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Dannazione

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Gustave Doré - InfernoQuando si pensa alla dannazione subito sorgono alla mente immagini di luoghi oscuri, violenti, dove la gente prova indicibili patemi, dove ci sono lacrime, disperazione, torture. Lo scenario descritto da Dante Alighieri nella Divina Commedia è l’incarnazione più conosciuta di tale realtà, ma ogni religione ha dato la propria descrizione di questa angosciosa condizione, rappresentandola con deserti, fiamme, ghiacciai, demoni, spiriti orrendi e crudeli che perseguitano l’anima condannata nell’esistenza che comincia dopo la morte.
Quasi tutte le religioni, fin dai tempi antichi, hanno professato regni di patimenti come punizione per le azioni perpetrate in vita: l’Ade dei greci con i suoi mostruosi guardiani, l’Inferno cristiano con i suoi demoni spietati. Ma un’esistenza può essere dannata ancora prima di raggiungere i regni dell’oltretomba, perché la dannazione è innanzitutto uno stato dell’animo in cui l’individuo cade a causa delle proprie scelte quando fa sì che comportamenti e pensieri erronei, ossessivi, prendono il sopravvento.
Odio. Orgoglio. Incapacità d’accettare le scelte, la realtà. Ferite, subite per tradimenti, così profonde che arrivano fino all’osso e non possono più essere riparate. Anche la persona più buona e virtuosa può cadere e divenire un’anima dannata.
Lucifero - Gustave DorèEsempio di questa realtà è Lucifero, che non è stato da sempre Signore dell’Inferno e che è bene ricordare che è stato tra i più grandi, se non il più grande, delle schiere angeliche per virtù. Eppure è caduto. Com’è potuto accadere? Per il non accorgersi di un bisogno che era dentro di lui: questa ignoranza non ha fatto altro che alimentare un male che ha creato una scissione dolorosa, non più sanabile.

E da quelle fiamme nessuna luce,
ma un buio trasparente,
una tenebra nella quale si scorgono
visioni di sventura,
regioni di dolore e ombre d’angoscia,
e il riposo e la pace non si troveranno,
né mai quella speranza che ogni cosa
solitamente penetra.

La parole di Milton sono le più appropriate per descrivere lo stato della dannazione: racchiudono le sfumature cupe e senza via d’uscita che avvolgono coloro che cadono nel suo abbraccio.
Parole che vengono usate come apertura per l’ambientazione di Ravenloft – Domini del Terrore, perfetta incarnazione della natura di un luogo abitato da esseri maledetti, vere e proprie creature dell’oscurità recluse in un mondo isolato delle nebbie, dove hanno grandi poteri, ma a cui non è concessa pace alcuna. Padroni di una terra di cui sono anche schiavi, dato che non possono lasciarla, torturati dalla maledizione che è stata impresse nel proprio animo.
strahd von zarovich - ravenloftLa forza di un’ambientazione ideata per il famoso gioco di ruolo Dungeons&Dragons non risiede solo nel cupo paesaggio in cui si svolgono le vicende o nel mistero che aleggia nel Semipiano nel Terrore, quanto nello scavare e scoprire la profondità delle tenebre dell’animo umano, nel rivelare dove possano portare desideri, sentimenti che con il tempo e gli accadimenti si sono mutate in ossessioni e di conseguenza poi in vere e proprie dannazioni. Ed è questo che accade quando un pensiero diventa ricorrente, quando in continuazione non si fa altro che arrovellarcisi sopra, quando si perde ogni tranquillità, ogni pace interiore. Al giorno d’oggi con gli studi e le scoperte fatti, questo potrebbe essere etichettato come un disturbo della mente, un’ossessione compulsiva che rende la vita un inferno, facendo vedere tutto come un tunnel del quale non si riesce a scorgere la via d’uscita, se non cadere in un vortice che trascina nella pazzia.
Ma senza andare a scomodare manuali di psicologia, andando a utilizzare linguaggi tecnici, alle volte basta una buona storia per accorgersi di atteggiamenti e meccanismi mentali da evitare; è quello che facevano i greci attraverso le rappresentazioni teatrali, dove gli spettatori potevano vedere e riconoscersi attraverso esempi e quindi avere un monito per non intraprendere certe strade.
I Domini del Terrore possono essere considerati un semplice gioco, ma a mio avviso Ravenloft è molto più di questo: i suoi autori sono riusciti ad andare oltre il divertimento, sono riusciti a creare qualcosa di profondo e toccante (inteso non certo come commovente, ma bensì capace di toccare e risvegliare corde sopite).
Non è difficile riuscire a riconoscersi in uno dei Signori dei Domini che è diventato tale in seguito a un amore tradito o non corrisposto, dove questo sentimento s’è mutato in una rabbia e un odio profondi.
Non è difficile riconoscere una brama, un’ambizione smodata capace di arrivare a sacrificare tutto pur di soddisfarla.
Non è difficile riconoscere un sentimento così forte da divenire possessivo, reclamante di essere esclusivo e totalitario. Oppure un desiderio così forte da spingere a stringere qualsiasi patto pur di riuscire a raggiungerlo.
Quale che sia l’origine della dannazione che affligge uno dei Signori di Ravenloft, ciò che è sicuro è che la forza del loro potere nasce dall’intensità delle emozioni che provano, perché le emozioni sono un’energia sconfinata, anche tremenda: più è sentito il sentimento, più è capace di scendere in profondità e raggiungere energie del Multiverso capaci di concedere poteri incredibili. Ma per ogni cosa c’è sempre un prezzo da pagare, per avere bisogna anche dare.
E quello che si sacrifica per il potere è sempre la propria umanità. Non è un caso, anche nella realtà, che le persone più importanti e famose, quelle che hanno raggiunto le posizioni più ambite, quali possono essere politici, manager, industriali, appaiono come individui distanti, freddi, incapaci d’empatia per il prossimo: impegnati nell’accumulare potere e scalare posizioni per averne sempre di più, quindi occupando sempre più tempo in questo compito, hanno dovuto togliere spazio ai rapporti umani, ai sentimenti, divenendo sempre più lontani, aridi, insensibili e incomprensibili agli altri. Certo attirano a sé molte persone, ma non è certo per quello che sono, ma per quello che hanno: potere. Tutti ne vogliono, tutti anelano possederlo e sfruttarlo. Quello che però non riescono a comprendere è che è il potere a sfruttarli, non il contrario, lasciandoli vuoti e inservibili quando esso trova un ricettacolo migliore per interagire nel mondo.
Nessun potere merita la perdita di se stessi, della propria umanità; così come nessun pensiero, oggetto o persona può divenire un’ossessione, altrimenti davvero l’esistenza si muta in una maledizione creando un inferno che tormenta sempre più. Anche nel male l’uomo dimostra la sua natura di creatore, fautore di quella regola della vita da lungo tempo conosciuta; per questo mai dovrà cadere nell’oblio il motto tanto famoso dell’Oracolo di Delfi: conosci te stesso.

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