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Maggio 2012
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L’Ultimo Potere – Primo Atto – X Canto di Natale (parte 2)

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Fermo sul ciglio della piazza, Guerriero scrutò con piglio corrucciato il quartiere che cominciava in fondo alla strada, sul volto dipinta la convinzione che le lunghe fila di caseggiati tutti uguali gli stessero per fare un qualche scherzo.
«Eppure…»
«Cosa c’è che non va?» Katrin scalpitava al suo fianco, smaniosa di potersi rifugiare in un posto che la togliesse dalla strada.
«Sto cercando di ricordare qual è la direzione da prendere.» Bofonchiò scrutando prima una schiera d’edifici poi l’altra. «Rilassati: non c’è nessun pericolo, altrimenti non me ne starei così in bella vista.»
Per nulla convinta, Katrin continuò a restare sulle spine.
A un cenno di Guerriero, scesero in strada prendendo la prima svolta a destra dopo un centinaio di metri. Seguirono l’intreccio di stradine, addentrandosi nel complesso di costruzioni che si accalcavano una sull’altra, come se al progetto iniziale fossero state costantemente fatte delle aggiunte in corso d’opera. Passando sotto portici invasi da ciuffi d’erba e rampicanti che s’avviluppavano alle colonne, arrivarono in un cortile interno, stretto e umido, simile al fondo di un pozzo abbandonato.
Guerriero arrivò davanti a una spessa serranda abbassata a metà, chinandosi per oltrepassare la soglia della porta mancante. Un balcone polveroso e legnoso li accolse, austero e severo nella sua colorazione mogano. «Come sospettavo.»
«Libri?» Katrin piegò la testa all’indietro per vedere le strette librerie arrivare fino all’alto soffitto. Scale con le ruote erano appoggiate contro di esse, scorrendo su binari fissati alle cornici.
«Esattamente.»
Guerriero si sfilò lo zaino, lasciandolo cadere sul piano del bancone e cominciando a scorrere i titoli delle fila di volumi posti alla sua estremità sinistra.
Katrin lo osservò mentre con metodica cura selezionava i libri, scorrendo velocemente la quarta di copertina e, a seconda dell’esito della lettura, li rimetteva al loro posto o li appoggiava a fianco dello zaino.
«Perché non mi dici cosa stai cercando? Potrei darti una mano.»
Guerriero sollevò il naso dal libro che stava consultando «Credo che cercare di spiegartelo richiederebbe lo stesso tempo della ricerca.» Serrò le labbra, meditando sul da farsi. «Lascia stare; guarda pure quello che vuoi, basta che non intralci il mio lavoro.»
Attenta a non fare rumore, la ragazza si mise a girovagare nel negozio, più grande di quello che poteva sembrare da fuori: un corridoio di dieci metri con librerie su ciascuna delle pareti lunghe, terminante in una porta verniciata di nero, dietro la quale c’era lo sgabuzzino delle scope e dei servizi igienici. Tenendosi lontana dall’uomo chino sui libri, salì una delle scale, curiosa di provare la sensazione di guardare il pavimento da quattro metri d’altezza. Aggrappata al corrimano d’acciaio opaco, si lasciò dondolare avanti e indietro, stendendo le braccia e inarcando la schiena.
Presa dalla piacevole vertigine che le dava l’altezza, poggiò un piede al muro e si diede una spinta, facendo correre la scala per tutta la lunghezza della rotaia. Non fosse stata per la polvere sollevata e l’occhiata in tralice di Guerriero per il cigolio prodotto, avrebbe continuato a lungo con quel passatempo.
Ritornando con i piedi per terra, Katrin si mise a canticchiare un motivetto a bocca chiusa, saltellando con le mani dietro alla schiena.
Guerriero rimase a fissarla tra l’incuriosito e il perplesso. “Di cosa mi meraviglio? Non c’è più niente di normale a questo mondo.”
Segnò il punto dov’era arrivato nel libro con una scheggia staccata dal bancone; una pausa avrebbe fatto riposare gli occhi. «Che cosa stai cantando?»
Katrin si voltò a guardarlo. «E’ un motivetto natalizio.»
«Ah.»
«Fra qualche giorno è Natale.» Specificò vedendolo poco convinto.
«Ah.» Guerriero continuò a guardarla sempre con la stessa espressione.
La ragazza si passò a disagio una mano nei capelli. «E’ tutto quello che sai dire?»
Guerriero sollevò le sopracciglia. «Cosa dovrei dire?»
Questa volta toccò alla ragazza apparire perplessa. «Non lo festeggi?»
«C’è forse qualcosa da festeggiare?» Chiese sardonico Guerriero. «C’è qualcosa di cui essere felici nella nostra condizione?»
«No, non c’è.» La ragazza si schernì sulla difensiva, abbozzando però subito un sorriso. «Ma si potrebbe tentare per un giorno di rendere l’atmosfera diversa. Per alimentare la speranza.»
Guerriero si lasciò andare sulla sedia, pensieroso a quelle parole. «Già. La speranza.»
La ragazza andò a sedersi accanto a lui. «Mio padre credeva in queste cose.» Cominciò a raccontare con dolcezza. «Anche quando le cose andavano male, cercava sempre di preparare qualcosa di speciale per quel giorno. Piccolo pensieri, oggetti senza valore che si preoccupava d’incartare per farci una sorpresa. Niente di che, ma erano sempre cose carine, che potevano farci brillare gli occhi. Come questa.» Da sotto gli abiti estrasse una biglia di vetro con all’interno dei brillantini. «Sono speciali, non per il loro valore, ma per quello che voleva trasmettere mio padre: calore umano. Era così felice quando vedeva sui nostri volti la sorpresa; non ho mai capito dove riuscisse a trovare oggetti del genere in un mondo arido come questo.» Un sorriso triste tirò le labbra screpolate. «Mi mancano quei momenti. Mi manca mio padre.»
Guerriero rimase in silenzio, rimirando la biglia nelle mani sporche di fuliggine. Sembrava rilucere ancora di più in contrasto con il nero polveroso sulla pelle.
«Lo faceva per noi.» Sussurrò la ragazza. «Sapeva che per dei bambini, l’unico modo per avere la forza di andare avanti era riuscire ancora a sognare. Avere per qualche istante la sospensione della realtà.»
«Avevi fratelli?»
«Uno, ma nella piccola comunità in cui vivevo, tutti gli adulti erano genitori dei bambini, quindi si può dire che eravamo tutti fratelli. Un’unica, grande famiglia.» Un risolino di piacere le fece vibrare la gola.
«E festeggiavate quel giorno tutti insieme?»
«Sì, ma solo tra i bambini. Degli adulti, solo mio padre lo faceva; gli altri lo ritenevano uno spreco di tempo, presi dal continuo lavoro della comunità. Erano sempre seri; gentili e premurosi, ma non li ho mai visti né ridere né sorridere.» Gli occhi si colmarono di mestizia. «E tu?» Si riscosse, cancellando i ricordi.
«Mai festeggiato. Quello che so del Natale l’ho letto sui libri o me l’ha raccontato Vecchio.» Disse distaccato Guerriero.
«E non ne hai mai sentito la mancanza?» Domandò Katrin con una vena di malinconica compassione.
Guerriero scrollò le spalle. «Come posso aver sentito la mancanza di qualcosa, se non l’ho mai provata?»
«Quand’eri piccolo Vecchio non te l’ha fatto festeggiare?»
Guerriero rise divertito al pensiero. «Non era il tipo: non si perdeva dietro queste faccende; era sempre impegnato nella sua ricerca, non poteva sprecare tempo per far divertire un ragazzino. Mi ha tenuto in vita e mi ha dato i mezzi per sopravvivere: non potevo pretendere di più.» Il riso si smorzò. «Non mi è mai passato per la testa di chiedergli di festeggiarlo: non credevo che si potesse fare festa.»
«Perché non lo ritenevi possibile?»
«Da quel che so, si fa festa in segno di ringraziamento. Il ringraziamento migliore per noi era arrivare a fine giornata vivi.» Commentò coinciso. «Tutto ciò che mi ha detto Vecchio sul Natale, era che eventi simili non erano altro che memoriali, l’ennesima strumentalizzazione di figure luminose, incentrando il significato della loro vita sulla nascita e sulla morte, ignorando come erano vissute.» La bocca tornò a piegarsi in un sorriso. «Se ne andava borbottando che quelle feste non erano state altro che un modo per sfruttare la gente e riuscire ad avere soldi.»
La ragazza ascoltò le sue parole con attenzione. «Anche mio padre mi ha accennato a qualcosa del genere. Diceva che in quel giorno, nel passato, la gente era solita scambiarsi dei doni, ma era diventato un gesto meccanico, fatto perché tutti lo facevano: i regali non erano donati con il cuore perché nessuno avvertiva più lo spirito di fratellanza e gratuità, perché nessuno riusciva più a essere felice; il piacere di far contenti gli altri sostituito dal fare il regalo più costoso per essere apprezzati.»
«Proprio come diceva Vecchio.» Mormorò Guerriero tornando ad aprire il libro.
«Quindi i tuoi Natali sono sempre stati uguali?» S’affrettò a domandare Katrin, non volendo far cessare la conversazione.
«Pressappoco.» Bofonchiò l’uomo sfogliando una pagina. «Erano giorni come gli altri.»
Rassegnata a passare da sola il tempo che restava per il ritorno al rifugio, la ragazza andò a cercarsi una lettura che la tenesse occupata.

Scuro in volto, Guerriero fissava la mappa sul tavolino.
«Maledizione.» Borbottò seccato.
Katrin sollevò la testa dal libro che stava leggendo. «Che cosa c’è?»
«Occorre trovare nuovi posti per le ricerche.»
«La libreria dove siamo andati in questi giorni non va più bene?»
Guerriero scosse il capo. «Non c’è niente di quello che cercavo.» Si concentrò sul foglio di carta, come se fosse un’equazione algebrica che non riusciva a risolvere. «Occorre guardare altrove.»
Katrin cercò di controllare il sospetto che cominciava a strisciarle nella mente. «Vuoi tornare verso il centro?» Domandò con voce carica d’apprensione.
«No.» Rispose Guerriero dopo qualche istante. «Quella zona non è ancora tranquilla e per un pezzo è meglio evitarla, almeno finché non saprò con certezza come stanno le cose. Ma, per il momento preferisco non fare sopralluoghi.»
La morsa che le stringeva il petto si dissolse. «Allora qual è il problema?»
«Che non so dove andare a cercare.» Poggiò i gomiti sul tavolo. «Significa che devo rimettermi a perlustrare in maniera più dettagliata le zone in cui sono già passato. Detesto fare i lavori due volte.» Concluse irritato.
«Tanto per oggi non puoi farci più niente.» Katrin poggiò lo sguardo sulla luce morente che lentamente andava scemando. «Cerca di non pensarci; domani è un’altra giornata e si vedrà.» Gli lanciò un sorriso d’incoraggiamento.
«Già, un altro giorno.» Appoggiò stancamente la testa allo schienale, chiudendo le palpebre per rilassarsi un attimo. Solo pochi minuti, prima di fare il controllo giornaliero dell’equipaggiamento.
Un pizzicore raschiò l’angolo dell’occhio. Portò la mano sulla palpebra, sentendo sui polpastrelli minuscole asperità sabbiose.
Sollevò il capo di scatto. Si era addormentato.
Ingoiò l’imprecazione che stava per lanciare, seccato per la mancanza commessa. Ma se voleva essere sincero con se stesso, doveva riconoscere che in quell’ultimo periodo il fisico e il sistema nervoso erano stati messi a dura prova; inevitabile che crollasse.
Sospirò, rassegnato ai suoi limiti umani. Stava facendo quanto era nelle sue possibilità, ma evidentemente non era sufficiente. Era stanco, più di quanto potesse immaginare, come se tutta la stanchezza passata si fosse riversata addosso di colpo.
Bloccò il gesto di adagiarsi nuovamente sul divano, i sensi all’erta.
C’era qualcosa di diverso nell’appartamento.
“Non posso pagarla per l’unica disattenzione che ho commesso.” Sentì la furia montargli dentro. “Non mi si può fare questo.”
Si tenne pronto a scattare.
La porta era sprangata, i catenacci al loro posto. Anche le imposte era chiuse, come sempre. Nessuno era entrato, altrimenti i rumori lo avrebbero svegliato. Eppure la sensazione permaneva.
Un luccichio alla parete opposta attirò la sua attenzione. Gli strali di sole che filtravano dalle finestre sbattevano su una sottile corda dai filamenti argentei posta sul piano del mobile a vetro.
Il giorno prima non c’era e mai c’era stato. S’avvicinò, osservando la pagliuzza che gli era rimasta in mano quando l’aveva toccata. Una sottilissima sfoglia che si piegava al minimo soffio.
Seguì la corda luccicante. Tutti i mobili ne avevano una attaccata.
Un prurito gli solleticò il dorso sinistro: alla sua mano ce n’era una legata.
Anche all’altra.
E pure alle gambe.
«Ma cosa…» Borbottò cominciando a guardarsi addosso per vedere se ne aveva altre.
Piroettando su sé stesso, arrivò nei pressi del corridoio che portava alle stanze, fermandosi quando incontrò Katrin sulla soglia.
La risata della ragazza allargò la sua espressione stupefatta, facendola ridere ancora di più.
«Che significa?» Domandò sempre più perplesso.
«Buon Natale.» Riuscì a dire Katrin con le lacrime agli occhi, prima che un altro eccesso di risa la facessero piegare in due.
«Eh?»
Katrin dovette sedersi sul divano.
Circondato dalle risa, Guerriero restò imbambolato al centro della stanza.
«Scusa, scusa.» S’apprestò a dire Katrin quando riuscì a ricomporsi. «Adesso ti do una mano.»
Con il riso strozzato in gola, tolse a Guerriero le funi filamentose, arrotolandole poi insieme a formare una corona e mettendosele in testa.
«Non sembro una principessa?» Chiese con un sorriso abbagliante.
«Che cosa sono?» L’espressione d’incredulità continuò a restare dipinta sul volto di Guerriero.
«Addobbi.» Katrin si mise a giocherellare con un pezzo della corona che le era sceso sulla fronte.
«E dove li hai trovati?» Domandò Guerriero cercando di ricomporsi.
«Sai il bagno della libreria dove siamo stati?» Katrin aspettò che assentisse. «Nel muro c’era un buco, abbastanza grande da far passare un uomo. Sono finita in un vecchio bazar; sai di quei negozi che vendono un po’ di tutto…»
«E che non hanno mai nulla che serve.» Concluse Guerriero.
Katrin arrossì. «Sì, esatto, uno di quelli.» S’affrettò a tagliare corto. «Dentro c’era veramente di tutto; sembrava un piccolo paese delle meraviglie.» Disse entusiasta. «Statuine, collane, perline fluorescenti, ceramiche, porcellane» continuò come un fiume in piena «sembrava d’essere in mezzo a una pioggia di colori. E…» si bloccò vedendo l’espressione accigliata di Guerriero «ho trovato questi addobbi. Li ho tenuti sotto la giacca per non farmi scoprire e farti una sorpresa.» Abbassò lo sguardo mentre le guance si facevano più rosse.
«Una sorpresa.» Mormorò Guerriero.
Katrin reclinò il capo da un lato. «Volevo farti provare cosa significa festeggiare il Natale, dato che non lo hai mai fatto; farti vedere qualcosa di diverso.» Portò le mani dietro alla schiena, come se si trovasse in grave imbarazzo. «Una sorta di ringraziamento per quello che hai fatto per me.»
«Io non ho fatto niente per cui…» Si schernì Guerriero a disagio.
«Mi hai salvato la vita e mi hai protetto senza chiedere nulla. Ti stai prendendo cura di me; come ha fatto mio padre. »
Guerriero guardò da un’altra parte, non riuscendo a sostenere il suo sguardo. «Non potevo lasciarti in quelle…condizioni. Non era…giusto.»
«Questo è per te.» Katrin lo interruppe, mettendogli le mani giunte a coppa davanti al petto.
«Cos’è?» Chiese l’uomo confuso, osservando la scatoletta rosso sgargiante con il fiocco bianco.
«Un’altra sorpresa!» La ragazza sfoderò un nuovo sorriso smagliante.
Colto di sorpresa, Guerriero sentì il cuore perdere un colpo, non sapendo come muoversi. «Cosa devo fare?»
«Prendilo! E’ tuo!» Lo esortò tendendo le braccia per dargli il regalo.
Impacciato, prese il pacchetto tra le mani segnate da calli e cicatrici. Titubante sfilò il fiocco, sollevando il coperchio e togliendo i fogli di giornale appallottolati. Riflessi dorati scintillarono quando un raggio di sole andò a sfiorare la sfera di vetro adagiata su stoffa dalle tinte scozzesi.
Pollice e indice afferrarono la dura superficie dell’oggetto, avvicinandolo al volto. Al suo interno, una stella dalle molte punte luccicava di brillantini aurei.
Rapito, continuò a rimirarla, facendola roteare lentamente tra le dita.
«Ti piace?» Chiese trepidante la ragazza.
«E’ molto bella.» Disse Guerriero assorto nello studiare la piccola sfera. «Dove l’hai presa? Sempre al bazar?»
Katrin scosse il capo divertita. «L’ha trovata tanto tempo fa mio fratello, in uno dei suoi viaggi in città.»
«Ma è tua.» Protestò fiocamente Guerriero.
«Io ho già la mia biglia personale.» Sorrise la ragazza. «Questa è fatta apposta per te. Ah-ah.» Alzò l’indice a monito. «Niente proteste: è molto scortese rifiutare un dono.» Aggiunse con espressione tra il serio e il faceto.
Guerriero continuò a passare lo sguardo dalla ragazza alla biglia.
Una risata cristallina riecheggiò nella stanza. «Beh, visto che ti piace così tanto potresti dire un grazie.»
Guerriero storse la bocca. «E’ da tanto che non uso più quella parola.» Disse seriamente.
La ragazza spostò il peso da un piede all’altro. «Mica l’avrai scordata: è tra quelle cose che una volta imparate non si scordano più.»
«E’ vero.» Ammise Guerriero. «Solo non ci sono più abituato. Come non sono più abituato a stare con un mio simile.»
Un silenzio imbarazzato cadde nella stanza.
«Credo che ormai non lo sia più nessuno.» Convenne in un sussurro la ragazza lasciando che una ciocca di capelli le scivolasse sugli occhi.
Guerriero deglutì per inumidire la gola secca. «Io ti ringrazio.» Riuscì a dire dopo che il primo tentativo era finito in un debole raschiare. «Mi ha fatto molto piacere questa…sorpresa.»
Le gote della ragazza si colorarono di nuovo di un soffuso rossore.
«Bene.» Lo prese per una mano. «Quello che ci vuole ora è una bella colazione.»
«Non credo ci sia poi tanto di bello in quello che abbiamo.»
Katrin lo trascinò divertita. «Tu sottovaluti le mie doti di cuoca. Vedrai cosa sono riuscita a preparare. Siediti.» Dal forno estrasse due piatti.
«Ecco qua la colazione.» Disse mettendogli davanti la propria porzione.
Guerriero fissò stranito il sorriso fatto di gallette che s’allargava nel piatto. Occhi fatti di frutta secca lo fissavano al di sopra di un naso di carne essiccata.
«Questa poi…»
«Te l’avevo detto che ero una brava cuoca.» Sorrise Katrin. «E non hai ancora visto il pranzo.»
«Un’altra sorpresa?» Azzardò Guerriero.
Katrin addentò una delle gallette. «Esatto, ma dovrà aspettare.»
Guerriero guardò fuori della finestra. «Il sole si sta alzando da un pezzo; meglio muoverci.»
«Oggi niente lavoro.» Disse categorica Katrin. «Non il giorno di Natale; un po’ di riposo ti farà bene.»
«Ma…»
«Niente ma.»
Guerriero la fissò contrariato. «Allora stiamo tutto il giorno chiusi qua dentro a non fare niente?»
«Possiamo far finta di essere una famiglia e passare la giornata a farci compagnia.» Allungò una mano per prendere il libro appoggiato sul piano del forno elettrico. «L’ho preso alla libreria: sembra carino. Ci leggiamo un racconto a testa. Come facevo con mio fratello quando siamo rimasti soli, per ricordare quello che mio padre faceva quando era ancora con noi.»
Guerriero fu sul punto di protestare, ritenendo insensato perdere un giorno per quella futile motivazione. Qualcosa però nei suoi occhi lo bloccò; anche se sorrideva, lo stava implorando di accontentarla. Disperatamente. Probabilmente se si fosse imposto avrebbe fatto quello che diceva lui, ma gli parve una cosa sbagliata. Nonostante rimpiangesse di non potersi occupare delle solite faccende, acconsenti.
«D’accordo.»
«Grazie.» Katrin tornò ad addentare le gallette con rinnovato appetito, come se stesse mangiando il miglior cibo del mondo.
Solo qualche ora dopo, mentre stavano leggendo i brani del libro, Guerriero s’accorse che senza fare nulla, le aveva fatto un dono; glielo leggeva negli occhi. Vedeva come lo guardava e come il suo sguardo era irradiato da un’espressione diversa dal solito: involontariamente aveva fatto rivivere per un giorno il passato, riportando uno spirito dimenticato in un appartamento di una città abbandonata.
Aveva reso felice Katrin.
Mentre la ascoltava dar voce alle parole scritte, cominciò a provare una sensazione strana, probabilmente dovuta al fatto di restare fermo a non fare niente. Ma presto cominciò a pensare che fosse altro: era il fare qualcosa di diverso. Era inusuale quello che avvertiva: soffuso e avvolgente.
Quando il sole s’apprestò a sorgere, Katrin portò in tavola la cena, fischiettando lo stesso motivetto che aveva cantato nella libreria. Guerriero sorrise di fronte al pasticcio fatto con carne e piselli in scatola; incredibile come il solito cibo potesse apparire sotto una luce diversa. Avevano riso commentando i racconti, continuando a parlare a lungo prima di coricarsi.
Nel buio della notte, rimase sorpreso d’avvertire la malinconia della fine di quel giorno. Era stato piacevole. Per un attimo si trovò a desiderare che tutti i giorni potesse essere Natale, che ci fosse sempre quella pace.
Osservò il cielo limpido.
Quando avrebbe raggiunto Luna Azzurra, sarebbe stato così.
Nel silenzio della stanza, con Katrin che dormiva acciambellata sul divano, guardando le stelle attraverso le assi delle imposte, gli parve di sentire un canto lieve levarsi nell’aria. Tese l’orecchio per sentire meglio, ma il suono era svanito.
Scosse il capo.
Doveva essergli rimasto impresso nella mente il motivetto della ragazza e magari anche qualcos’altro.
Quello era stato un giorno proprio strano. Ma gli era piaciuto.