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Nebbia

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Matt scese il sentiero con passi lenti, misurati, guardandosi continuamente attorno.
Alla sua destra si ergeva una ripida parete rocciosa. Alla sua sinistra si apriva un precipizio di centinaia di metri. Un luogo simile a molti che aveva già visto, ma con una differenza: lui non doveva trovarsi lì.
Si voltò e diede un’altra occhiata alla grotta nella quale si era risvegliato. Grande, semicircolare. E bassa, tanto che aveva dovuto procedere chinato per non sbattere la testa. Non ci aveva messo molto a perlustrarla. Aveva impiegato molto di più a decidersi a uscirne, il fucile a canne mozze puntato sull’ingresso, restando in attesa che qualcosa facesse la sua apparizione.
Si era costretto a fare dei lunghi respiri per calmare il battito del cuore e riprendere a ragionare con lucidità.
“Non possono essere state le chimere a portarmi qui: se fossero riuscite a prendermi, mi avrebbero fatto a pezzi.”
Le bestie avevano iniziato a braccarlo subito dopo mezzogiorno: una volta fiutata la sua pista, non l’avevano più mollato. Aveva tentato in ogni modo di seminarle, ma non c’era stato verso: ogni espediente che aveva attuato era risultato inutile. Le scimmieragno avevano continuato a dargli la caccia senza posa, aumentando di numero.
Matt aveva continuato a muoversi, cambiando sempre direzione per cercare almeno di disorientarle. La sua unica possibilità di salvezza era lasciare la città; se si fosse asserragliato in un palazzo o in un magazzino, sarebbe stata la sua fine: prima o poi le scimmieragno sarebbero riuscite a entrare.
L’inseguimento era durato per tutto il pomeriggio e la sera. La notte aveva cominciato a calare e la fatica si era fatta sentire sempre più insistentemente, ma era riuscito a raggiungere la periferia; dalla posizione in cui si era trovato, era riuscito a scorgere il canyon verso cui si era diretto: una volta raggiunto il fiume, si sarebbe lasciato trasportare dalla corrente, allontanandosi dal pericolo e facendo perdere definitivamente le sue tracce alle chimere. Doveva solo non farsi trovare finché le tenebre non fossero calate completamente.
Il caso però non era voluto stare dalla sua parte: due scimmieragno gli erano praticamente cadute addosso. Era riuscito a eliminarle senza che lo ferissero, ma i rumori della lotta avevano segnalato la sua posizione al resto del branco.
Era stata una fuga angosciosa. Le strida delle chimere erano riecheggiate nelle strade. Era riuscito appena in tempo a superare gli ultimi palazzi, prima che le scimmieragno calassero dalle loro ragnatele e gli precludessero ogni via di salvezza. Le maledette bestie però non si erano date per vinte.
Ricordava di aver lasciato la strada asfaltata, correndo in mezzo alla sterpaglia del deserto, inerpicandosi su un pendio sassoso, il canyon che si stagliava a poche centinaia di metri da lui. Aveva raggiunto il fiume e vi si era gettato, le bestie sempre alle sue calcagna. Poi…
Poi si era svegliato nella grotta. Stando alla luce che filtrava dall’ingresso, doveva essere sul mezzogiorno. Erano trascorse dodici ore. Dodici ore di cui non ricordava nulla.
Matt riprese a muoversi lungo il sentiero.
“Come diavolo ho fatto a giungere fin qua? Forse qualcuno mi ha visto trascinato dalla corrente e mi ha tratto in salvo, portandomi al riparo della grotta.”
NebbiaEscluse subito la possibilità: non c’erano impronte lungo il sentiero che salivano, solo le sue che stava lasciandosi alle spalle. Inoltre, benché la parete rocciosa assomigliasse a quella del canyon verso cui si era diretto mentre fuggiva, non poteva essere lo stesso che aveva visto: sotto di lui si estendeva una folta foresta e nessuna città si scorgeva all’orizzonte. Camminò per ore, continuando a scendere verso di essa.
Quando finalmente il sentiero terminò, si ritrovò in una radura. Matt si avvicinò agli alberi, ma quando vide che dai loro tronchi neri trasudava una linfa simile al sangue, decise di tenersene alla larga. Inoltre la sera stava calando e non era consigliabile avventurarsi in un luogo sconosciuto col giungere delle tenebre. Volse lo sguardo al cielo.
“La Luna sta sorgendo.” Fece per rimettersi in marcia, ma si fermò dopo pochi passi, tornando a guardare il cielo.
“Cazzo.”
Accanto alla Luna c’era un altro satellite più piccolo, d’una colorazione rossastra. Ma guardando meglio, capì che quella non era la Luna: nessuna Luna che lui aveva visto possedeva sfumature verdastre che si facevano sempre più intense mentre continuava la sua ascesa nella volta celeste.
I due astri si fecero indistinti mentre la bruma prese a salire sopra la cima degli alberi.
La nebbia.
In quell’attimo Matt capì. Anche quando si era gettato nel fiume c’era la nebbia, ma non era la solita nebbia: troppo cupa e riflettente, come un cristallo oscuro. Era avanzata come un serpente viscido di umori, allungando le sue spire verso di lui.
“Aveva ragione quell’uomo.” Quando aveva sentito la sua storia non ci aveva creduto; aveva ritenuto impossibile che gli uomini avessero trasceso la natura della nebbia, spingendosi oltre limiti conosciuti, creando e scatenando energie che andavano oltre la loro comprensione e il loro controllo, capaci di aprire una finestra su altri luoghi, di creare passaggi per altri mondi: mondi da favola, mondi d’orrore. Ma ora, dinanzi all’evidenza, doveva ammettere che la follia umana era andata oltre la creazione di mostri come le chimere, era andata…
Lo schiocco di qualcosa che si rompeva lo fece ritornare alla realtà.
Al limitare della foresta qualcosa di grosso stava banchettando con i resti di un uomo. Qualcosa che aveva la stazza e gli artigli di un orso, ma la coda di uno scorpione. La creatura si levò eretta sulle zampe posteriori, volgendo il muso da scimmia al cielo, le narici che fremevano spasmodiche. Poi si volse verso di lui, snudando le zanne. In un attimo la creatura si mise a quattro zampe, lanciandosi in carica.
Matt imbracciò l’arma e la puntò verso di lei. La paura e lo sbigottimento di prima erano svaniti, sostituiti dal sangue freddo acquisito in anni di lotte.
Poteva anche essere finito su un altro mondo, ma le cose non erano poi così diverse dalla Terra: dovunque si andasse, per sopravvivere c’era sempre da combattere.