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La baia

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BaiaL’acqua scendeva fitta e sottile dal cielo plumbeo. Il vetro, rigato dalla pioggia, distorceva il paesaggio, ma il vecchio vedeva benissimo il mare che lambiva la spiaggia e le pietre della baia. Ora era di un blu cupo, opaco, non limpido come nelle giornate di sole che permettevano di rimirare il fondale, ma la sua mente glielo faceva vedere come la prima volta in cui ci era venuto da giovane: un mare più azzurro del cielo, pieno di riflessi del sole, con acque fresche che parevano venire direttamente dal paradiso. Restava delle ore, seduto sulle rocce della baia, a rimirare il lento scivolare delle onde sulla spiaggia, a bearsi dell’odore salmastro. Un giorno la brezza marina gli aveva portato un profumo diverso, che l’aveva invitato ad abbassare lo sguardo: poco sotto da dove si sedeva sempre, una ragazza, con un cappello di paglia in testa e vestita di bianco, stava disegnando. Per una settimana la ragazza continuò a venire, sistemandosi nello stesso punto. Di lei vedeva i capelli castani poggiati sempre sulla spalla destra, una catenina di perle al collo, i piedi calzanti sandali di cuoio; il volto non riusciva mai a scorgerlo. Quando l’ottavo giorno non la vide, fu un brutto colpo: si sentì sprofondare, come se gli avessero legato una macina al collo e l’avessero gettato in fondo del mare. La aspettò fino a sera, ma il posto dove disegnava rimase vuoto. Quando si voltò per tornare all’albergo, lei era seduta dietro di lui, un sorriso leggero dipinto sulle labbra.
«Ehi, sognatore» lo aveva apostrofato divertita «pensi di metterci ancora molto a cercare di conoscermi?» Poi era scoppiata a ridere. E per i quarant’anni in cui erano stati sposati, rideva ogni volta che ricordava quel giorno. «Sei rimasto a bocca aperta come un boccalone» gli diceva tutte volte.
Erano ormai dieci anni che era morta, ma quando tornava alla baia aveva l’impressione che lei non se ne fosse mai andata, che fosse lì ad attenderlo, pronta a incontrarlo di nuovo. Forse era come diceva lei: era un sognatore e viveva in un mondo tutto suo. Ma avvertiva ancora la sua presenza in quel luogo; alle volte era addirittura sicuro di sentire il suo profumo.
Sorridendo, si alzò in piedi e uscì dalla sua stanza; scese le scale e andò a sedersi in veranda dopo aver salutato il giovane che stava in piedi sulla porta.

Il vecchio si era seduto sulla sedia più lontana, un sorriso lieve dipinto sul volto, gli occhi sognanti. “Beato lui” pensò il giovane. “Probabilmente ha bei ricordi legati a questo posto.”
Quanto avrebbe voluto che fosse così anche per lui.
Si costrinse a guardare il pendio roccioso. Le mani cominciarono a sudare, i battiti ad accelerare.
Ricordava le risate con gli amici, il sole sulla pelle, il vento tra i capelli, nessuna nuvola in cielo. Un giorno di gioia, un giorno di vita. Poi il ghiaino che sdrucciolava sotto i piedi, il mondo che vorticava, la roccia che cozzava contro la sua schiena. E infine il volo in acqua, dove tutto diventava freddo e buio e sprofondava nell’oblio.
Si era risvegliato stranito di trovarsi solo in una stanza dove tutto era bianco. Aveva provato a chiamare, ma le parole non gli erano uscite dalla bocca; aveva tentato di alzarsi, ma le gambe non gli avevano risposto. Poi aveva visto l’ago della flebo infilato nel suo braccio sinistro e allora era stato preso dal panico. Un panico che era sembrato durare un’eternità prima che arrivasse un’infermiera e lo calmasse. Poi erano arrivati i suoi genitori, che piangendo e ridendo gli avevano detto che il peggio era passato e che tutto sarebbe andato per il meglio.
Dopo i tre mesi di coma e l’intervento alla schiena, c’era voluto un anno di riabilitazione prima che potesse tornare a camminare e a una parvenza di vita normale.
Prese un profondo respiro.
Erano passati tre anni esatti da quel giorno. Da allora non si era più avvicinato al mare: il ricordo di freddo e buio lo attanagliava in una morsa che gli toglieva il fiato ogni volta che provava ad avvicinarsi a una spiaggia.
Era giunto il momento di dire basta. Era stanco di avere paura. Pioggia o meno, doveva tornare nel punto da cui era caduto o non sarebbe più stato libero.
Si voltò sentendo di nuovo la porta aprirsi: ne uscì il figlio della proprietaria della pensione che andò a sedersi imbronciato al tavolo.
Scosse il capo. “Ognuno ha i suoi problemi da risolvere” pensò il giovane.

Facendo ciondolare i piedi sotto la sedia, il bambino guardava sconsolato la pioggia che continuava a cadere: se non avesse smesso, non sarebbe potuto uscire di casa. Su quel punto la mamma era irremovibile.
Guardò i due uomini che ospitavano a pensione. Il vecchio lo conosceva da anni, dato che era ospite fisso durante l’estate, mentre quell’altro era la prima volta che veniva. Sospirò. “Mai una volta che ci siano altri bambini con cui giocare” sbuffò annoiato. “Dai, smettete di piovere, fate venire il sole” pregò le nuvole.
Aveva voglia di correre sulla spiaggia, costruire castelli di sabbia dove eroici cavalieri avrebbero superato ogni genere d’insidie per salvare la principessa prigioniera nella torre più alta. Voleva salire in cima al pendio e restare di vedetta per riuscire a vedere la nave fantasma di cui gli avevano raccontato alcuni marinai qualche settimana prima. Voleva tuffarsi nel mare e andare alla ricerca di quei tesori che era sicuro essere in attesa di venire trovati sotto la sabbia e le rocce; e se fosse stato fortunato, avrebbe scovato vicino alla scogliera il passaggio al reame nascosto della regina delle sirene.
Era così perso nelle sue fantasticherie che non si accorse che aveva smesso di piovere; solo quando un raggio di sole lo colpì negli occhi, si riscosse e schizzò fuori come un razzo dalla veranda.
La madre, tenendolo d’occhio dalla finestra, sorrise divertita.

Il cielo andò schiarendosi sempre più velocemente. Sopra la scogliera si disegnò un arcobaleno.
Il mare, che tante cose aveva visto, osservò i tre di cui conosceva ciò che c’era celato nel loro cuore.
Il bambino che sguazzava nelle acque vicino alla spiaggia, lanciando in aria schizzi che rilucevano come tanti piccoli cristalli, godendosi l’attimo di gioia che era solo per lui e che nessuno avrebbe potuto portargli via.
Il giovane che, fermo in mezzo al sentiero sulle rocce, lo stavo fissando, sentendo la morsa che aveva attanagliato i suoi pensieri per quei tre anni farsi meno stretta. Lo vide rilassarsi mentre i minuti passavano, l’espressione del volto farsi più distesa; ora la superficie blu non era più un mostro oscuro pronto ad afferrarlo e trascinarlo negli. Il peggio per lui era passato e poteva protendersi verso il futuro senza più pesi.
E infine guardò il vecchio, che conosceva da più tempo, seduto nello stesso punto di cinquant’anni prima, sognante di un tempo che non era più, ma che nella sua mente continuava a vivere come se non fosse mai passato.
Il mare, come se volesse accarezzare l’animo dei tre, continuò il suo lento, perpetuo sciacquio.

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