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Il magazzino dei mondi 2

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Il magazzino dei mondi 2
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Fiori d'estate

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Senza scampo

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Terzo racconto con cui ho partecipato al Mezzogiorno d’Inchiostro numero 100 di Writer’s Dream. Questa volta la traccia che ho deciso di seguire tra le due a disposizione è stata Closed Circles. Un Closed Circle è una situazione nella quale uno o più personaggi si trovano bloccati da qualche parte e isolati dal resto del mondo: ecco come ho affrontato il tema.

Non mi ero sbagliato. Questa non era una mia fobia. O un’allucinazione. Non erano le ossessioni che hanno preso il controllo della mia mente. Non ero io ad aver perso il controllo. Avevo ragione. Ho sempre avuto ragione. E nessuno mi ha voluto credere. Dicevano che stavo cominciando a dare i numeri, che il cervello mi era andato in pappa; dicevano che dovevo essere curato, anzi, hanno provato a farmi ricoverare. “Per farti avere l’aiuto di cui hai bisogno: vedrai che poi starai meglio. Tu ora non stai bene: lo capisci che lo facciamo nel tuo interesse?”
Idioti. Non hanno voluto vedere. Io avevo ragione. Ho sempre avuto ragione. Ma nessuno ha voluto ascoltarmi.
Idioti. Idioti. Ora è troppo tardi. Ora non c’è via di uscita.
Hanno colto tutti alla sprovvista. Nessuno di loro se lo aspettava. Ho tentato di scappare, ma sono riusciti a tagliare ogni via di fuga. L’accerchiamento si è fatto sempre più stretto. Prima non si facevano vedere. Poi uscivano solo di notte. Alla fine si mostravano anche di giorno. Non avevano nessuna paura di noi. Sono arrivati a legioni; anche se il loro numero è sconfinato, non mi sorprende che siano giunti senza che nessuno se ne accorgesse: si potevano nascondere ovunque, i maledetti bastardi. Sono più intelligenti di quanto si pensasse. Hanno pianificato, si sono organizzati. Ci hanno studiato per secoli: ci spiavano al lavoro, mentre passeggiavamo, mentre dormivamo. Hanno appreso tutto sulle nostre abitudini, sulle nostre debolezze.
Da idioti quali siamo, abbiamo voluto vedere del buono in loro, abbiamo voluto umanizzarli. Accidenti ai film, alla televisione, che li rappresentava così carini e simpatici. Accidenti a quei deficienti che si sono messi a lottare per riconoscergli dei diritti; ma la storia questi mentecatti l’hanno mai studiata? Non hanno visto quanti danni hanno fatto, che razza di disgrazie hanno attirato su di noi?
I rumori fuori dalla porta si fanno più forti.
Ora sono sulle pareti. Stanno cercando un varco tra gli scuri delle finestre. Presto raggiungeranno il tetto. Ci vorrà del tempo, ma riusciranno a entrare. Loro riescono sempre a entrare: trovano sempre un modo per superare qualsiasi barriera creiamo. Non mi piace ammetterlo, ma sono più intelligenti di noi. Sono più letali di noi. Cani e gatti sono stati i primi a essere eliminati. Poi è toccato ai rettili. I volatili, se hanno un minimo d’intelligenza, se ne sono volati il più lontano possibile, anche se non so se esiste ancora un posto sicuro nel mondo. Sicuramente resisteranno più di noi: non li possono raggiungere in cielo. Ma prima o poi la fame prenderà il sopravvento e dovranno riavvicinarsi al terreno per trovare da mangiare: allora la preponderanza numerica avrà la meglio.
Mi si accappona la pelle sulla schiena: li sento grattare le pareti. Stanno cercando di creare delle aperture nel cemento: hanno capito che la porta blindata è più difficile da forare. Se solo fossi riuscito a raggiungere il bunker: sarei stato più al sicuro. Ma i bastardi hanno fatto fuori l’impianto elettrico dell’auto e sono rimasto bloccato qui. Forse sono davvero impazzito: avrei solo ritardato l’inevitabile. Forse è meglio così: non ne posso più di vivere sempre in stato di allarme, sempre a preoccuparmi, sempre a cercare di tenere tutto sotto controllo. Ora m’è tornata in mente la parola che non mi ricordavo: ipercontrollo. Chi ne è affetto fa una vita davvero d’inferno. Per un pezzo ho pensato di esserne colpito. Purtroppo mi sbagliavo: quello di cui avevo timore era davvero reale.
I rumori fuori dalla casa si fanno più forti: è come se ci fosse uno sciame d’insetti che preme per entrare. Ma ciò che vuole entrare è molto peggio. Ora sono dentro le pareti: li sento muoversi. Sono anche sul tetto. Chi di loro mi raggiungerà per primo?
Poi sento un scricchiolio nella stanza. Forse mi sbaglio, ma mi è sembrato di avvertire un tremito sotto i miei piedi. Lo scricchiolio si fa più forte. Mi sembra di scorgere un lieve sobbalzo in una mattonella del pavimento.
Il sobbalzo si ripete, questa volta più forte. La mattonella si alza per un attimo, poi viene sbalzata via. Diversi musi appuntiti si levano dal buco nel pavimento, annusando tutt’intorno, prendendosela con calma.
Stringo la spranga d’acciaio con forza. Cazzo, quanto odio i topi.

Quartieri lontani

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Quartieri lontani di Jiro TaniguchiQuartieri lontani è una graphic novel di Jiro Taniguchi realizzata tra il 1998 e il 1999. L’avventura del quarantottenne Hiroshi comincia il 9 aprile 1998 alle ore 9 e 12 del mattino: a causa di un mal di testa da dopo sbronza si perde nella stazione ferroviaria di Tokyo e prende il treno sbagliato, che lo riporta nella cittadina in cui è nato. In quel momento gli ritorna in mente la madre morta ventidue anni prima, alla sua età, stroncata da un infarto dopo una vita logorante, e si ritrova a riflettere se mai è stata felice. Nell’attesa di riprendere il treno che lo riporti a Tokyo, Hiroshi ripercorre la strada in cui è nato e cresciuto. Di quel che conosceva non è rimasto niente: la casa natale è stata venduta e ora è abitata da estranei. Con gran sofferenza si accorge che non ha più un posto dove tornare e senza rendersene conto si ritrova davanti al monastero Genzen, dove è situata la tomba della madre. Ed è mentre prega su di essa che accade qualcosa d’inspiegabile: Hiroshi si ritrova nel corpo e nel tempo dei suoi quattordici anni, il 1963, quando frequentava le scuole medie. Il tempo in cui sua nonna e sua madre sono ancora vive e suo padre non se n’è ancora andato di casa. Sconvolto, Hiroshi pensa che sia tutto un sogno, un postumo della sbornia, ma presto si rende conto che quello che sta vivendo è fin troppo reale: così si trova a rivivere una parte della sua adolescenza, solo questa volta con la consapevolezza e la maturità di un adulto. Hiroshi ha così una seconda primavera e la vive assaporandola meglio della prima volta, sapendone cogliere i suoi lati più spensierati, privi delle responsabilità da adulto. Tuttavia non può evitare la nostalgia e la tristezza nel rivedere persone del suo passato, sapendo come sarà il futuro: la morte di suoi compagni e amici, il non rivederli più perché le loro vite hanno preso strade diverse. Le cose vanno però in modo un po’ diverso rispetto alla sua “prima” adolescenza, come il frequentare la bella Nagase Tomoko (quando in precedenza non gli era mai capitato neppure di parlarci), e in lui si fa largo la convinzione di poter cambiare il futuro, impedendo a suo padre di andarsene e così evitare la morte della madre, stroncata dalla fatica dei lavori per poter mantenere lui e la sorella. Hiroshi scoprirà diverse cose della sua famiglia, segreti che lo porteranno ad acquisire una consapevolezza che lo porterà alla comprensione e al cambiamento, anche se non sarà quello che si era aspettato.

Hiroshi e Nagase in una tavola di Quartieri lontaniQuartieri lontani propone un tema già visto (il ritorno al passato con la possibilità di poterlo cambiare), ma lo fa con una delicatezza, una profondità davvero notevoli. Jiro Taniguchi sa mescolare nostalgia, malinconia, spensieratezza, leggerezza, creando un magnifico contrasto tra i sentimenti da adulti e da adolescenti: il suo Quartieri lontani è un capolavoro di storia, caratterizzazione dei personaggi. Hiroshi non solo rivive la sua adolescenza avendo una seconda possibilità unica, ma ha modo di vedere i suoi genitori oltre il ruolo che hanno ricoperto: li vede come individui che hanno avuto aspettative, delusioni, sogni, sentimenti, che hanno fatto delle scelte, dei compromessi rinunciando alle cose a cui tenevano e per cui hanno dovuto pagare un prezzo. Attraverso questa esperienza, Hiroshi acquisisce una comprensione più profonda degli eventi del passato, portandolo a capire che anche lui sta commettendo degli errori che ha vito fare: in un qualche modo il suo strano viaggio è una sorta di specchio che rivela come anche lui cerchi di fuggire da una realtà che non gli piace e che sente come un peso pieno di responsabilità e doveri, ricercando la libertà. Questo gli permetterà di modificare il suo presente da adulto e così giungere a capire se l’esperienza che ha avuto è stata solo un sogno o qualcosa di reale che ha davvero avuto influenza sui fatti avvenuti.
Quartieri lontani non solo presenta una bellissima storia, ma bellissime sono anche le tavole realizzate dall’autore, evocative, poetiche e ricche di dettagli. Lettura assolutamente consigliata sia per chi ama l’autore, sia per chi ama le graphic novel, sia soprattutto per chi vuole leggere storie intense e profonde (per chi fosse interessato, si consiglia l’edizione di Coconino Press, che ha un buon rapporto qualità/prezzo: 22 E per 416 pagine).

 

Destino? No (e senza il grazie).

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Secondo racconto con cui ho partecipato al Mezzogiorno d’Inchiostro numero 100 di Writer’s Dream. Questa volta la traccia che ho deciso di seguire tra le due a disposizione è stata Sliding doors – il destino. In questo caso occorreva realizzare un testo in cui il destino la fa da padrone o in cui il protagonista riesce a raggirarlo: ecco come ho affrontato il tema.

«I figli di operai non si devono permettere di andare meglio degli altri. Ai figli di operai non dovrebbe essere permesso nemmeno di andare a scuola.»
Questo mi disse quel figlietto di papà prima di colpirmi in faccia con un pugno. Incassai senza fiatare. Avrei potuto tranquillamente evitare il colpo. Avrei potuto stenderlo con facilità: ero più forte, più resistente, il mio fisico temprato dai duri lavori. Lui, solo per aver dato un pugno, aveva già il fiatone: non era abituato alla fatica, allo sforzo fisico. Aveva tutto e l’aveva ottenuto semplicemente chiedendo, non si era mai dovuto impegnare, non aveva mai dovuto sudare, fare sacrifici. Non valeva un decimo di me. Eppure lo lasciai colpire. Non fu codardia la mia, solo buon senso. Quelli come lui erano dei codardi; infatti si era portato con sé sei amici. Ne avrei potuti battere due, tre, ma poi le avrei prese e pure di brutto, quindi cercai di limitare i danni. Me la cavai con un occhio nero.
Il gruppo di ragazzi che ho davanti se ne va alla svelta; ho riconosciuto subito cosa sono. Ogni tanto si voltano, lanciando qualche rapido sguardo, ma subito tornano a guardare avanti. Allungano il passo. Hanno paura di quelli come me, perché non sanno a cosa possono andare incontro, non sanno se nascondiamo qualcosa sotto i nostri abiti, se siamo degli squilibrati. Passano gli anni ma certe cose non cambiano: i figlietti di papà sono sempre dei codardi. Sembra quasi che si adeguino a un copione già scritto, seguendo delle direttive fatte apposta per loro, come se non potessero scegliere diversamente.
La mancanza di scelte. Ho sempre ritenuto idiota questa cosa: c’è sempre possibilità di scelta. Ma chissà perché sono così in pochi a capirlo.
Obblighi. Morale. Pare che in molti vogliano far percorrere strade già preparate e conosciute: qualcosa di diverso per loro è inconcepibile.
Anche mio padre apparteneva a questa categoria: per lui dovevo fare la sua stessa vita. Non è riuscito (o non ha voluto) finire le medie, quindi si aspettava che io facessi lo stesso: per lui era una cosa normale, anzi dovuta, dato che nessuno nella sua famiglia è mai andato oltre quel livello. Ogni anno scolastico passavano a stento con la sufficienza, quando non erano bocciati, tirando avanti fino a raggiungere l’età per andare a lavorare. Per loro avere un lavoro era tutto quello che si poteva ottenere dalla vita. Guadagnare soldi per poi spenderli al bar, in discoteca, comprare un motorino, poi un’auto; poi trovare una e mettere su famiglia: questo era tutto quello che per loro la vita aveva da dare. Questo doveva valere anche per me. Sono passato tutti gli anni con il massimo dei voti. Mi sono laureato. Questo non gli è mai andato giù; non sono mai riusciti ad accettare che fossi più in gamba di loro. Non me l’hanno mai perdonato, hanno cercato di ostacolarmi in ogni modo; non ci sono riusciti. Avrei dovuto odiarli, disprezzarli; li ho solo compatiti. Poi li ho lasciati perdere.
A un certo punto diventa anche divertente scombinare le aspettative, i piani che gli altri hanno per noi. Come ho fatto con la mia maestra delle elementari: era una patita della poesia e pretendeva che lo fossero anche i suoi alunni. Io da piccolo ero esuberante, scalmanato, com’è normale che sia per un bambino: quello che allora m’interessava era correre dietro un pallone. Lo facevo tutte le volte che potevo e non facevo altro che pensare a quando avrei fatto la prossima partita di calcio. Inutile dire che non m’importava nulla della poesia. Questo alla maestra non andava giù.
«Gli sportivi sono dei violenti. Tu sei un violento: prima dei diciotto anni sarai in galera» mi ripeteva in continuazione. «A correre sempre dietro un pallone non imparerai mai a scrivere e a parlare in italiano.»
Poveretta, non capiva che quella davvero violenta era lei: ogni volta che pronunciava quelle parole così rancorose mi aspettavo che le venisse la bava alla bocca. Morì pochi anni dopo per un infarto; se fosse ancora viva penso che schiumerebbe rabbia sapendo che nei quaranta e passa anni della mia vita non ho mai preso una multa; senza contare che ho pubblicato due libri e tenuto decine di seminari. Alla faccia di quello che non doveva saper scrivere e parlare in italiano.
Sono stato tante persone e di me si è detto di tutto, sempre una cosa diversa, ma c’è una costante: ho sempre scombinato i progetti secondo i quali, per gli altri, io ero destinato.
Destino. Una parola per gente limitata, per chi non ha coraggio. Un termine usato da chi vuole condizionare e sfruttare gli altri.
Non credo al destino. Credo nelle capacità personali. Credo nelle possibilità e nell’opportunità di poterle cogliere. O non cogliere. Ogni porta che si apre o si chiude conduce a strade che possono farci cambiare ed essere diversi, magari migliori di quello che eravamo o potevamo essere.
In viaggio per allontanarsi da un destino che non si sente proprio
Anni fa potevo diventare un dirigente, un capitano d’industria; per quello che era il mio capo allora, ero destinato al successo, a divenire ricco e potente. Non mi piacque quello che potevo diventare. Ad andare con lo zoppo s’impara a zoppicare e io non volevo divenire come gli esempi che avevo davanti: individui che trattavano in malo modo gli altri e li facevano soffrire.
«Così va il mondo: c’è chi è destinato a comandare, chi a obbedire» mi disse il mio capo.
«Devi accettare i compiti che la nuova mansione richiede. Potrà non piacerti, ma tutti dobbiamo fare sacrifici. Che razza di destino vuoi far vivere ai nostri futuri figli? Vuoi che siano degli stupidi figli di operai?» mi disse la mia fidanzata.
Destino. Destino. Non mi piacquero quei discorsi. Non mi piacque il tono con cui furono pronunciati. Non mi piacque il loro senso e quello che in essi era nascosto ma che per me era evidente.
Mi licenziai. Lasciai la mia fidanzata.
Non fu solo quello: mollai tutto quello che avevo e gli voltai le spalle.
Per molti sono un pazzo. O un fallito. Non ho più un posto dove tornare. Non ho più un ruolo in società. Sono sempre in viaggio, non dormo mai nello stesso posto. Questo a tanti spaventerebbe, ma per me anche vivere sotto un ponte è qualcosa di bello; è difficile spiegare il senso di leggerezza che provo. A parte me stesso non ho nulla, ma sono libero e non devo niente a nessuno. E questo per me è tutto.

La casa del buio

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La casa del buioLa casa del buio è un romanzo scritto da Stephen King e Peter Straub nel 2001 e vede tornare in azione Jack “Viaggiante” Sawyer, protagonista di Il Talismano, solo che questa volta non è più un bambino, ma un adulto che si è ritirato, benché giovane, dalla carriera d’investigatore. Ora vive a French Landing, un piccolo paese tranquillo, almeno fino a quando non comincia a fare la sua comparsa Il Pescatore, un serial killer che rapisce bambini per seviziarli e mangiarli. Ben presto la quiete della cittadina viene infranta e la gente del posto comincia a vivere nella paura e nella psicosi; la polizia brancola nel buio, le indagini non portano a nulla e l’assassino è una figura inafferrabile. Jack, seppur ne avrebbe fatto volentieri a meno, si ritrova coinvolto nel caso e la pista che segue lo porta a indagare su una vecchia casa abbandonata che pochi possono vedere, avvolta da un buio malefico, piena di orrori e legata a un mondo che non è il nostro. Per scoprire l’identità dell’assassino e soprattutto chi c’è dietro di lui dovrà di nuovo avere a che fare con i Territori e con una sua vecchia conoscenza, Parkus. Ma non sarà l’unico mondo in cui dovrà addentrarsi: per salvare una vittima del Pescatore ancora viva si addentrerà in un luogo oscuro dove bambini con particolari capacità sono stati rapiti per servire il Re Rosso e infrangere i Vettori.
La casa del buio è un romanzo gradevole, non certo un capolavoro, la cui lettura è consigliata per chi vuole leggere la conclusione delle avventure di Jack Sawyer e trovare altri dettagli legati alla famosa serie della Torre Nera.

Pensieri col vento

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Writer’s Dream è un sito per scrittori, aspiranti scrittori e lettori dove è possibile trovare un po’ di tutto riguardo la scrittura e la letteratura; è anche una sorta di palestra per chi vuole mettersi in gioco, farsi conoscere e confrontare con gli altri per quanto riguarda ciò che scrive: si possono postare poesie, racconti, brani di proprie opere e partecipare a contest. Uno di questi è Mezzogiorno d’Inchiostro (conosciuto come MI), arrivato attualmente all’edizione numero 100; per l’occasione speciale, tale contest è stato più grande dei precedenti e suddiviso in otto parti, della durata ciascuno di dodici ore: in questo lasso di tempo gli autori partecipanti dovevano scrivere un racconto di non più di 8000 caratteri seguendo una delle due tracce a disposizione. Avendone l’opportunità, ho partecipato a questa edizione speciale a sette delle otto parti disponibili: è stato un modo per allenarmi nello scrivere testi con temi non scelti da me, per vedere cosa riuscivo a realizzare in un breve lasso di tempo (potevo dedicare a ogni racconto, quindi ideazione, stesura e revisione massimo un paio d’ore), ma anche per sperimentare tecniche che finora non avevo usato (es. scrivere in prima persona).
Da qui alle prossime settimane pubblicherò i racconti che ho realizzato per il MI-100: il primo è Pensiero col vento, testo che segue la traccia il vento.

 

Il movimento è lieve, come una carezza. Osservo il suo lento ondeggiare: mi dona un senso di calma. Il tronco cui sono appoggiato mi dà una sensazione di stabilità; sembra così strano che staticità e flessibilità convivano nella stessa cosa. Eppure è anche così naturale, così logico. In fondo, a pensarci un attimo, non siamo poi tanto diversi dagli alberi: anche noi abbiamo radici, legami con chi ci ha allevato; anche noi cresciamo, non siamo mai gli stessi, anche se all’apparenza sembriamo uguali al giorno prima. Siamo mutevoli, come il vento. E come il vento non abbiamo un luogo dove posarci e chetarci: sempre in movimento, sempre in cerca di qualcosa che non sappiamo neppure cos’è. I nostri pensieri si muovono rincorrendosi l’un l’altro, in apparenza senza un filo logico, eppure tutti collegati da un unico filo conduttore. Quel filo siamo noi, perché siamo noi a dare vita ai pensieri; eppure, anche se ne siamo i creatori, spesso non ne siamo i padroni, ma sono loro a controllarci e condizionarci.
Avverto un lieve strattone al braccio sinistro: il cane muovendosi ha tirato un poco il guinzaglio. Ora le fronde degli alberi si muovono più nervosamente: il vento ha preso a soffiare con più forza. Alcune foglie volano lontano, perdendosi oltre il mio sguardo. Il cane da sdraiato si mette seduto, puntando il naso verso l’alto e annusando l’aria; si guarda attorno leggermente a disagio, le orecchie tirate un poco all’indietro. Il vento, quando soffia forte, lo agita; non so perché, ma si comportava alla stessa maniera anche quello che avevo prima; per lui però attribuivo questo comportamento al fatto che fosse stato abbandonato in una giornata di vento e che tutte le volte che soffiava gli ricordava quel trauma. Probabilmente si è trattato di un ragionamento troppo da umano; forse il vento dà fastidio a tutti gli animali. Di certo lo dà al gatto che vive con me: comincia a correre da una stanza all’altra come impazzito, saltando come una cavalletta, sgommando quando le zampe posteriori scivolano sul pavimento. Il pelo gli si arruffa e fa un codone in stile albero di Natale; alle volte è così elettrico che mi aspetto che s’illumini. Ho sempre pensato che sia un po’ strano, ma se fosse normale non sarebbe certo venuto da noi. A pensarci bene, tutti gli animali domestici che sono stati nella mia vita erano un po’ eccentrici: il gatto che beveva solo dal rubinetto, la cagna che si sedeva a tavola con noi su una sedia per mangiare.
Il cane si rimette sdraiato: ora il vento si è di nuovo placato, tornando a essere un dolce sussurro. Mi sembra quasi di sentire quel profumo. Il suo profumo. Il vento le spingeva i capelli dietro le spalle. Non mi ricordo di cosa parlavamo; forse non ascoltavo nemmeno, preso com’ero dai suoi sorrisi. O forse erano state le sue labbra a rapirmi. Ricordo ancora bene quanto volevo baciarla. Con il senno di poi fu un bene non dare atto a quel desiderio, eravamo troppo diversi, ma quanto male mi fece non farlo. Quanto ho rimpianto non aver colto quell’attimo.
Il sole filtra tra i rami, scaldandomi il viso, come a voler scacciare i malinconici pensieri che la mia mente sta per andare a cercare. Respiro i profumi della primavera e sento le preoccupazioni scivolare via come le nuvole che veleggiano all’orizzonte. Grosse nuvole che sembrano montagne, nuvole sottili simili ad astronavi intergalattiche. Nuvole che prima hanno la forma di draghi imperiosi e poi si trasformano in morbidi conigli. Mi sono sempre piaciute le nubi con le loro tante forme, le svariate sfumature di cui si colorano al tramonto: il rosso che ricorda un incendio, il giallo che rammenta l’oro fuso, per non parlare delle forti tonalità viola o di quelle delicate che dal rosa sbiadiscono nel bianco.
Le nubi: così libere, così leggere.
Vorrei essere come loro, anche se so che non è possibile: io sono più come una fiamma che avvampa, che si accende all’improvviso e brucia con forza, espandendosi senza fermarsi fin dove trova nutrimento; è qualcosa di cui non posso fare a meno, una forza impetuosa che non mi permette di essere diverso da quello che sono. Un destino affannoso che non dà pace, che esige di essere attuato, che reclama di trovare espressione, che vuole sempre costruire qualcosa di utile.
Ma alle volte, quando il fuoco che anima nel mio spirito è cheto, mi piacerebbe essere solo un pensiero che si leva nel vento e si fa trasportare senza una meta, volando verso orizzonti lontani e vette non ancora raggiute, dove tutto è nuovo e molto è ancora da scoprire.

 

Pensieri col vento

Monstress. Volume Uno. Risveglio

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Monstress. Volume Uno. Risveglio Monstress.Volume Uno. Risveglio è il volume edito in Italia da Mondadori che raccoglie i numeri dall’uno al sei della serie Monstress realizzata da Marjorie Liu e Sana Takeda. L’ambientazione è un connubio di atmosfere del primo Novecento, magiche, egiziane e orientali; si è di fronte a un mondo dove ci sono armi da fuoco, elettricità, ma anche razze e creature magiche, oltre a poteri occulti (che in un qualche modo ricordano gli spiriti dei culti sciamanici) di grande portata. Quindi non è sorprendente avere a che fare con gatti parlanti dalle molte code (ma non sono gli unici: vedere lupi dalle sembianze umanoidi), bambine con code da volpi, uomini dalle ali di corvo. Come non deve sorprendere di avere a che fare prevalentemente con personaggi femminili: si è in una società matriarcale, dove sono le donne ad avere il comando. Certo, sono presenti esseri maschili come il Re delle Scimmie, Sir Corvin d’Oro, Revak, Ren, ma l’autrice ha voluto soffermarsi sui vari punti di vista femminili: Marjorie Liu, avvocato e autrice di diciassette romanzi, ha tra le sue opere fumetti come X-23. Black Widow, Dark Wolverine e Astonishing X-Men, per il quale è stata candidata a un GLAAS (Gay&Lesbian Alliance Against Defamation) Media Award. Nelle tavole di Monstress traspare questo suo aspetto e si avverte il suo voler combattere la discriminazione e la sopraffazione che si fa verso chi è diverso: questo è uno dei temi principali dell’opera. Campi di concentramento, persecuzioni, sperimentazioni su esseri viventi che ricordano quelle naziste: si vive in un mondo dove imperano paura, ossessioni, disprezzo. Il fine come sempre è ottenere maggior potere e avere supremazia sugli altri; non sorprende che le cinque razze del Mondo Conosciuto lottino tra loro chi per la sopravvivenza, chi per espandere il proprio dominio. Si hanno i gatti, la razza più antica, generati da Ubasti. Poi gli umani, una casta esiliata, dicono i poeti, condannata a vivere sulla terra per aver tradito la fiducia della propria dea; non hanno la magia, ma alcune donne possiedono dei poteri: esse sono le Cumae. Gli Antichi, dalle sembianze di bestie, sono un mistero, ma sono una razza potente, che la dea lunare ha dotato d’immortalità e terribili poteri magici; di essi fanno parte la Corte dell’Alba e quella del Crepuscolo. Gli Arcanici, figli dell’unione di Antichi e umani, portatori del meglio e del peggio di entrambe le razze. Gli Antichi Dei, creature dotate di un potere immenso e distruttivo, che un tempo minacciarono quasi tutte le forme di vita ma che ora solo le loro ombre infestano il mondo; almeno così è stato per tanto tempo.
Una tavola di Monstress. Volume Uno. RisveglioLe vicende ruotano attorno alla giovane Maika Halfwolf, al mistero che si cela nella sua vita e a quanto è accaduto a Costantine: qualcosa di grosso, che ha sconvolto il mondo e ancora dopo anni sconvolge chi ha assistito a quello che è accaduto. Fin da subito si capisce che è una ragazza particolare, dotata di un potere di cui nemmeno lei conosce la portata. Con maestria, Marjorie Liu rivela con l’avanzare delle pagine i segreti della vita della ragazza e della storia del mondo: un mondo fatto d’intrighi, cospirazioni, persecuzioni, tradimenti, che unisce miti e credenze di varie religioni del nostro mondo, come a esempio il ritenere di acquisire la forza e le capacità dell’avversario mangiandolo; le Cumae catturano, seviziano e fanno esperimenti sugli Arcanici per ottenere il Lilium, un sottoprodotto della morte, una sostanza secreta dalle ossa dei defunti, parte dell’essenza che conferiva agli Antichi il loro potere e che una volta estratto dona enormi benefici a corpo e mente umani. Proprio esso, per via delle persecuzioni e degli orrori perpetrati per averlo, trascina umani e arcanici in un conflitto sempre più esteso che rischia di coinvolgere tutte le razze.
Una guerra per ottenere maggior potere, il desiderio di dominio assoluto, antichi e potenti dei che si risvegliano: temi già visti (ormai si è visto di tutto), ma la trama è ben congegnata e spinge il lettore a scoprire la verità dei personaggi e del mondo. Non importa se l’originalità non è il suo forte, se Maika, priva di un braccio e rimpiazzato da uno artificiale, sembra la versione femminile di Gatsu di Kentaro Miura e se l’Antico Dio che si risveglia, con i suoi tanti occhi, ricorda nei tratti quello che Miura ha disegnato nel numero 51 della serie regolare di Berserk, quando il Cavaliere del Teschio usa la Spada del Richiamo, la cui lama è maturata all’interno del suo corpo con i Bejelit sottratti agli Apostoli (vedere le tavole in fondo all’articolo). Non sorprende se la disegnatrice Sana Takeda si rifaccia in alcuni casi al tratto di Miura, seppur non raggiungendo il livello di dettaglio del creatore di Berserk. Il punto forte delle tavole sono la cura e l’espressione dei volti (soprattutto nei primi piani), la realizzazione degli ambienti chiusi e dei paesaggi, oltre l’ottimo uso dei colori; una cura che sarebbe stata apprezzata in tutte le tavole, dato che in alcune il tratto appare un poco trascurato, specie quando si tratta di disegnare corpi (umani e animali). Un piccolo dettaglio che se curato di più avrebbe reso il volume, sotto l’aspetto grafico, un prodotto ottimo invece che molto buono.
Pregevole la realizzazione dell’edizione italiana, che presenta cura e attenzione al prodotto, con buona qualità della carta e della rilegatura e la scelta di usare copertina rigida; prezzo non elevato (19 E per 208 pagine di tavole a colori), che rientra negli standard del settore.
In definitiva, Monstress.Volume Uno. Risveglio è una lettura più che valida, con una buona caratterizzazione di personaggi, storia e ambientazione, ben coadiuvato da un comporto grafico di pregevole fattura.

Dio Antico in Monstress

Spada del Richiamo. Tavola presente nel numero 51 della serie regolare di Berserk

La natura fonte d'immaginazione

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La natura è ricca di bellezze. E anche di stranezze. Alle volte tutte e due insieme. Quello che è certo è che se ne rimane incuriositi, rapiti, affascinati. Ci si può ritrovare a sognare di fronte a certi spettacoli della natura oppure a fantasticare di cose mai viste; da un’immagine si può creare di tutto, anche un intero mondo. Come nella foto qua sotto.

guglia naturale: la natura fonte d'immaginazione

Una guglia solitaria che s’inerpica sul fianco di una montagna, la cui cima è volta a studiare le stelle, ricercare in esse un sapere perduto. Una torre che s’innalza oltre le cime degli alberi, custode di antichi misteri e arcani poteri. Il perno di un mondo ormai in rovina, dove pochi sono i raggi che sostengono i residui di una civiltà in rovina. Infinite possono essere le cose che saltano alla mente.

E voi cosa riuscite a vedere in questa foto? Per qualche minuto lasciate andare la fantasia (e lasciate anche andare chi dice che sono semplici fantasie, inutili perdite di tempo) e immergetevi in quello che la vostra mente vi fa vedere. Poi pensate a quello che avete provato in questa immersione. Benessere? Libertà? Meraviglia? Quale che sia, non dimenticatevene; e la prossima volta che vedrete qualcosa che vi colpisce, non andate oltre, fermatevi e soffermatevi su di essa, lasciando andare la vostra mente (piccola precisazione, che ad alcuni può sembrare superflua, ma al mondo d’oggi sembra che anche le cose più scontate non lo siano: non fate una cosa del genere quando guidate, gli occhi e la mente vanno tenuti sulla strada, stando sempre vigili; e non fermatevi in mezzo al traffico o a una strada perché qualcosa vi ha colpito, rischiando di mettere in pericolo voi stessi e gli altri: la sicurezza sempre prima di tutto. Non vorrei poi essere additato come la causa d’incidenti di vario genere 😉 )