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L'Alba

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«Sveglia! È l’Alba!»
Questo è il messaggio che mi ha inviato su WhatsApp un mio ex commilitone questa mattina; mi ero completamente dimenticato che oggi è l’anniversario del nostro congedo. Sono già trascorsi vent’anni da quando ho terminato il militare; gli stessi anni che avevo quando sono partito per la leva obbligatoria.
Com’è passato in fretta il tempo.
Sono andato a ricercare le foto di allora.
L'AlbaC’erano quelle del CAR, dove eravamo tutti rasati e sbarbati, perfettamente inquadrati e implotonati. “Massicci e incazzati!” ci urlavano contro i caporali per darsi un tono, per sembrare duri, ma neanche loro ci credevano: erano ragazzi come noi, mandati a fare qualcosa che avrebbero volentieri evitato, che cercavano di calarsi in un ruolo che non avevano scelto, che dava più grane che soddisfazioni.
Quelle del viaggio in treno quando ci hanno trasferiti in un’altra caserma. Facevamo i sughi in drop: era la metà di giugno e già faceva un caldo cane. Per di più non c’era nemmeno l’aria condizionata, in quel catorcio di regionale.
Quelle delle nostre libere uscite, in giro per la città la domenica pomeriggio a far finta di visitare monumenti, cercando in realtà di rimorchiare le turiste straniere. Sì, perché le donne di casa nostra, sapendo cosa eravamo, ci evitavano, conoscendo quello cui puntavamo. Beh, non tutte ci evitavano: qualcuna ci stava pure. Un mio amico proprio in quel periodo ha incontrato quella che sarebbe diventata sua moglie: ora hanno tre bambini, due maschi e una femmina.
Poi c’è l’ultima, quella dell’Alba.
«La naia è finita! Adesso comincia la vita!»
Già, la vita.
Guardo con attenzione l’immagine.
Siamo seduti ai piedi di una fontana, in un parco vicino alla caserma. Sorridiamo tutti. I nostri occhi sono pieni di sogni da realizzare, di speranze.
Sogni, speranze, che la vita ha pian piano spento, fino a farli diventare polvere: di essi rimane poco più dell’ombra del ricordo. Quasi non rammento più le sensazioni che mi dava il pensare al futuro, a quello che avrei potuto fare, a quello che avrei voluto raggiungere e costruire. La vita mi ha ridimensionato, mi ha costretto a fare i conti con la realtà. Ha costretto tutti noi ad affrontarla e a piegarci ai suoi compromessi.
Sorrido, ma è un sorriso mesto e malinconico. Di quei ragazzi non rimane che qualche foto. Al loro posto ci sono uomini ingrigiti e stanchi, sconfitti dalla vita.
«Buon anniversario, ragazzi. Ovunque siate, continuate a sognare» sussurro mentre ripongo nell’armadio l’album delle foto.