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Il vento fa il suo giro

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«Eddaiiiii! Su, schiva! Più veloce, più veloce!»
Tac, tac, tac.
«Noooooo, non così…»
Tac, tac, tac, tactactactac.
«Colpisci! Colpisciiiii!»
Tactactactactactactactactac. Aritactactactactactactactac.
«Avanti, rincoglionito d’uno Steiner! Dagli il colpo finale! Massacra il mostraccio, bastardo d’un cavaliere! Fagliela vedere a questo cazzone di boss! Massacralo! Massacralooooo!»
Tactactactactac.. tactactac… tac…tac…
Matteo abbassò il gamepad, osservando con espressione sconvolta le immagini sullo schermo della televisione che non si muovevano più.
«Macchecca… nooooo… non adesso che sono al boss finale… nooooo, non ti bloccare porca puttana, non ti blocc…»
«Non ci siamo bloccati, ci siamo stufati!» Sbottò il cavaliere sullo schermo voltandosi verso di lui. «E per dovere di cronaca, non sono Steiner: lui è di Final Fantasy IX, un altro gioco! Io sono l’ultimo dei cavalieri Valoriani!»
«Come?» domandò allibito Matteo.
«Final Fantasy IX, il gioco che ti ha prestato tuo padre quando gli hai chiesto com’erano i videogiochi ai suoi tempi» gli spiegò seccato il cavaliere sullo schermo.
«Ah, quello. Mamma quant’era noioso… e poi con quella grafica… troppo vecchio» sbuffò Matteo.
«Un po’ di rispetto!» tuonò il cavaliere. «Se noi siamo qui, è proprio grazie a giochi come Final Fantasy IX! Non scordarlo mai!»
«Oh no, un altro che fa il pippone…» bofonchiò Matteo.
«Non borbottare! E usa un po’ d’educazione!» il cavaliere piantò la spada nel terreno. «Il problema con voi bambini e ragazzi di oggi è che non sapete più apprezzare le storie! Volete spaccare tutto, far esplodere ogni cosa! Colpisci di qua, spara di là, fai saltare in aria questo, massacra quell’altro! E insomma!»
«Ma…» fece sbigottito Matteo. «Ma è quello che fai tu!»
«Il copione. Sono esigenze di copione: è quello che debbo fare quando tu ti metti alla console e giochi all’avventura dove sono stato messo.» Spiegò con calma il cavaliere. «Pensi che mi diverta a colpire a destra e a manca? A fare sempre le solite mosse? A dovermi sempre scontrare con lui?» Indicò il suo avversario. «A sentirti infamarlo tutte le volte?»
Matteo sgranò gli occhi. «Ma lo faccio perché sono dalla tua parte!»
«Beh, questo non mi piace. Non ti sei mai messo nei suoi panni? Ti farebbe piacere essere insultato? Trattato come tu tratti lui?»
«Lui è il cattivo!» protestò Matteo.
«Per forza: era l’unico ruolo rimasto» intervenne il boss finale. «Nessuno ci tiene a essere il cattivo del gioco: infamato, odiato… nessuno sta mai dalla tua parte. E poi ti tocca fare sempre le cose sbagliate, portare rovina, distruzione… Morti di qua, morti di là… il tutto perché voi ragazzini vi divertite a vedere queste cose. Pace e tranquillità davvero non vi devono piacere. Non le sapete apprezzare. E tutto perché vi annoiate e cercate un modo per passare il tempo.»
«Scusami, ma che cosa dovremmo fare per divertirci?»
«Vediamo… ci sono tante cose da fare. Io per esempio quando non devo essere il cattivo mi piace coltivare il mio orticello: ti rimette in pace col mondo.»
«A me invece piace starmene seduto sotto gli alberi a dipingere nuvole» disse il cavaliere Valoriano.
«Eccheppallle…» Matteo si bloccò quando il cavaliere lo guardò in cagnesco. Si schiarì la voce prima di riprendere a parlare. «Quindi… a voi non piace quello che fate nel videogioco?»
Il boss finale fece spallucce. «Si tratta di un ruolo come un altro. Quindi, va bene così. Quello che non ci sta bene è come veniamo trattati. Sai quanti cinni come te dobbiamo sopportare? Migliaia e migliaia! Scenate, urla, sedie prese a calci, anche bestemmie ci tocca sentire! E tutto perché avete perso una partita a un videogioco! Una partita che potete rigiocare in qualsiasi momento, tutte le volte che volete, perché tanto avete i salvataggi.»
«Sai com’è, la foga del momento…» provò a spiegare Matteo.
«Tutto quello che vogliamo è più di rispetto ed educazione» continuò il boss finale. «Più apprezzamento per la professionalità che ci mettiamo nell’interpretare il ruolo che ci è stato dato, anche se non ci piace.»
«Visto che tutto ciò viene a mancare, e non sembra esserci un qualche cambiamento nell’immediato, noi pg ci siamo stufati e abbiamo deciso di scioperare.»
«Voi volete fare cosa?» scattò esterrefatto Matteo.
«Scioperare. Sissignore. E non uno scioperino di qualche ora, come a qualcuno potrebbe passare per la testa: uno sciopero a oltranza, fino a quando voi cinni non avrete imparato educazione e rispetto. Non era nelle nostre intenzioni, né nei nostri compiti, ma visto che né la scuola né la famiglia ve le insegnano, è ora che qualcuno lo faccia. Per dovere d’informazione, tutti i personaggi di tutti videogiochi sono d’accordo e aderiscono allo sciopero.»
«Ma…»
«Puoi accettare o non accettare la nostra decisione, ma le cose così stanno.»
Matteo fece per protestare, ma il boss finale e il cavaliere Valoriano gli diedero le spalle, si misero le armi in spalla e s’incamminarono insieme, andando sempre più lontano fino a scomparire.
Matteo rimase a bocca aperta a fissare il paesaggio vuoto dello schermo. Per un attimo pensò a uno scherzo, ma i minuti passavano e i due non ricomparivano. Dopo mezz’ora spense la console e cambiò cd, ma la situazione era la stessa: partiva il gioco ma c’era soltanto il paesaggio. Nessuna traccia dei personaggi. Così per tutti i videogiochi che aveva. Ed era la stessa cosa per quelli online, che non necessitavano di una console.

Le cose non migliorarono nei giorni successivi e gli scenari continuarono a essere vuoti: i personaggi dei videogiochi erano stati di parola e avevano davvero deciso di scioperare. Dopo la sorpresa iniziale, Matteo si era dapprima innervosito, poi aveva preso a sclerare: proprio sul più bello doveva capitare! Come avrebbe fatto a sapere come finiva il gioco?
Aveva preso a calci le sedie, aveva girato per la stanza come se avesse del peperoncino nel sedere, ma poi, piano piano, aveva cominciato a cercare di trovare una soluzione. Aveva acceso la console e si era messo a fare promesse di ogni genere: che non avrebbe più insultato, che si sarebbe comportato bene. Si era messo anche in ginocchio supplicandoli di tornare.
Ma dopo un paio di giorni di questa storia si era sentito un po’ pirla a fare così e si era rassegnato al fatto che per non si sa quanto i personaggi dei videogiochi non si sarebbero fatti vedere.
A scuola poi le cose non andavano meglio, senza contare che anche gli altri erano nella stessa condizione e se ne stavano tutti imbronciati a fissare gli smartphone. Gli intervalli i cambio d’ora erano un supplizio perché non poteva più fare le sue partitine veloci in rete. Certo, c’erano i social, ma non potendo raccontare delle sue videogiocate, non sapeva di cosa parlare. Rimanevano i video su TikTok, ma poter mettere solamente dei “Mi piace” alla lunga stancava.
«Uffa, che palle questi giochi che non funzionano più» gli scappò un giorno durante l’intervallo.
«Bro, possiamo provare a fare una partita a carte» gli suggerì Riccardo, il suo vicino di banco, tirandole fuori. «Mio nonno mi ha insegnato alcuni giochi.»
«Non saprei, non ci ho mai giocato…» disse poco convinto Matteo.
«Non sono male. E poi, è sempre meglio di stare qui a non fare niente.»
Matteo dovette ammettere che giocare a carte non era davvero poi così male, anzi, era divertente. Soprattutto quando a lui e Riccardo si erano uniti Andrea e Alessandro e avevano fatto una partita a briscola in quattro. Però la cosa non si era fermata lì: Andrea aveva suggerito nel pomeriggio di andare al parco a giocare a calcio, anche se non lo avevano mai fatto prima. Non doveva essere una cosa così difficile, date tutte le partite che avevano fatto sulla Play. Matteo non poté che convenire: il principio era sempre quello che vedevano fare con la console, che ci voleva a calciare un pallone e rifare le stesse azioni?
La realtà però fu un pochino differente. Anzi, più che un pochino fu totalmente differente. I tiri, le azioni che facevano con la Play non erano assolutamente paragonabili e quelle che facevano loro; la palla non andava mai dove volevano, gli stop e i dribbling erano una cosa da Gialappa’s. Ma alla fine della loro partitella (un parolone definire così un due contro due) si erano divertiti come dei matti (era stato più il tempo che passavano a ridere e a sghignazzare per gli sbagli che facevano che a giocare).
Il giorno dopo si misero d’accordo per andare a fare due tiri a canestro nel campetto vicino alla scuola e per quello dopo ancora sarebbero andati a provare il tavolo da ping pong che il padre di Alessandro aveva tirato fuori dalla cantina mentre la svuotava.
Nel giro di un paio di settimane si erano praticamente dimenticati dei videogiochi, occupati com’erano a fare altro.

Il vento fa il suo giroSeduti sotto l’albero sopra la collina, il cavaliere Valoriano e il boss finale si godevano il tramonto.
«Abbiamo agito bene» disse il cavaliere.
«Già» rispose il boss.
«Ora i ragazzi hanno ripreso a interagire e a socializzare tra loro.»
«Vero.»
«Si guardano di più in faccia e passano meno tempo con gli occhi attaccati ai vari schermi.»
«Infatti.»
«Tutto è bene quel che finisce bene.»
«Quasi.»
«Perché?»
«Ora siamo senza lavoro.»
«È vero. Sinceramente, a questo non avevo pensato.»
«Adesso cosa facciamo?»
«Potremmo entrare nel settore degli antivirus: lì il lavoro non manca mai.»
«Non è che come lavoro mi prenda molto.»
Il cavaliere scrollò le spalle. «A essere franchi, non mi darei pena più di tanto.»
«Perché?»
«Il vento fa il suo giro e cose che adesso non vanno più, un tempo torneranno a essere in auge. I vecchi giochi prima non li fumava quasi più nessuno, ma ora sono tornati di moda. Presto o tardi, saremo noi videogiochi a tornare sulla cresta dell’onda. In attesa di ciò, godiamoci questo bel paesaggio.»

(Il titolo e la citazione nel finale vogliono essere un omaggio al film di Giorgio Diritti del 2006).

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