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Il mondo di Eartshea

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Faccio la premessa che non ho letto tutti i libri della serie, ma solamente i primi tre. Aggiungo che ho visto il film d’animazione I Racconti di Terramare, realizzato da Goro Miyazaki: ben fatto, rende in parte l’atmosfera dei libri, ma è una cosa a parte, dato che sì, prende ispirazione dalla saga, ma costruisce una storia che è un amalgama di elementi presenti nei vari libri, creando qualcosa di nuovo.
Earthsea è una serie ambientata in un mondo costituito di isole, più di un centinaio, dove la magia è parte integrante dell’esistenza. Certo non è per tutti, solo chi ha il potere dentro di sé può studiare la magia e divenire mago recandosi a Roke, l’Isola dei Saggi; ogni isola ha un mago a cui rivolgersi nei casi di bisogno quali possono essere la cura di una malattia o degli animali, il controllo del vento per i pescatori o i viaggiatori che vanno per mare. Una magia basata sulla conoscenza delle cose, ottenuta tramite lo scoprire il vero nome che determina la loro natura: è attraverso di esso che si ottiene il controllo, il potere. Un potere che non viene usato tanto alla leggera perché non vada a infrangere l’Equilibrio, come insegna Ogion al suo apprendista Ged, il giovane che diventerà il grande mago conosciuto come Sparviero. Un nome, quest’ultimo, che non è il suo vero nome, ma che indica una natura spinta sempre a volare più in alto, ad acquisire nuove conoscenze; una fame di sapere quasi predatoria, mossa da un impeto che non si sofferma a valutare le conseguenze del suo agire, almeno fino a quando non imparerà dalle esperienze fatte.
Chi si aspetta, com’è abituato alla letteratura di genere attuale, incantesimi formulati per qualsiasi bisogno o evocazione di poteri che sconvolgono il mondo, può rimanere deluso, ma Ursula Le Guin ha un approccio diverso alla magia: essa è un simbolo, un mezzo per far comprendere l’animo umano, la sua evoluzione, per mostrare il viaggio dell’Uomo che fa attraverso la Vita. E’ così che in Il Mago di Earthsea si vede come ego e orgoglio, smania di dimostrare d’essere i migliori, d’essere superiori agli altri, possono creare grandi danni, sia a se stessi, sia agli altri che stanno intorno. E’ così che si fa conoscenza con l’Ombra, l’incarnazione dei lati oscuri ed erronei dell’individui, che finché non vengono riconosciuti fanno solamente danni: solo con la sua accettazione, senza più scappare da essa, si può arrivare a essere individui completi, capaci di realizzare il proprio percorso.
E’ la paura, dovuta all’ignoranza, alla mancanza di comprensione e consapevolezza, il vero nemico contro cui combattere. Se non lo si riconosce, si rischia solamente di creare attriti con le altre persone, di vederle come il male da affrontare, da schiacciare, da eliminare a ogni costo: un atteggiamento che rischia di divenire una prigione in cui si vive rinchiusi. Ma se in Le Tombe di Atuan la paura è circoscritta in un’area ben definita (simbolo della chiusura e ottusità di molte religioni, che si ritengono depositarie dell’unica verità, mentre si tratta solamente di controllo degli altri e del potere), in La Spiaggia più lontana questo sentimento è così forte che colpisce tutta Eartshea, facendo sparire la magia, le parole delle canzoni, la felicità, la speranza. Le persone vivono in una stasi priva di emozioni, di sentimenti, una vita dove non c’è morte, ma per colpa della cui assenza tutto ha perso senso. Un tema quello toccato da Le Guin sempre attuale nella storia umana, dove gli individui hanno sempre provato paura per questo elemento (ricorda molto la società attuale dove non si vuole parlare di morte e la si esorcizza cercando di rimanere sempre giovani grazie alla chirurgia estetica), spaventati dalla perdita che essa rappresenta, così dominati da questo sentimento da non riuscire ad apprezzare tutto quello di buono che l’esistenza ha da offrire; questo sentimento ha sempre proiettato nella ricerca della vita eterna, senza capire che è eterno solo ciò che è statico, mentre la vita è sempre mutamento, è tutto un trasformarsi. La vita è sempre vita, ma si presenta ogni volta in una forma differente, una continua rinascita, come lo fanno i protagonisti attraverso le loro esperienze, che dopo averle superate non sono più gli stessi di prima.
Ged, Tenar, Arren (il cui vero nome è Lebannen), sono i protagonisti, uno per ogni libro, di questa trilogia, accompagnatori del lettore lungo un cammino introspettivo, dove sono affrontati e mostrati i sentimenti umani, e che, a differenza delle pubblicazioni attuali, non si soffermano sull’emotività e sui patemi amorosi o i pruriti degli adolescenti, ma rappresentano un cammino evolutivo, mai banale e scontato. Con un ritmo lento le loro storie si dipanano senza fretta, senza quell’andare di corsa che tanto caratterizza la vita odierna e lo stile di molti scrittori del fantasy contemporaneo, dove il soffermarsi sulle cose è considerato una perdita di tempo. Una corsa che rende tutto uno sguardo superficiale, facendo perdere quei dettagli che rendono tutto così ricco e interessante.