Novant’anni fa, nel giorno dell’insediamento del nuovo sindaco socialista, i fascisti sparano in piazza e provocano una strage. Sessant’anni dopo una bomba fascista viene fatta esplodere alla stazione. Perché il terrorismo nero colpisce Bologna
di Giuseppe Siriana (articolo pubblicato su LiberEtà, anno 60° numero 11 Novembre 2010)
Città simbolo della sinistra, nodo nevralgico dei collegamenti stradali e ferroviari, scenario di alcuni tragici e oscuri episodi della storia d’Italia: sono tre costanti, tra loro correlate, che segnano il profilo di Bologna nel Novecento. Per quanto parziale questa visione rende evidente il filo nero che attraversa la storia della città e collega la strage alla stazione del 2 agosto 1980 all’eccidio di palazzo d’Accursio del 21 novembre 1920. Quel giorno nel palazzo comunale s’insedia il nuovo consiglio uscito dalle elezioni del 31 ottobre, che hanno premiato la prima amministrazione socialista della città. La guida Francesco Zanardi, il “sindaco del pane”: lo chiamano così perché negli anni difficili della guerra si è prodigato molto per le persone in difficoltà. Zanardi viene però sacrificato ai nuovi equilibri interni che assegnano la carica di primo cittadino al massimalistacomunista Ennio Gnudi, operaio delle ferrovie e dirigente del Sindacato ferrovieri italiani, di cui nel secondo dopoguerra sarà segretario generale.
BOLOGNA 21 APRILE 1920
Appena eletto, Gnudi rivolge un saluto ai “valorosi rappresentanti” della minoranza consiliare, ma avverte: qualora l’opposizione dovesse assumere “carattere di sopraffazione” i socialisti saprebbero come reagire in difesa degli interessi dei lavoratori. Parole forti che contribuiscono a inasprire la tensione già alta. Per festeggiare la riconquista di palazzo d’Accursio, qualcuno ha pensato bene di issare la bandiera rossa sulla torre degli Asinelli. I fascisti l’hanno presa come una provocazione, come un affronto che non può restare senza risposta. Ed ecco quindi le camicie nere irrompere nella piazza del Comune dove una folla di militanti socialisti è in attesa che il nuovo sindaco si affacci. Appena Gnudi compare sul balcone i fascisti cominciano a sparare in quella direzione. Entrano allora in azione alcune “guardie rosse”, anch’esse armate di rivoltelle e bombe a mano. La situazione degenera in un vero e proprio conflitto a fuoco che coinvolge l’aula consiliare, dove rimane ucciso un consigliere nazionalista. Sulla piazza si contano alla fine dieci vittime. Nel caos generale Gnudi si dimentica di prendere possesso della carica e di riconvocare il consiglio per la nomina della giunta, offrendo al prefetto di Bologna l’appiglio per insediare in Comune un commissario straordinario.
L’INIZIO DEL FASCISMO
L’eccidio di palazzo d’Accursio rappresenta un momento di svolta del primo dopoguerra. Dopo i fatti di Bologna gli agrari si organizzano armando le squadre fasciste per attuare una brutale repressione antiproletaria. Secondo Renzo De Felice nei fatti del 21 novembre e delle settimane immediatamente successive si ritrovano le principali componenti che spianano la strada al fascismo: il consenso di gran parte dell’opinione pubblica borghese, le coperture e le connivenze di questori e prefetti, l’inadeguatezza del partito socialista.
Nel bolognese i colpi della violenza squadrista fanno venir meno la compattezza di quel blocco sociale, fondato sull’alleanza fra le varie componenti del mondo contadino (braccianti, mezzadri, piccoli e medi proprietari) e un proletariato urbano minoritario. È il blocco sociale che prende forma e si consolida a partire dalle elezioni politiche del 1913 con l’allargamento del suffragio universale e consente ai socialisti di conquistare Bologna e la maggioranza dei Comuni della provincia nelle amministrative del 1914.
Le elezioni del 1920 rafforzano ulteriormente questo potere socialista esteso, che adesso
poggia non solo sul conferimento della rappresentanza politica al partito (i socialisti amministrano, oltre a Bologna, 53 dei61 Comuni della provincia), ma anche sulla notevole forza del movimento sindacale e cooperativo. Ma è soprattutto il “governo rosso” del capoluogo emiliano a rappresentare, agli occhi delle forze conservatrici e reazionarie, una minaccia, un pericoloso “modello” da isolare ed estirpare con ogni mezzo.
IL SOCIALISMO EMILIANO
L’attacco squadrista contro gli uomini e le organizzazioni di sinistra, indeboliti anche dalle divisioni intestine, provoca la crisi irreversibile del socialismo emiliano. Solo le zone compattamente riformiste, come la Molinella di Massarenti, o quelle dov’è più forte l’insediamento della frazione comunista, come l’imolese, riescono a opporre una qualche resistenza, mentre fin dalla metà del 1921 il fascismo bolognese comincia a guadagnare consensi anche nelle file del proletariato.
LA RISPOSTA ALLA STRAGE DEL 1980
Nel 1981, a un anno dalla strage alla stazione, il sindaco di Bologna, Renato Zangheri, intervenendo a un convegno storico sull’eccidio di palazzo d’Accursio, più che richiamare analogie e ricorsi tra i due tragici fatti, volle sottolineare una fondamentale differenza. Se nel 19201e forze popolari non seppero reagire lasciando le squadre fasciste padrone della piazza, nel 19801a medesima piazza si riempì di donne e di uomini decisi a opporsi a chi voleva ricreare condizioni di terrore e di disordine e a difendere lo Stato democratico nato dalla Resistenza.
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