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Punto di rottura

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Mentre ci si lascia distrarre dai commenti di Vespa su Silvia Avallone, fatti gravi si stanno verificando nel nostro paese.
Due anni fa, scrissi e parlai di un evento che, visto il clima che si stava creando e voleva essere creato, si sarebbe sviluppato in tempi brevi: fui preso per visionario, per pessimista.
Oggi è arrivata la conferma dei miei timori.
La Federmeccanica a partire dal 1 gennaio 2012 ha deciso il recesso del contratto nazionale del 20 gennaio 2008, allo scopo di garantire la migliore tutela delle aziende.
La rottura del contratto significa perdita delle tutele dei lavoratori, far sì che le imprese siano libere di dettare le condizioni che preferiscono; il lavoratore perde potere contrattuale e dignità. Se vuole lavorare deve accettare qualsiasi cosa.
Il sogno degli industriali: libertà assoluta, nessun vincolo da rispettare, poter tornare a fare i padroni com’era ai tempi della rivoluzione industriale.
L’incubo dei lavoratori: il ritorno della schiavitù. Non si è più liberi, non si ha più dignità: solo carne da macello, da spremere e sfruttare.
I segnali c’erano da tempo, ma pochi hanno dato peso a quanto accadeva, troppo presi a parlare di calcio o polemiche su nulla: queste non erano che manovre eversive per distogliere l’attenzione su quelle che realmente contava.
La Federmeccanica dice che la Fiat non ha fatto pressioni, ma quando uno afferma una cosa senza che gli venga chiesta, significa che le cose stanno nella maniera che si vuole negare.
La Fiat sta spingendo da tempo per poter togliere diritti e tutele ai lavoratori, aumentare l’orario di lavoro, abbassare i salari. Basta vedere quello che pretendeva Marchionne: l’assenso assoluto dei lavoratori al suo volere. Già che più del 60% lo abbia appoggiato è un fatto di estrema gravità: la gente non capisce che per lavorare non ci si può privare di dignità. La gente dice che questo è necessario per vivere.
No, questo non è vivere, questa non è vita. Il lavoro serve per sopravvivere, la vita non può ruotare attorno ad esso, non può essere privata di tutto in nome di una cosa che sta diventando schiavitù e oppressione.
Non è più tempo di subire, è tempo di prendere il destino della propria esistenza tra le mani e farsi responsabili, non permettere ad altri che decidano per il nostro peggio.
O si ferma adesso questo processo distruttivo o la rottura sarà difficilmente sanabile e per richiuderla occorrerà lottare duramente, come hanno fatto le generazioni che ci hanno preceduto, dalle quali non si è appreso nulla.

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