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Il canto del sangue

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Il canto del sangueSeppur nulla originale, Il canto del sangue di Anthony Ryan è stata una piacevole e scorrevole lettura, che ha tenuto incollato alla pagine, con la voglia di sapere cosa accadeva nelle pagine successive. Tutta la storia è un lungo flash back del protagonista, mostrato attraverso il racconto che fa al suo compagno di viaggio su una nave; un compagno di viaggio forzato, con il protagonista costretto ad andare incontro a uno scontro che per lui si rivelerà mortale. O almeno, questo è quello che viene fatto credere. Come il racconto dato al compagno di viaggio non è proprio lo stesso che il lettore ha modo di scoprire, dato che quest’ultimo ha il beneficio di conoscere la storia attraverso il penserio del protagonista mentre per il primo non è così: ha solo una verità parziale, come lui stesso si accorge.
Vaelin al Sorna è un ragazzino che viene portato davanti al cancello del Sesto Ordine, dove verrà addestrato come guerriero. Dopo la morte della madre e la decisione del padre di lasciarlo ad addestrare nel famoso e temuto ordine, Vaelin ha come unica famiglia ragazzi che si trovano nelle sue stesse condizioni: il duro allenamento, le prove alle volte spietate, cementano il legame tra loro anche se sono di estrazioni differenti. Con il passare del tempo e delle prove, Vaelin scoprirà una realtà molto più complessa della semplicità vita da guerriero: avrà a che fare con intrighi, tradimenti, con un re manipolatore, con i segreti degli ordini. E poi c’è il Buio, una sorta di oscuro potere che in tanti temono, specialmente i sei Ordini del regno, contro cui un tempo avevano combattuto e vinto, ma che non è stato distrutto completamente: esso è sopravvissuto, celato in ciò che si credeva scomparso, il settimo Ordine di cui pochi sono a conoscenza. La realtà però è più complessa di ciò che sembra: il Buio non è davvero qualcosa di malvagio, è soltanto un mezzo. Un mezzo che può essere buono o cattivo a seconda di chi lo usa.
Vaelin, in apparenza seguendo il volere del suo re, obbedisce agli ordini impartiti, ma la sua missione è scoprire chi c’è dietro tutti gli eventi che si stanno verificando e che lo coinvolgono direttamente, dato che è uno dei pochi possessori del canto del sangue, una capacità che lo aiuterà nel suo compito ma lo farà anche prendere di mira.
Anthony Ryan, con il suo stile e il modo con cui ha realizzato il mostrare le vicende, ha fatto un buon lavoro; certo, Il canto del sangue non è nulla d’innovativo (l’addestramento e il percorso di crescita di un ragazzino fino a diventare prode e valente guerriero sono stati mostrati molte volte, tra gli ultimi R.A. Salvatore con la serie del Demon Wars) però viene raccontato bene e questo è uno dei punti che possono rendere una lettura una buona lettura.

Il 17° scudetto della Virtus Bologna

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Achille Pollonare e il 17° scudetto della Virtus BolognaMartedì 17 giugno la Virtus Bologna ha vinto il suo 17° scudetto. Si potrebbe parlare di come sia stato uno scudetto inaspettato, visto l’anno pieno di difficoltà sia a livello societario (con l’instablità dovuta al non sapere nelle mani di chi sarebbe stato il club) sia a livello di risultati sul campo (un’Eurolega deludente che ha portato al cambio d’allenatore in panchina). Si potrebbe parlare di una squadra che sotto la gestione Ivanovic ha cambiato pelle, migliorando nettamente in difesa, divenendo una compagine più solida e quadrata, perdendo quella schizofrenia che le faceva avere dei blackout di interi quarti capaci di farle dilapidare vantaggi anche superiori ai venti punti. Si potrebbe parlare di una Virtus Bologna capace di saltare fuori dai momenti più difficili come nei quarti di finale con Venezia, vincendo in rimonta in gara 5 dopo essere stata sotto di 9 a quattro minuti dalla fine, di vincere nelle semifinali due volte di fila in casa contro Milano (dove negli ultimi tre anni aveva sempre perso nei playoff) dopo aver perso gara 2 in casa di diciannove punti, e di vincere una gara tiratissima in gara uno nelle finali contro Brescia che ha dato il meglio di sè.
Ma più della vittoria finale, che fa sicuramente piacere, va ricordato come sia i giocatori di Brescia, sia i suoi tifosi, abbiano applaudito la Virtus Bologna nonostante la sconfitta (cosa già fatta dall’Inter nella finale di Champions contro il PSG), dando esempio di sportività. Soprattutto va ricordato come i pensieri sia dei giocatori sia dei tifosi della Virtus Bologna siano andati soprattutto ad Achille Pollonara, giocatore delle V Nere, prima colpito da un tumore e poi da leucemia mieloide riscontrata durante le semifinali scudetto.
Così dovrebbe essere lo sport, perché ci sono cose più importanti di una vittoria o un trofeo.

Referendum 8 e 9 giugno. Una sconfitta dei lavoratori.

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referendum 8-9 giugnoIl referendum dell’8 e 9 giugno è stata una sconfitta dei lavoratori. Una sconfitta che si sono cercata e creata con le proprie mani, perché in tanti, troppi, non sono andati a votare. Un grosso errore quello di non presentarsi alle urne perché si aveva la possibilità di cambiare leggi ingiuste, leggi che favoriscono datori di lavoro e che naturalmente vanno a influire in negativo sulle condizioni dei lavoratori. Il referendum è uno dei pochi mezzi che le persone hanno a disposizione per far sentire la loro voce, per poter dire cosa ne pensano di temi che li toccano diversamente, e per questo va sfruttato. Purtroppo così non è stato ed è qualcosa che oltre a far molto riflettere su cosa sono diventati gli italiani, fa molto arrabbiare; è comprensibile che si decida di non andare a votare alle politiche perché si ha a che fare con una classe politica mediocre, dove, se si va a votere, si cerca di votare il meno peggio, ma non votare a un referendum su questioni lavorative che toccano praticamente una gran fetta della popolazione lavorativa è qualcosa di veramente stupido. Quello che soprattutto fa arrabbiare è che si sentono tanti lamentarsi del lavoro e delle loro condizioni e poi, avendo una possibilità di cambiare qualcosa col referendum, non la si sfrutta. E non la si sfrutta per motivi stupidi: si sono sentiti tanti dire che non sarebbero andati a votare perché dovevano andare al mare, perché non si poteva rinunciare a una domenica in spiaggia per rilassarsi e divertirsi. A parte che l’estate deve ancora cominciare e quindi c’è tanto tempo per andare al mare, ergo per una volta si poteva rimandare perché il mondo non finisce; a quanto pare però per gli italiani ferie e svago sono sacri e hanno la priorità su tutto, piuttosto si salta qualche pasto, ma tempo e soldi per ferie si trovano sempre (ci si pongono delle domande però a questo punto: chi è al potere ha scelto le date 8 e 9 giugno contando proprio su questo, non volendo rischiare che i quesiti passassero? Non si poteva scegliere un periodo differente, dove l’affluenza poteva essere maggiore, come a esempio marzo o novembre?)
Cosa succede però se arriva il momento che non si riuscirà più ad andarci perché le condizioni di lavoro sono così peggiorate che non si avranno più modo e mezzi per andarci?
Si pensa all’immediato, al tornaconto del subito, ma bisognerebbe avere la lungimiranza anche di quello che viene dopo, bisognerebbe pensare un poco al futuro sia proprio sia quello di chi verrà dopo (figli). Invece non c’è visione di futuro, perché a tanti non importa, perché tanti si sono rassegnati e convinti che non si può fare nulla per cambiare lo stato delle cose, ergo, meglio divertirsi finché si può (in pochi ricordano le parole di Thomas Jefferson: “I popoli non dovrebbero avere paura dei propri governi, ma sono i governi che devono aver paura dei propri popoli.”).
Facendo fallire il referendum non solo si è persa un’opportunità per migliorare la propria condizione lavorativa, ma si è dato l’assist a un governo di destra che appoggia gli imprenditori (come sempre hanno fatto i governi di destra e come ha fatto pure Renzi, che non era affatto di sinistra ma un vero e proprio cavallo di Troia della destra asservito ai soldi e agli imprenditori) che così può vantarsi e dire che la maggior parte degli italiani è dalla loro parte, che appoggia le sue politiche del lavoro e condivide in toto il suo modus operandi, dandogli così ancora maggior potere e libertà d’azione. Un governo che ha spinto con forza sull’astensionismo, facendo diventare la sconfitta dei lavoratori una sua vittoria, vantandosi ed esaltandosi di questo fatto, dando l’ennesima dimostrazione di come considera la democrazia e di come la stia mettendo a rischio.
Menefreghismo, lassismo, rassegnazione, egoismo: le ragioni di questo fallimento sono tante. Il termine più adatto per definire tutti gli italiani che non sono andati a votare è ben usata in una famosa canzone dei Green Day (però si usino i termini italian e Italia per rendere il quadro più chiaro e pertinente).

P.s.: in diversi elementi del governo hanno esortato a non andare ai seggi. E se si seguisse lo stesso consiglio quando si dovrà andare a votarli?

Esempi di civiltà

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Lo sport dovrebbe essere una festa, momenti per divertirsi e gioire, soprattutto quando arrivano vittorie importanti, come successo col Bologna, che è tornato ad alzare la Coppa Italia dopo più di cinquant’anni: festeggiamenti sentiti, ma che sono stati ordinati e rispettosi. Un esempio di cività.
Un caso a quanto pare isolato, dato che altri così non hanno fatto, come successo per la vittoria del Napoli con lo scudetto. Già c’erano stati alcuni episodi che avevano gettato delle ombre sulla festa scudetto, come le parole dell’arbitro Guida che ha rivelato che lui e Maresca hanno deciso di non arbitrare più le partite del Napoli. “Io vivo la città di Napoli e abito in provincia. Ho tre figli e mia moglie ha un’attività. È una scelta personale. La mattina devo andare a prendere i miei figli e voglio stare tranquillo. Quando ho commesso degli errori non era così sicuro passeggiare per strada, così come andare a fare la spesa. Pensare di sbagliare ad assegnare un calcio di rigore e di non poter uscire due giorni di casa per svolgere le mie attività sportive non mi fa sentire sereno.” Coincidenza vuole che al var di Inter-Lazio, partita risultata decisiva per l’assegnazione del tricolore, ci fosse proprio Guida con un rigore negato ai nerazzurri che ha fatto finire la partita 2 a 2 e praticamente assegnando lo scudetto al Napoli. Altro episodio poco piacevole il tentativo di De Laurentis che ha richiesto al governo nell’ultima gara di campionato d’impedire ai tifosi del Cagliari di essere presenti allo stadio del Napoli perché voleva ci fossero solamente tifosi napoletani per festeggiare la vittoria finale.
Le cose non sono però finite qui per quanto riguarda i festaggiamenti del Napoli: la Rai ha mandato in diretta la festa dello scudetto del Napoli, cosa che, da quel che si ricorda, non è mai successa prima. Anche il Papa che riceva la squadra napoletana è stata un’anomalia.
Purtroppo, c’è di peggio: con i festaggiamenti ci sono stati decine di feriti, diversi arresti e carabinieri aggrediti, senza contare che sono state spazzate via dalle strade di Napoli ben 60 tonnellate di rifiuti, un dato tre volte superiore a quello registrato a Capodanno. Per non parlare di come hanno lasciato altre città italiane i tifosi napoletani con i loro festaggiamenti.
Festeggiamenti Paris San Germain per la vittoria della Champions League, un esempio di civiltàSe si pensa che questo sia non un gran bell’esempio di civiltà, i tifosi del Paris Saint Germain hanno fatto di peggio: per la loro prima Champios League, i giocatori del PSG sono stati costretti a rifugiarsi negli spogliatoi per l’invasione di campo dei suoi tifosi che volevano rubargli per coppa per sollevarla loro, con la polizia che ha dovuto creare dei cordoni per impedire che invadessero anche gli spogliatoi. Ma non è finita qui: sia a Monaco sia a Parigi ci sono stati scontri feroci già prima della finale. E i festaggiamenti dopo la vittoria hanno portato due morti, oltre cinquecento arresti, Parigi che sembrava una città in stato d’assedio: pensiline degli autobus distrutte, centinaia d’incendi, decine di vigili e forze dell’ordine feriti.
In Grecia le cose non vanno meglio nella finale scudetto di basket, con il governo che è dovuto intervenire a sospenderel a serie finale Panathinaikos-Olympiacos, per via di minacce, offese, richieste di arresti e fughe.
Non c’è che dire, davvero dei begli esempi di civiltà.

Duranki

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DurankiDuranki è l’ultima opera realizzata da Kentaro Miura e purtroppo resterà incompiuta, come comunicato dalla redazione di Young Animal dopo averne parlato con i membri dello Studio Gaga. Una decisione comprensibile, ma di cui mi dispiace, dato che ho apprezzato l’unico volume realizzato sia per i disegni, sia per l’ambientazione, sia per i personaggi, sia per la storia; sicuramente ha influito la passione che ho verso i miti degli eroi e degli dei dell’Antica Grecia, dato che Duranki proprio su di essi si basa, ma c’è da dire che Miura per i sei capitoli realizzati ha fatto un buon lavoro, sicuramente migliore dell’idea originale da cui si è preso spunto: all’inizio, infatti, l’opera si doveva chiamare Amazones, con un ragazzo dei giorni d’oggi dai tratti molto femminili che veniva catapultato nel mondo dell’Antica Grecia (precisamente ai tempi della Guerra di Troia) e finiva in mezzo alla Amazzoni, finendo scambiato per una ragazza. Leggendo la sceneggiatura pubblicata assiema ai sei capitoli di Duranki, il protagonista viene portato nella città delle Amazzoni (chiamata Amazon) e deve cercare di non far scoprire che in realtà è un uomo (pena il venire decapitato) e con la conoscenza che ha delle tattiche di guerra, delle armi moderne e della storia, aiuta le Amazzoni contro i greci invasori che attaccano Troia, cambiando il corso degli eventi. In sostanza, Amazones sarebbe stato un isekai (il protagonista viene trasportato, reincarnato o evocato in un universo parallelo, spesso di stampo magico o fantastico); l’idea fu poi accantonata perché col passare del tempo gli isekai divennero uno standard, putando perciò più sull’aspetto mitologico. E questo, a mio avviso è stato un bene: con Amazon si voleva mostrare un gruppo di donne (le Amazzoni) che si ribella a una cultura maschilista, e questa l’ho trovata un’idea interessante, valida, peccato non realizzata a dovere, dato che aveva un approccio troppo adolescenziale, in alcuni casi da macchietta. Senza contare che i greci venivano stereotipati, presentati come un gruppo di bruti imbeccilli; sinceramente, non mi sarebbe piaciuto vedere realizzate tavole dove un esercito esperto come quello spartano viene sbaragliato da un gruppo di ragazzine; va bene l’aiuto avuto dai mezzi realizzati dalla conoscenza del protagonista, ma un popolo come quello di Sparta, che viveva di addestramento militare e guerra, non poteva essere sconfitto e umiliato così facilmente. Anche le battute che venivano fatte contro i greci (Menelao etichettato come “cornuto” e “re della pena”) erano un po’ troppo da macchietta e da anime comico, così come certe scene rovinavano l’epicità che è stata l’opera di Omero (Menalao che se ne va con una freccia nel sedere, Achille che dopo essere stato ferito dal protagonista con un’arma da fuoco s’innamora di lui e ci prova quando casualmente si ritrovano nelle stesse terme, venendo scacciato come un maniaco dalle altre giovani Amazzoni). Insomma, mostrare gli eroi greci come cattivi rimbecilliti e basta non sarebbe stato nelle mie corde.
Fortunatamente, la storia ha preso un’altra piega, facendo arrivare a Duranki. Due antichi dei della saggezza si ribellano al sistema mitico dando vita a un essere che non è né uomo né dio, né maschio né femmina, donandogli il nome di Usumgal che significa “Drago”; affidano la loro creatura a Hermes, dio greco protettore dei ladri, perché lo porti sul suolo sacro della Vetta dell’Arca, dove verrà trovato da una coppia anziana di pastori. Qui crescerà libero insieme a loro e alla compagnia del grosso cane Huwawa e del dio degli armenti Pan; grazie al suo intelletto, realizza delle invenzioni che semplificano la sua vita e quella degli anziani che l’hanno adottato, che fin da quando l’hanno trovato in fasce ai piedi della gigantesca arca del diluvio hanno compreso che è opera degli dei.
Crescendo, Usum ha il permesso di scendere dalla montagna, dove incontrerà un gruppo di ragazzi provenienti dal villaggio Tase, con il quale legherà fin da subito. Il nonno però lo mette in guardia, sia per il fatto che potrebbe incontrare difficoltà a farsi accettare per via della sua natura androgina, sia per il risentimento che cova negli abitanti di Tase, spogliati e derubati da una guerra e costretti a fuggire e rifugiarsi sulle montagne.
Nonostante queste ombre, la vita di Usum continua tranquilla, venendo ben accettato a Tase, grazie anche a ciò che realizza. Tutto va per il meglio fino a quando non incontra e deve combattere contro un mostro mitologico, una manticora. Purtroppo. Duranki finisce qui, nel bel mezzo dello scontro e non si saprà mai come finirà lo scontro (probabilmente bene), né come continuerà la storia e come si sarebbe evoluta. Davvero un peccato, perché c’erano tutte le premesse per realizzare qualcosa di valido e interessante.