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Arte come insegnamento ed educazione

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Platone rifiutava l’idea che l’arte avesse l’unico scopo di generare piacere, perché riteneva che dovesse trasmettere valori e virtù, che dovesse educare e insegnare. L’arte è per sua natura una copia e una copia è sempre imperfetta, in essa è presente qualcosa d’illusorio, una minima distorsione della realtà. Secondo Platone, un artista è sostanzialmente un bugiardo; la sua avversione era soprattutto verso la poesia, secondo il quale era limitata a offrire opinioni e sentimenti destinati a finire. Per lui fare poesia era finire nelle mani della musa corrotta.
Se accetterai la Musa corrotta della poesia lirica o epica, nella tua città regneranno il piacere e il dolore anziché la legge e la ragione, scrive nella sua opera Repubblica. Amava i miti purché fossero intesi come insegnamento morale, ma era nemico dei mitografi perché inventori di mondi falsi.
La pIetà di Michelangelo, un esempio di come l'arte possa essere un mezzo d'insegnamentoIn questo modo di pensare si può vedere uno scontro tra ragione e sentimento, tra razionalità e intuizione. Un modo di pensare imperniato sulle regole e che avversa ciò che non sottostà a esse, proprio come fa l’arte, perché l’arte è tante cose, soprattutto libertà d’espressione. In tutti i modi, l’arte è comunicazione, perché trasmette qualcosa a chi ne è spettatore: possono essere insegnamenti, emozioni, esperienze e tutto può essere arricchente per l’individuo.
Si può non essere d’accordo, dato che è limitante, con il pensiero di Platone che vede un certo modo di fare arte come negativo, ma va riconosciuto che la considerazione che lui aveva sull’usare l’arte come fonte di educazione e insegnamento fosse giusta. Una realtà che ho voluto utilizzare nella realizzazione di Strade Nascoste, volume appartenente a Storie di Asklivion.

 

Viaggiarono spediti, la stagione primaverile con i suoi canti e i suoi colori che permeavano ogni spazio; in cielo le nuvole si rincorrevano simili ora ad animali, ora a montagne.
Il cammino piegò a nord-ovest, come detto da Ariarn: avrebbero attraversato la piana sopra la Cordigliera di Nekton, spingendosi verso il Muro delle Lame, fino ad arrivare alla foresta di Hestea, proseguendo poi a ovest fino a giungere a Ronaan.
Per tre giorni camminarono nella pianura, circondati solamente da distese d’erba; al quarto giorno la morfologia del terreno mutò, sorsero declivi, le foreste riempirono gli spazi. Il paesaggio si arricchì della presenza di un fiume e dei suoi piccoli affluenti, il cielo blu e le nubi bianche che si riflettevano sulla superficie di un gran lago attorniato da selve di conifere.
All’ottavo giorno una fitta nebbia calò su tutta la zona. Persino per Periin divenne difficile orientarsi in quel mare bianco. Per due giorni le grigie condizioni atmosferiche persistettero prima di lasciare di nuovo posto al sole. I cinque si ritrovarono immersi in una vasta vallata di boschetti, circondata da basse montagne intercalate da passaggi che portavano alla pianura circostante.
«Abbiamo piegato troppo a nord rispetto al percorso» disse Periin. «Rimedieremo adesso dirigendoci più a ovest.»
La comparsa di uno squadrato pezzo di marmo in mezzo all’erba, seguito dopo pochi passi da un altro, li colse di sorpresa. Qualche metro ancora e si ritrovarono a camminare su un lastricato bianco, che si snodava sinuoso costeggiando i verdi boschetti della vallata. Piedistalli diroccati sorgevano in prossimità delle svolte del sentiero.
Il viale lastricato, accompagnato dal profumo di fiori di campo, arrivò a una scalinata: i resti di bianche mura mostravano il perimetro di ciò che era stato un ampio e vasto complesso architettonico. Della grandiosità di un tempo rimaneva solo macerie coperte da edere.
Era un luogo abbandonato, ma vi aleggiava un’atmosfera di pace, come se la presenza di quanto era stato non se ne fosse andata, continuando a permearlo.
La curiosità e il fascino del luogo fecero salire gli scalini scheggiati. I pilastri, un tempo sostegno ai cancelli d’ingresso, splendevano nel loro candore; i resti dell’arco che univa le due colonne erano sparsi nello spiazzo che si estendeva davanti ai cinque.
Guardandosi intorno come bambini in una casa nuova, arrivarono di fronte a un piedistallo alto due metri, dall’ampia base, l’attenzione attirata dalla placca metallica posta sulla sua facciata: i rampicanti non erano saliti sulla sua superficie, risparmiata dalla ruggine e dal trascorrere delle stagioni; solo una leggera patina oscurava la brillantezza della lastra, lasciando leggibili i simboli che vi erano incisi.
Ghendor lasciò scivolare le dita sulle linee elaborate, osservandole attentamente.
«Riesci a capire cosa c’è scritto?» chiese Reinor.
Il Messaggero continuò a fissare le lettere. «È una lingua antica, di cui sono rimaste poche tracce: proverò a tradurla, ma ho bisogno di qualche minuto per farlo.»
Mentre il Messaggero era intento a tradurre l’antico testo, i restanti quattro si guardarono attorno.
«Cosa sarà mai sorto in questo luogo sperduto?» domandò Periin passando accanto ad Ariarn.
«Un santuario» giunse la voce di Ghendor alle loro spalle. «Lo rivela la scritta sulla placca.»
«Apparteneva all’Ordine?» chiese Ariarn.
Il Messaggero si fece meditabondo. «Non lo so. Non ci sono riferimenti all’Ordine, anche se in quanto scritto si avverte la presenza dello spirito della Rivelazione. O forse si tratta di una mia interpretazione: non ci sono segni o riferimenti che confutino la mia sensazione.»
«Cosa dice l’iscrizione?» Lerida gli si fece vicina.
«La mia non è una traduzione precisa, ma il significato è questo:

             

            Benvenuto amico in questo sacro terreno
            Qui troverai per il corpo riposo e per il cuore ristoro
            Lascia ogni preoccupazione e fardello sulla strada percorsa
            A nulla giovano allo spirito
            Lascia che sia libero e leggero di andare a cercare se stesso
            E una volta trovatolo, vivrai in pienezza
            È quanto incontrerai una volta qui giunto

             

            Un posto per quietare le tue ansie e quelle del mondo
            Perché nel silenzio tu possa percorrere il varco che è la tua anima, l’immagine del tuo essere
            E vedendola tu l’ami e la desideri maggiormente
            Perché tu possa crescere ed essere quello che sei e puoi essere
            Nella serenità di questo luogo tu possa rispecchiarti in essa
            E capire che è un tutt’uno con te
            E che è più grande di te perché non viene dal luogo del tuo corpo

             

            Ti è donato gratuitamente, senza pegno
            Per farti guardare dove stai andando e scegliere meglio la via
            Non essere turbato dai turbamenti interiori, avviso di cambiamento.
            Sono come diluvio che spazza via l’inutile e fa emergere l’importante
            Per farti essere un uomo nuovo, migliore del vecchio
            Sii saggio con quanto donato, usalo nel modo giusto
            Desidera, ma non bramare, perché una fiamma peggiore del fuoco non ti consumi

             

            Qui amico non troverai maestri, ma fratelli, esseri come te
            Con gli stessi intenti, la stessa spinta, disposti a fare il tuo stesso percorso
            Non troverai avversari da superare né nemici da combattere
            Non esistono qui, dimorano solo nel tuo cuore
            Sei tu l’unico avversario da superare, sei tu il nemico da sconfiggere
            Armato inutilmente di vecchi e logori atteggiamenti e abitudini
            Cammina leggero, privo di pesi

             

            Segui il tuo cuore, le tue intuizioni
            Non credere che siano le cose o gli altri a poterti dare quello che cerchi
            Questo non è in loro potere
            Non possono darti quello che hai già e che devi solo scoprire
            Moderazione ed equilibrio siano il tuo motto e anche compassione
            Mai il tuo pugno per punire e la tua bocca per sentenziare
            Lascia queste cose del mondo a chi non ricerca la vita

             

            Presta attenzione a quanto ti è attorno
            Impara dalla natura, dagli animali, dalle stelle, dalla luna e dal sole
            Dal vento, dall’acqua, dal fuoco e da quanto esiste
            Ascolta le loro voci, ascolta il loro spirito
            Perché portino seme fertile in te
            Comprendi la parola che più che sentire percepisci e diventalo tu stesso
            Per te e per gli altri, perché così il mondo diventi armonia
 

           

«Questo è quanto» concluse Ghendor
«È stupendo!» esclamò Lerida assorta dalle parole.
«Sì, è molto bello» convenne il Messaggero.
Periin sbuffò. «Ora che vi siete trovati d’accordo sulla sua bellezza, possiamo andare? Avremmo fretta e molta strada ancora da fare.»
Ripresero a inoltrarsi nei ruderi, passando accanto ai resti di muri e giardini, dove panche e tavole scolpite erano ricoperte da muschio. Superati i gruppetti d’alberi che affiancavano l’ingresso, si ritrovarono in una vera e propria cittadella; la natura si stava riappropriando di quanto era suo, ma l’impronta di chi era vissuto in quei luoghi era ancora evidente.
«Dev’essere stato splendido quando la gente viveva qui» disse Lerida. «Sarei curiosa di sapere com’era questo luogo quando era intatto.»
«Sarebbe interessante avere il tempo di studiare questi reperti: dall’antichità si rivelano cose sorprendenti, pezzi mancanti della storia che permettono di capire meglio il presente» disse Ghendor camminandole accanto. «Secondo studi archeologici, le zone dei santuari avevano una disposizione predefinita. Vicino ai cancelli si trovavano le sale per dare accoglienza ai pellegrini; accanto a esse erano situati gli edifici del personale che si occupava dei servizi per persone e strutture» si voltò a guardare indietro. «Il grande spiazzo appena superato era la piazza dove la gente s’incontrava per discutere e rilassarsi all’ombra delle piante. Nei nostri tempi non si usa quasi più, ma nell’antichità non c’era solo la parola e la scrittura per insegnare la morale, l’etica o altro: erano usati quadri, melodie, rappresentazioni teatrali. I piedistalli che abbiamo incontrato erano supporti di statue: aiutavano le persone a riflettere e a capire meglio quello che erano venuti a cercare in questo luogo. Non so se sei stata a Nhal: nel tempio della città c’è un antico dipinto che ha la stessa funzione. Questa metodologia non è stata portata avanti e si può affermare che rispetto al passato abbiamo fatto un passo indietro. Quel periodo può essere ritenuto un’età dell’oro, una fonte immensa di saggezza, dove da tutto si poteva imparare qualcosa; gli artisti in quell’epoca avevano gran rinomanza e un certo peso anche nell’insegnare.»

Strade Nascoste. Capitolo IX. Sogni.

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