per me sono state illuminanti.

Un giorno ero a fare la spesa: avevo preso un po’ di latte, un paio di pesche e dei grissini. Poca roba. Quando sono andato alla cassa, dopo aver pagato, la cassiera mi ha fermato chiedendomi se per caso si era sbagliata a darmi il resto, dandomi meno di quello che mi aspettava: ho controllato e invece me ne aveva dato di più. Ho restituito l’eccedenza. La cassiera è rimasta sorpresa e mi ha ringraziato. L’uomo dietro di me, borbottando, mi ha apostrofato con disprezzo. «Coglione: dovevi mentire. Cerca di farti più furbo.»

La settimana scorsa ero seduto su una panchina in uno di quei parchetti che stanno vicino a palazzine e villette a schiera. Un uomo è arrivato a passeggio con il suo cane al guinzaglio (un bellissimo pastore tedesco) e poco dopo si è seduto vicino a meno. Abbiamo chiacchierato di biciclette, dato che l’uomo mi aveva chiesto informazioni vedendo la mia mountain bike; avremo parlato per un quarto d’ora. Per tutto il tempo il cane è stato sdraiato ai nostri piedi dormendo. Poco dopo ha salutato e si è allontanato lungo il vialetto. Quando è stato davanti a una villetta, un uomo è uscito da essa, mettendosi a urlare che questa volta l’aveva beccato a entrare nel giardino e mettersi a spiarlo da dietro un cespuglio. Le urla naturalmente hanno allarmato le altre persone e poco dopo sono arrivati i carabinieri. È bastato poco per capire che l’uomo della villetta non era proprio a posto con la testa: ogni due minuti cambiava versione. Prima incolpava l’altro di spiarlo. Poi di avergli tagliato la recinzione. Poi di avergli pestato i fiori. Poi di avergli bastonato il gatto che stava sul davanzale della finestra (per la cronaca: l’accusato non aveva nessun bastone con sé). Poi che il cane gli era andato in casa e l’aveva aggredito.
Alla fine l’uomo della villetta è stato portato via, dato che aveva preso a insultare gli agenti. Quello che mi ha colpito non è stato tanto il suo essere fuori di testa, quanto tutte le menzogne che si era inventato. A un certo punto è stato chiaro che cercava ogni pretesto per far arrestare l’altro; non so cosa ci fosse stato tra i due. Ma so che l’ho detestato di brutto per il suo mentire, per il suo negare con forza che l’altro era stato seduto per tutto il tempo sulla panchina con me, per accusare anche me di mentire, di essere un suo complice.
Questo è stato l’ultimo tassello che mi ha fatto capire perché non mi sento italiano. Io odio le menzogne. E gli italiani non fanno altro che mentire. No, non è solo una cosa dei politici, che negano anche l’evidenza, che quando vengono sgamati si rifugiano dietro un bel «Avete capito male»: è una cosa tipica di questo popolo il mentire, del raccontare menzogne per avere dei vantaggi.
Per questo io non mi sento italiano: perché amo la verità.

2 comments to Perché non mi sento italiano

  • Capita anche a me di pensare che molti aspetti dell’italianità non mi appartengano. Però ho viaggiato, e all’estero mi sono spesso reso conto che, magari anche in posti belli sotto molti aspetti, lì non ero e non sarei mai stato “di casa.” Insomma sarà una banalità ma quando siamo fuori ci rendiamo più conto delle cose che abbiamo in comune, dalle Alpi a Pantelleria.

    Poi, ma questo è un aspetto più personale, essendo solitario e misantropo mi adetterei poco e male a qualsiasi comunità.

    • E’ capitato anche a me, quando sono stato all’estero, di non sentirmi a “casa” e non sentire mia la mentalità e i comportamenti di altri paesi. Eppure, sempre più di frequente negli ultimi anni, non sento miei dei modi di fare che vedo crescere sempre di più: il mentire, l’aggredire gli altri, il barare, l’arroganza, il prevaricare, il fare gli sbruffoni, che caratterizzano sempre più il nostro paese. Sarà colpa di social e media che danno spazio al peggio (politici in primis) e la parte buona, che è silenziosa, passa inosservata, come se non ci fosse, eppure, purtroppo, vede che nel piccolo che non fa notizia i comportamenti che rigettano prendono sempre più piede. Ci vorrebbe un libro per parlare di tutto questo.

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