A sud del confine, a ovest del sole è un romanzo di Haruki Murakami del 1992. Un libro sulla solitudine, su tutto quello che è nascosto in una persona e che non può essere conosciuto se non viene condiviso volontariamente. E anche se condiviso, è difficile da capire. Un libro sulla distanza che c’è tra gli individui, spesso incolmabile, soprattutto dopo certe esperienze, dalle quali non si può tornare indietro.
Il romanzo racconta la storia di Hajime, dalla sua nascita (avvenuta il 4 gennaio 1951) fino all’età di trentasei anni. Figlio unico in un periodo in cui essere figlio unico era una rarità, si sente diverso, avvertendo un senso d’inferiorità nei confronti degli altri; almeno fino a quando, dodicenne, non conosce Shimamoto, una ragazza figlia unica come lui con una leggera zoppia alla gamba sinistra a causa di una poliomielite avuta da piccola. Fin da subito s’intendono reciprocamente e tra loro nasce un bel rapporto; rapporto che s’interrompe quando Hajime si trasferisce in un’altra città. Si perdono di vista; Hajime va al liceo, all’università, si sposa e gestisce due jazz bar nel quartiere di Aoyama. In un’occasione gli sembra di rivedere Shimamoto: la segue, ma l’insicurezza che sia proprio lei lo blocca. Quando decide di avvicinarsi, un misterioso signore interviene a fermarlo e impedirgli di continuare a seguirla.
Poi un giorno, grazie a un articolo sui suoi locali comparso su una rivista, Shimamoto ricompare ed è lei ad avvicinarlo. Il rapporto riprende come se non si fosse mai interrotto, i sentimenti mai dimenticati riaffiorano e s’intensificano. Hajime, nonostante non sappia nulla di Shimamoto, che rimane sempre un mistero, è disposto a lasciar perdere la moglie, i figli, il lavoro, pur di stare con lei; anche Shimamoto vuole restare con lui, vuole prendere tutto di lui. Tutto. Un legame intenso, totale, che prenderà a un certo punto una piega inaspettata. O forse no, se si è riusciti a comprendere il fatto che Shimamoto non accetta compromessi, la piega non è poi così sorprendente.
A sud del confine, a ovest del sole è un romanzo malinconico, che mostra il senso d’inadeguatezza che si prova verso un mondo dove comunicare con gli altri appare così difficile, dove si è soli e la solitudine pare essere l’unica compagna che mai abbandonerà l’individuo. Come in altre opere di Murakami, anche in A sud del confine, a ovest del sole la musica ha un ruolo fondamentale nella vita dei personaggi e nel dare nome (o almeno a una parte) al titolo del romanzo (ma questo spetta al lettore scoprirlo da solo, dato che è una cosa che si rivela verso il finale, a differenza di L’incolore Tazuki Tzukuru e i suoi anni di pellegrinaggio dove lo si rivelava all’inizio e non c’è timore di fare spoiler nel parlarne), così come in esso emergono esperienze personali dell’autore e la morte. Sì, la morte, perché è anch’essa parte della vita, ne è parte integrante e nessuno non può che fare esperienza con essa, venendone toccato, ferito, stravolto. Chi ha letto altre opere di Murakami si sarà accorto che il modo di sviluppare la storia si ripete come in altri volumi (ma se si sa osservare, è così per quasi tutti gli scrittori, ognuno ha il suo marchio di fabbrica che lo contraddistingue), questo però non toglie che l’autore riesca a coinvolgere il lettore nelle vicende di Hajime: non importa se si sono capiti i meccanismi di scrittura di Murakami, si vuole scoprire come andrà a finire la storia del protagonista, in che direzione lo condurrà la sua scelta. Murakami in questo non delude e tocca nel profondo l’animo di chi legge, soprattutto con quello che non scrive, ma che si fa intuire, dando a A sud del confine, a ovest del sole un velo di mistero e dubbio che dona ulteriore spessore all’opera.
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