Khaibit è un romanzo realizzato da Bruno Bacelli, nato da un racconto scritto per partecipare alla selezione per l’antologia Sanctuary.
Ambientato a Milano, vede come protagonista Ivan e il suo particolare e variegato gruppo; un gruppo formato di persone di diverse età con particolari capacità, quali prevedere il futuro, percepire le persone a distanza, leggere l’aura emanata dalle emozioni. Persone all’apparenza comuni, ma isolate ed emarginate da una società malata, che pensa solo a sfruttare ed essere sfruttata; in Maestro Zhou sono riuscite a trovare una guida che li ha aiutati a capire meglio le proprie capacità, ad avere, se si vuole, un proprio posto nel mondo. Il suo assassinio da parte della Setta del Drago pare porre fine tutto ciò ma, il gruppo, anche se non vuole si ritrova coinvolto in qualcosa di grosso.
Ivan, grazie alla sua capacità, vede che nella città circolano sempre più vampiri e zombie, ma quello che lo sconvolge di più è l’aver visto uno spirito spaventoso in chi ha ucciso il maestro. Dopo aver accolto l’anima di Zhou dentro di lui, Ivan comincia a studiare gli appunti di chi per anni lo ha guidato e a cercare di scoprire che cosa sta cercando di fare la Setta del Drago. Aiutato da Sara (ex membra della setta), da Anita, Irina, Camilla e Patrick (i membri restanti del gruppo), acquisisce un maggior controllo delle sue capacità mentre si addentra in una realtà oscura e pericolosa, dove i nemici sono più di quelli che pensa.
Khaibit è un’opera interessante, con il paranormale che è presente nella realtà ma che non lo stravolge come succede in certe opere supereroistiche. O almeno non in apparenza: le vite delle persone che vengono a contatto con il soprannaturale e si fanno colpire da esso diventano smorte, prive di significato. Gli zombi di cui si parla non sono quelli ben conosciuti dei film di Romero, i vampiri non sono quelli in stile Dracula ( e neppure quelli di Twilight): sono esseri umani che hanno perduto del tutto o in parte la propria anima.
I vampiri sono completamente privi di spirito, sacrificato per poter sfuggire alla morte: esso è composto dal Ba, secondo l’antico termine egiziano, la parte spirituale dell’Anima, la personalità consapevole, il pensiero, l’Io, e l’Ombra, la Shewt, o Khaibit (che dà il titolo all’opera), carattere, inconscio, Es. I vampiri non vivono, ma funzionano, e hanno fame della vita degli altri, cibandosi della loro essenza: facendo questo, non uccidono le vittime, ma rendono la loro vita più grigia (questa parte è oltremodo interessante perché ricorda la psicologia dove esiste una tipologia di persone, denominata appunto vampiri, che con il loro modo di fare, prosciugano le energie delle persone che gli stanno accanto).
Gli zombie hanno invece ancora uno straccio d’anima, che hanno venduto ai vampiri per ottenere droghe o altre cose come sesso: sono divenuti esseri rimbecilliti, limitati nella personalità e nei comportamenti, che pensano solo a quello di cui sono diventati dipendenti.
Molto apprezzata la scelta dell’autore di usare in questo modo il soprannaturale per denunciare il degrado. Come lo è la scelta di parlare di spiriti e anime ispirandosi alla religione degli antichi egizi, con una complessa dottrina dove esistevano molteplici aspetti dell’anima.
Buona la caratterizzazione del personaggio principale, il cui punto di vista è usato per narrare tutta la vicenda.
Gli unici punti deboli, a mio avviso, sono l’inizio e una parte della fine. All’inizio i fatti si svolgono un po’ troppo in fretta, con dialoghi già visti e la morte del Maestro Zhou che avviene in maniera troppo repentina: un po’ più di spazio avrebbe giovato alla narrazione. Verso la fine c’è la decisione presa da un personaggio (non quello principale) che non ho trovato appropriato per come aveva agito fino a quel punto: poteva essere trovata una soluzione diversa.
Escluse questa annotazioni, Khaibit è una piacevole lettura d’intrattenimento capace anche di far riflettere.
Grazie per avermi letto, Khaibit è la mia creatura preferita. Per essere precisi era solo un racconto quando partecipò a quella selezione, divenne un libro quando, essendo respinto, mi rimase la voglia di farne comunque qualcosa.
Mi ricordo il concorso per l’antologia: ho letto diversi racconti che hanno partecipato a essa.