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Logan - The Wolverine

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Logan – The Wolverine è al momento il miglior film realizzato sui mutanti di casa Marvel. Rispetto ai film precedenti riguardo questo personaggio (X-Men le origini – Wolverine e Wolverine – L’immortale), ci sono delle differenze che potrebbero lasciare perplesso lo spettatore: in X-Men le origini – Wolverine , si diceva che Logan poteva essere ucciso con proiettili d’adamantio, cosa che però non avviene (perde solo la memoria), mentre in Wolverin – L’Immortale, gli vengono tagliati gli artigli di adamantio, che però sono di nuovo intatti in Logan – The Wolverine.
Fatte queste precisazioni, il film si svolge in un futuro mondo alternativo, dove la razza mutante è praticamente estinta, sia a causa della caccia spietata che hanno subito, sia perché da venticinque anni non nasce più un bambino della loro specie. Logan è uno dei pochi rimasti, e fa l’autista per sbarcare il lunario e poter acquistare le medicine per Charles Xavier e tenere sotto controllo il suo potere telepatico ormai allo sbando per una malattia neurodegenerativo al cervello; viene aiutato in questo da Calibano, mutante reietto un tempo usato per dare la caccia ai suoi simili. La loro è una vita lontano dalla società, dato che l’un tempo capo degli X-men è uno dei più grandi ricercati del paese a causa delle morti che ha causato con una delle sue crisi. Charles e Logan sono due residui di un tempo che non c’è più, due sopravvissuti stanchi, anziani e malati, perché anche Wolverine, nonostante il suo fattore rigenerante, non più come un tempo, non riesce a fare fronte all’avvelenamento da adamantio che lentamente lo sta uccidendo.
La loro esistenza cambia quando viene contattato da Gabriela, un’ex infermiera della Transigen, che gli chiede di accompagnare lei e la piccola Laura in un posto nel Dakota del Nord. Inizialmente Logan rifiuta, ma quando trova la donna morta e un gruppo di uomini armati li attacca per riprendere la ragazzina, accetta, volendo andare a fondo nella vicenda; scoprirà così che la Transigen con campioni di DNA di diversi mutanti ha generato in vitro dei bambini mutanti da utilizzare come soldati speciali. Rivelandosi difficili da condizionare, ritenendosi esseri umani e non solo armi, dopo il successo del progetto X-24, la ditta ha deciso di sopprimerli tutti. Non solo: scoprirà che la piccola Laura non è altro che sua figlia, con il suo stesso fattore rigenerante, gli artigli ricoperti di adamantio, e l’aver ricevuto il suo stesso addestramento a uccidere.
Charles, Logan, Laura (Calibano è stato catturato durante l’attacco a dove vivevano) iniziano così un lungo viaggio per raggiungere il luogo indicato da Gabriela, dove dovrebbero trovarsi gli altri bambini riusciti a fuggire. Qui non solo si scoprirà come mai Logan è l’ultimo X-Men rimasto e che ne è stato dei mutanti, ma anche chi è il famoso progetto X-24, l’arma perfetta.

Logan – The Wolverine è un film cupo, violento, che narra la fine di un’epoca di personaggi/eroi; in tutta la pellicola si respira questa atmosfera, in ogni azione e dettaglio, proprio come quando Charles e Laura vedono insieme Il cavaliere della valle solitaria (film western del 1953, diretto da George Stevens e con Alan Ladd nella parte del protagonista) e che influenzerà la piccola non poco.
Charles non è che l’ombra del leader che è stato, un vecchio che ha bisogno di essere accudito, che ha perso il controllo dei suoi poteri e che vive praticamente da recluso per non essere trovato ma anche per non fare del male a nessuno. Una figura che si scontra spesso con Logan, accusandolo di essere un fallimento, con i due che si beccano di continuo. Charles lo accusa di nascondergli qualcosa, qualcosa che Logan ha fatto; questo in parte è vero, ma non è stato Logan a fare qualcosa: semplicemente vuole evitare che il vecchio mentore ricordi cosa è successo davvero. Allo stesso tempo, oltre a essere un vecchio rancoroso, Charles è anche una sorta di nonno amorevole e comprensivo verso Laura, asserendo che era lei la mutante che sentiva nella testa e che non erano solo i deliri dovuti alla sua malattia.
Logan fa fatica a sopportare tutto ciò: è lui che ricorda la scomparsa dei suoi compagni e amici, è lui che porta il peso di una verità che non può dire, ritrovandosi di nuovo a lottare quando tutto quello che voleva era starsene in pace. Inoltre si ritrova a essere padre all’improvviso di una ragazzina che gli ricorda fortemente ciò che è stato, ben mostrando quel difficile rapporto che c’è tra genitori e figli. Una bambina che per buona parte del film se ne sta muta, salvo scatenarsi come una belva feroce quando è attaccata, per poi rivelare che sa parlare e prendersi cura di lui quando è ferito.

Logan – The Wolverine si inspira in parte alla serie a fumetti Marvel Vecchio Logan di Mark Millar e Steve McNiven (per quanto riguarda ambientazione distopica e la figura solitaria dell’eroe che non vuole ricoprire questo ruolo), attingendo a piene mani da tante altre storie degli X-men. Ci sono i Reavers, un gruppo di cyborg capeggiati da Donald R. Pierce, membro del Club Infernale, che spesso ha affrontato gli X-men. C’è Calibano, membro dei Morlock, mutanti reietti che vivevano nelle fogne di New York City, e che sono stati importanti negli anni ’80 nelle storie scritte da Chris Claremont. C’è il riferimento alla serie Messiah Complex, che porta avanti gli eventi dopo House of M, con il tema della decimazione mutante e di nuove nascite mutanti che la fa da padrone. E poi c’è Laura, la figlia di Wolverine, la famosa X-23, fatta nascere per essere un’arma migliore di quella che doveva essere suo padre (Arma X di Barry Windsor-Smith).

Scott Frank, James Mangold e Michael Green hanno saputo mettere insieme tutti questi elementi creando una sceneggiatura solida, che tiene avvinti alla vicenda; niente costumi da supereroi, niente effetti speciali a tutto spiano, ma una storia intensa, solida, dove ben sono caratterizzati i personaggi, davvero di spessore e non delle semplici figure dei fumetti buttate su pellicola. Anche se si tratta di personaggi diversi, Nolan ha fatto lo stesso lavoro con Batman, creando una storia che è molto più di una semplice storia di supereroi. Per chi volesse riconciliarsi con il cinema supereroistico, Logan – The Wolverine è quello che fa per lui.

Cielo settembrino

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Gli Dei del Pozzo

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Gli Dei del Pozzo è il primo volume della Saga del Pozzo di Gianluca Turconi che unisce scienza a magia. La storia inizia con quella che pare essere la solita storia di contrabbando di armi e droga dal Messico alle Bahamas e alla Florida; ma questa volta, il viaggio commissionato da Lucious Morris nasconde qualcosa di diverso: si tratta di ripetere nel corso di un uragano un esperimento scientifico militare a cui aveva partecipato a suo tempo su una nave da guerra il padre di Scott Herby, il proprietario della nave Witchcraft su cui si è imbarcato il fisico, e che era finito in circostanze misteriose.
Sia a causa del tradimento di parte dell’equipaggio, sia a causa della tempesta, solo Scott e Astrid, sorella di Bengt Arnberg collega di lavoro del padre di Scott, riescono a sopravvivere, ritrovandosi sbalzati in un deserto sconosciuto sotto un cielo senza stelle. Mentre cercano si raggiungere le montagne, per caso, sotto la sabbia ritrovano la Antietam, la nave da guerra scomparsa; lì, esplorando il suo interno per trovare qualcosa che possa essere utile alla loro sopravvivenza, vengono attaccati da una creatura mai vista prima.
Attanagliati da un numero crescente di dubbi e misteri, i due arrivano a incontrare il mercante moro Khalil; presto comprendono di essere finiti in un’altra epoca e precisamente ai tempi di Carlo Magno, solo che la storia è diversa da quella che conoscono: Rollant (Orlando), non morto nella famosa imboscata e il regno di re Charles si trova nella morsa dei monaci Penitenziali guidati da Alcuinus. Contro la loro volontà si troveranno coinvolti in qualcosa di grande, che esula dalla loro mente razionale. Tra rune magiche, dei, battaglie epiche saranno agenti determinanti del destino della storia.
Gli Dei del Pozzo è un romanzo che nella prima parte alterna parti ambientate nel nostro presente e parti nel mondo medievale, prima di convogliarsi in un’unica vicenda. Lo stile è più diretto per il tempo presente, mentre si fa più ricercato per il tempo passato per rievocare l’atmosfera delle vicende cavalleresche. Trama ben strutturata e affascinante, non risparmia colpi di scena; interessante soprattutto la rivisitazione di certi eventi e il mostrare personaggi storici famosi sotto un aspetto più umano: re Charles è un uomo che commette sbagli e Rollant non è solo un cavaliere senza paura, ma anche un padre preoccupato per la sorte della propria bambina. Un po’ affrettato il finale, che fa capire come la storia non sia finita, ma abbia ancora diverse cose da dire; questo non toglie che Gli Dei del Pozzo è una lettura interessante, ricca di spunti.

In mezzo scorre il fiume

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Fiume

Segnalazione recensione L'inizio della Caduta

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Per chi volesse farsi un’idea di L’inizio della Caduta, avendo un punto di vista diverso da quello dell’autore, segnalo la recensione di Bruno Bacelli (che ringrazio nuovamente).

Quello che veramente vuoi

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Le ruote scorrevano lente sull’asfalto. Teneva la pedalata costante. Su e giù. Giù e su. Una gamba si alzava, l’altra si abbassava.
Presto cominciò ad avvertire i benefici dell’attività fisica, sentendo la morsa della mente allentare la presa. I pensieri staccarono i loro artigli, perdendosi alle sue spalle, sospinti lontano dal vento.
Dopo qualche chilometro cominciò a rilassarsi. All’incrocio svoltò a destra, lasciando la strada provinciale e immettendosi in una secondaria. Le case lasciarono posto al verde di campi e boschi.
I versi delle cicale, lo stridio di un falco, lo accompagnarono per tutto il tragitto. Sorrise vedendo comparire il ponte. Il gorgoglio dei flutti, l’acqua che s’infrangeva sulle rocce… non vedeva l’ora di sentire quei suoni. Volse lo sguardo per guardare di sotto. Le rocce scaldate dal sole, i pesci che sguazzavano nell’acqua, le tette e i culi al vento…
“Le tette e i culi al vento?!”
Rallentò fin quasi a fermarsi, la bocca aperta. Quattro ragazze se ne stavano sulla riva a prendere il sole come mamma le aveva fatte. Una di loro lo vide e lo salutò; le altre la imitarono. Una gli fece cenno di scendere.
Abbozzando un sorriso imbarazzato, ricambiò il saluto e riprese a pedalare.
Lasciò l’asfalto e cominciò a percorrere lo sterrato tra gli alberi. Il sudore prese a imperlargli la fronte quando la salita si fece più dura. Ancora uno sforzo e avrebbe raggiunto la cima. Un’ultima svolta e il paesaggio della vallata si sarebbe aperto alla sua vista. Alzò lo sguardo e…
A una decina di metri da lui, una ragazza stava chinata in una posizione inequivocabile sopra un ragazzo sdraiato supino.
«Oh Signore…» mormorò voltando la bicicletta e tornando indietro. “Possibile che quando uno vuole un po’ di pace deve fare certi incontri?”
Non gli rimaneva che andare al parco: a quell’ora non doveva esserci più nessuno.
Sul far del tramonto varcò il suo ingresso. Superando la recinzione dei campi da bocce, raggiunse la zona dei tavoli. Si fermò, scese dalla bici e si sedette su una delle panche di legno, godendosi il vento della sera. Nei movimenti delle fronde degli alberi c’era un che di rassicurante, una nenia che lo cullava e lo faceva sentire protetto.
La pace non durò più di cinque minuti. La vide entrare nel parchetto, sperando che non andasse nella sua direzione, ma temendo che lo facesse. I suoi timori trovarono subito conferma: la donna andò a sedersi vicino a lui sulla panchina.
«Sei di queste parti?» gli chiese.
Lui scosse il capo.
«Come posticino è carino…» disse la donna. «Tranquillo, appartato, l’ideale per chi cerca un po’ di… compagnia» terminò ammiccante.
Senza dire una parola si alzò, inforcò la bicicletta e si allontanò con pedalate decise.
“Sesso. Solo una questione di sesso. Finisce sempre tutto lì, come se al mondo non ci fosse altro.” Sputò di lato. Ormai le cose andavano così; forse erano sempre andate così. Forse però non era il mondo a essere sbagliato: probabilmente era lui che aveva qualcosa che non andava. Non c’era niente che lo soddisfacesse, che gli facesse bastare la vita che aveva.
Ogni giorno lo stesso lavoro, gli stessi colleghi, le stesse persone, le stesse azioni. Fare le cose semplicemente perché le facevano tutti. Sentirsi rivolgere sempre le solite domande, dando risposte di rito per far finta che tutto andava bene.
Ma non andava bene per niente. C’era un vuoto in lui che non sapeva spiegarsi: era come stesse aspettando qualcosa senza sapere cosa stava aspettando. Ma sapeva benissimo che quello che il mondo aveva da offrire non gli bastava: era sempre insoddisfatto, si sentiva incompleto, come se una parte non gli fosse stata data. O gli fosse stata portata via.
Quand’era stata l’ultima volta che era stato davvero felice? Più ci pensava e più si vedeva costretto ad andare indietro negli anni con i ricordi. L’immagine di lui che correva con i cani che aveva avuto da piccolo gli si affacciò alla mente. Com’era stato spensierato allora, e come non aveva saputo apprezzare appieno quei momenti. Se solo avesse potuto riviverli ancora una volta…
Stava per imboccare la strada di casa quando scorse un sentiero che scendeva a valle; nonostante passasse sempre da quelle parti, era la prima volta che se ne accorgeva. Lo imboccò d’istinto. La bici sobbalzava sui ciottoli, acquistando sempre più velocità in discesa nonostante tirasse i freni al massimo. Le curve del sentiero aumentarono, gli arbusti che gli sferzavano braccia e viso.
Il tronco comparve all’improvviso davanti a lui. Provò a sterzare, ma non riuscì a evitare l’impatto. Volò oltre l’ostacolo, ruzzolando in mezzo a pungitopi ed ellebori; sentì la bici seguire il suo stesso percorso. Udì uno schianto e tutto vorticò più forte attorno a lui.
Quando si fermò ed ebbe il coraggio di aprire gli occhi, si ritrovò in mezzo a erba che gli solleticava naso e guance. Lentamente si rimise in piedi, accertandosi di non avere nulla di rotto. La bici era sdraiata dietro di lui con un paio di raggi spezzati e lo sterzo storto. Anche se sapeva la direzione da dove era venuto, il sottobosco era così fitto che non vedeva più il sentiero.
Un luccichio alla sua destra lo fece voltare. Con l’erba che gli accarezzava i polpacci, si diresse verso lo stagno contornato da giunchi sul lato orientale; l’acqua rifletteva il verde degli alberi che coprivano il fitto pendio cui lambiva le radici.
Un centinaio di metri più avanti si ergeva un edificio in sassi a due piani, le pareti ricoperte di muschio ed edera. Quasi incastrata contro la collina, la palazzina con il tetto sfondato sembrava un guardiano rimasto in attesa a lungo, così a lungo che il tempo era stato impietoso con il tributo che aveva riscosso. Crepe correvano lungo i muri, accarezzando i buchi neri privi degli infissi delle finestre.
Stava per varcare la soglia dell’ingresso, quando un piede urtò contro qualcosa di duro. Chinandosi, vide che sul terreno c’era una lastra di rame con sopra una lunga incisione.

Sperduto nella nebbia
Di un mondo senza senso
Viaggi in cerca di un perché
Che colmi
L’ansia silente ma non sopita
Che giace nel tuo cuore.
Solo perdendo
Quello che più prezioso hai
Potrai trovare quello che cerchi.

Una vertigine lo colse, facendo ondeggiare il mondo attorno a lui. Per un attimo quello che gli era attorno gli apparve irreale.
“Forse ruzzolando giù ho battuto la testa e ora sto vivendo un’esperienza di premorte” pensò. “Forse dovrei tornare indietro e controllare se vedo il mio corpo steso sull’erba.”
Ma in quel momento non gli importava se era vivo o morto: quello che contava era andare avanti. Adesso sentiva come una forza che lo stava attirando a sé, ma non veniva dalla casa. Riprese a camminare nella radura. Presto il terreno prese a digradare, portandolo di nuovo verso gli alberi; superando un fossato poco profondo, aggirò una macchia di bassi rovi per trovarsi davanti all’imboccatura di una grotta.
Si voltò indietro, vedendo qualcosa muoversi nel punto in cui la sua caduta si era fermata. Una parte di lui gli diceva di tornare indietro, che era necessario che andasse a controllare; ma una voce gli stava sussurrando che non era quello che voleva, perché là non c’era nulla per cui valesse la pena tornare.
Si voltò verso la grotta ed entrò. Camminò a lungo nelle tenebre; presto ebbe l’impressione di aver smesso di scendere e aver cominciato a salire. Il buio cominciò a dissiparsi, lasciando spazio alla luce. Sbucò sul fianco di una collina di un verde rigoglioso, l’aria ricolma del profumo di mille fiori. A poca distanza da lui, un uomo dai lunghi capelli e una folta barba che ricadeva su una veste bianca passeggiava con diversi cani al seguito.
“Ma quelli sono…”
«Buck! Diana!»
Il grande cane nero e la piccola cagna pezzata si voltarono abbaiando festosi. Si lanciò di corsa verso di loro, felice come mai lo era stato.