Sono passati cinque anni da quando i Blind Guardian hanno pubblicato At the Edge of Time, presentando al pubblico quel capolavoro che è Wheel of Time, e la curiosità e l’aspettativa per il nuovo album in uscita a inizio del 2015 erano alte. Beyond the Red Mirror non le ha deluse, anche se non ci sono brani dell’epicità e della bellezza di Wheel of Time, ma si sa che nella carriera degli artisti, per quanto bravi, i capolavori non sono merce frequente.
I Blind Guardian confermano la loro bravura e cura nei dettagli, sfornando un album solido, che continua sulla strada di quanto visto in precedenza. Un lavoro impegnativo, dato che ha visto coinvolti due cori e tre orchestre per portare a compimento l’opera, oltre alla realizzazione dei testi delle canzoni che raccontano una storia che affonda nei miti arturiani, come si può già intuire dal nome che porta il protagonista delle vicende cantate, Arthur; ormai è un marchio di fabbrica della band ispirare le proprie canzoni al mondo del fantastico (letterario e cinematografico).
Il coro che fa da intro a The Ninth Wave riecheggia di toni e atmosfere medievaleggianti che fanno venire subito alla mente il film Excalibur di John Boorman del 1981, lasciando spazio poi alla voce graffiante e arrabbiata di Hansi Kursch, ma continuando a duettare con il vocal fino a quando non entrano in scena le chitarre con la loro forza, con toni che ricordano quelli dell’album A Twist in the Myth.
Di Twilight of the Gods si è già parlato, e allora si passa a Prophecies che inizia con tonalità da ballad per lasciare quasi subito però il posto all’impronta potente di chitarre e batteria. At the Edge of Time (la quarta canzone riporta lo stesso nome dell’album precedente) è un’altra canzone dall’incedere potente, epico, con musicalità che ricordano quelle di Fly (di nuovo fa capolino l’album A Twist in the Myth). Ashes of Eternity invece ricorda sonorità presenti in Imagination from a Another Site: un’altra canzone rocciosa e ben realizzata.
Ma è con Holy Grail che s’incontra la canzone migliore dell’album: potente, travolgente, evocativa, l’emblema dell’epicità (già il titolo dice tutto di quale può essere il tema del brano). I Blind Guardian danno il meglio di sé, riportando all’orecchio dell’ascoltatore sonorità già ascoltate (Imagination from a Another Site).
Subito dopo questa canzone, per chi acquista la versione limitata in digipack, c’è Distant Memories, un brano con sonorità completamente nuove per le band: bella, ma cui occorre farci l’abitudine, dato quanto si è abituati con il marchio di fabbrica dei Blind Guardian.
Passata questa parentesi si ritorna si ritorna alle classiche note del gruppo con The Throne, dove forte è il tema del legame che esiste tra la terra e il re, come ben è stato fatto vedere già nel film già citato Excalibur. Sacred Mind, con il suo titolo, può far venire in mente Sacred Word dell’album precedente, ma le somiglianze sono solo nel nome, dato che le sonorità sono completamente differenti: più melodica e potente la seconda, più veloce e aggressiva la prima.
Coinvolgente la ballad Miracle Machine che in alcuni passaggi di piano fa venire alla mente i Queen, si arriva infine a concludere l’album in bellezza con The Grand Parade.
Beyond the Red Mirror è un buon album, ma risulta essere un gradino sotto (forse anche due) a At The Edge of Time, perché risulta veramente difficile confrontarsi con canzoni come Sacred Word, A Voice in the Dark e soprattutto Wheel of Time.
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