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Morti bianche e disinteresse

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LA strage senza fine delle morti bianche (immagine presa da https://corrieredellumbria.corr.it/news/italia/28870392/morti-bianche-sul-lavoro-numeri-inail.html)Erano i primi mesi del 2009 quando ho finito la prima versione di L’inizio della Caduta. Allora l’opera aveva un altro titolo, lo stile era diverso e anche alcune parti lo erano, tuttavia lo spirito che aveva dato il via a tutto è sempre stato lo stesso: la denuncia delle morti bianche e del sistema economico che non guarda in faccia a nulla per poter continuare ad avanzare.
Il romanzo non è mai stato preso in considerazione da nessuna casa editrice e la colpa non può essere data allo stile o allo sviluppo della trama, dato che non è stata letta: l’opera non è arrivata alla valutazione di lettura perché, dalle risposte avute, l’idea non era d’interesse.
Si sa che il mondo dell’editoria è una giungla e che le case editrici, non essendo onlus, devono puntare su quei prodotti che il mercato ricerca perché, per poter sopravvivere, devono guadagnare e avere utili, quindi non ci si sorprende e non ce la si prende se si ottiene un rifiuto.
Ci si sorprende e ce la si prende quando invece sono altri a cui non interessano i morti del lavoro, e ci si riferisce non solo alle istituzioni e alla politica, ma anche alla maggioranza delle persone. Fino a quando non si viene toccati da vicino, delle morti bianche non interessa a nessuno. Ci si accalora, si fanno dibatti, si litiga, ci s’imbrutisce se un calciatore cambia squadra, se una influencer dice una cosa oppure se una vip posta una determinata foto sui social, mentre invece non si fa una piega se una persona, facendo il suo lavoro per cercare di sopravvivere, va ad aumentare il numero delle morti bianche.
Persone che spesso lavorano per stipendi che non gli bastano nemmeno per arrivare alla fine del mese, che non si stanno certo divertendo a fare qualcosa che se potessero non farebbero, ma che, per non avere la sicurezza sul posto di lavoro, si trovano praticamente costrette a morire.
La realtà brutale è questa: per scelte appartenenti ad altri, in tanti si trovano a dover morire. Una morte che sarebbe evitabile, ma che non si vuole evitare perché non si vogliono spendere soldi per tutelare la vita altrui. In fondo, se una persona muore sul posto del lavoro, ce la si cava con qualche noia burocratica, con qualche ispezione, ma poi si va avanti come sempre, perché ci sarà chi prenderà il posto del morto (visto l’alto numero di disoccupati) e la macchina produttiva continuerà il suo cammino.
Politica, governo, sindacati: tutti a fare proclami, tutti a indignarsi, a pretendere nuovi provvedimenti. Ma è solo ipocrisia, è solo una facciata per i media. Perché dal 2009 le morti sul lavoro ci sono state ogni anno e anzi sono andate aumentando, ma nessuno ha fatto niente, nessuno ha voluto fare niente. Anzi, occorre dire che la questione risale a molto prima del 2009 e questo significa soltanto una cosa: per il sistema attuale, la vita umana non ha nessun valore.
Mentre invece un valore spropositato viene dato al guadagno, al costrutto economico a cui ormai tutto è asservito. Quante volte si è sentito dire che bisogna preservare il lavoro, non importa cosa viene sacrificato? Prima sono stati tolti diritti e tutele, poi si è chiesto alle persone di fare ancora più sacrifici per poter lavorare. Ora si sta chiedendo il sangue alle persone. Il tutto nel disinteresse più totale dei più.