Il vecchio capotribù se ne stava seduto su una roccia. Con la sua pelle abbronzata quasi si mimetizzava con la parete della montagna alle sue spalle. Da ore fissava l’altra parte del baratro, brulicante di rumore e movimento. Era così tutti i giorni da settimane: si cominciava dalle prime ore dell’alba fino a quando il sole non tramontava.
Gli uomini bianchi e le loro bestie metalliche lavoravano come tante formiche laboriose. Macchine, le aveva chiamate uno dei capi degli uomini bianchi quando era giunto nel villaggio scendendo dal cielo su una delle loro rumorose diavolerie.
Per il vecchio capotribù non erano altro che mostri che portavano scompiglio e puzza. Lui era l’unico che la pensava così: gli altri del villaggio li guardavano con spavento ma anche con meraviglia. Soprattutto i giovani, ammaliati dai discorsi degli stranieri: promesse di agiatezza e novità avevano fatto brillare i loro occhi. Li sentiva parlare per ore attorno al fuoco delle meraviglie che sarebbero giunte quando la via per il nuovo mondo sarebbe stata terminata.
Ma più il vecchio capotribù osservava gli uomini bianchi e il loro lavoro, più si convinceva che niente di buono sarebbe giunto da loro. Più il lungo serpente grigio (ponte, così lo avevano chiamato gli uomini bianchi) si allungava sul baratro, più i suoi presagi si facevano foschi. Si stava convincendo che avrebbero fatto alla sua montagna quanto vedeva nell’altra: centinaia di alberi abbattuti, un intero fianco strappato via per costruire il loro gigantesco sentiero.
Gli uomini bianchi, per giungere ai loro fini, avrebbero calpestato qualunque cosa; non avevano rispetto per nulla. Erano amichevoli, sorridevano sempre, ma i loro sorrisi nascondevano la loro natura distruttrice e piena di brama.
Dicevano che erano venuti per aiutarli, per migliorare la loro vita, ma aveva capito dai loro sguardi, quando osservavano le collane delle donne, che erano giunti per strappare le pietre celate nel cuore della montagna.
Quella sera, quando tornò al villaggio, invece di andare subito a dormire come faceva sempre, si sedette davanti alla sua capanna, osservando le danze attorno ai fuochi, ascoltando il chiacchiericcio delle donne e le risate dei giovani.
Quando tutti furono andati a dormire, il vecchio capotribù si alzò e lentamente s’incamminò nella notte. Alla luce morente dei falò, guardò per l’ultima volta il villaggio che lo aveva visto crescere, trovare l’amore, vedere morire amici e parenti, nascere figli e nipoti. Quello era stato per tutta la sua vita il suo mondo.
Ma ormai quel mondo stava per finire, stritolato da quanto il lungo serpente grigio avrebbe portato, distrutto da estranei che non lo conoscevano e dalle nuove generazioni che troppo in fretta lo stavano dimenticando.
Non poteva fare nulla per salvarlo. Ma non avrebbe permesso a nessuno di rovinare il ricordo che ne aveva.
Accompagnato dalle memorie di un’intera vita, il vecchio capotribù s’inoltrò nella foresta, prendendo il sentiero che solo chi stava per giungere alla fine dei suoi giorni percorreva.
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