M’incammino lungo il vialetto inghiaiato, godendomi l’ombra dei pioppi che lo fiancheggiano. La grande e vecchia casa si para davanti a me: è un anno che mi ci sono trasferito. Anzi, ci siamo trasferiti. Dopo Francisco sono arrivati Alfredo e Jinko: pazienza per il primo, ma gli altri due avrebbero attirato troppo l’attenzione. Cambiare residenza è stato inevitabile.
Alle mie spalle risuona il rumore di tacchi a spillo che calpestano la ghiaia.
«Ti ho detto di non seguirmi.»
La tipa mi affianca, tirandosi su la minigonna; fra poco si vedrà il filo interdentale che usa per biancheria intima…sempre che indossi qualcosa là sotto. «Non tirartela…non ti ho chiesto la Luna!»
Scuoto la testa. «Ti ho già detto che non è interessato.»
La tipa si sbottona un altro po’ la camicetta azzurra troppo stretta per il suo seno rifatto. «Questo non lo puoi sapere senza che mi abbia vista!» sbotta stizzita. «Nessuno resite a un’eurognokka come me!»
Scrollo le spalle.
Si fa più civettuola. «Dai, fammi conoscere il tuo amico figo!»
Raggiunto il piazzale davanti alla casa, mi dirigo verso il gazebo che abbiamo montato da poco. Lui è lì, come ogni pomeriggio con il tablet, intento ad annusare una rosa appena colta.
«Francisco, c’è una che ti vorrebbe conoscere.»
Lui assume un’espressione stanca e sconsolata. «Un’altra…» sospira.
Se non mi tenesse sveglio ogni notte con i suoi commenti, i suoi gridolini, i suoi pianti mentre guarda le serie tv, avrei quasi compassione di lui.
«Stasera esci come me?» gli dice la tipa a bruciapelo, senza nemmeno presentarsi.
Le lancio una rapida occhiata: la sua espressione dice tutto. L’ha già spogliato e trombato con gli occhi.
«Stasera no, sono stanco» dice depresso, lo sguardo perso nel vuoto.
“Quante storie perché è finita la sua serie tv preferita…vediamo se così si risolleva un poco.” Gli porgo un piccolo sacchetto di carta. «È uscito il cofanetto speciale dell’ultima stagione di Walking Dead.»
«Che bello!» Francisco si ravviva di colpo: sprizza gioia da tutti i pori.
«Non accenderti!» sussurro vedendo che sta cominciando a luccicare peggio di un albero di Natale. «Ma non potevi essere come Dracula che se ne sta in giro solo di notte, invece di un vampiro alla Twilight?» La battuta mi parte prima che me ne accorga, ma la tipa è talmente sbavante a guardare i pettorali che s’intravedono dalla sua camicia aperta che non sentirebbe nemmeno le trombe del giudizio.
Francisco afferra il sacchetto, fa la sua tipica scossettina di culo e poi parte di corsa in casa. Io lo seguo a ruota, lasciando da sola la tipa come una pera troppo matura caduta dall’albero.
«Alfredo!»
«Signorino, non urli, la sento benissimo.»
Alfredo mi raggiunge, massaggiandosi un orecchio peloso con una mano mentre con l’altra tiene la scopa.
«Non mi dire che stai spazzando da stamattina» esclamo esterrefatto.
Alfredo estrae dalla tasca una spazzola e se la passa sui pantaloni, raccogliendo i peli che si sono attaccati sopra. «Lei è fortunato, signorino, non sa che seccatura il periodo della muta. Peli dappertutto. Pulire in questi giorni diventa un inferno.»
Per uno ordinato come lui, lo è davvero. E anche per noi: ce lo troviamo tra i piedi in continuazione.
Gli allungo le due borse di plastica mentre ci avviamo verso la cucina. «Ecco la spesa e quello che mi hai chiesto dalla ferramenta.»
Alfredo si china verso il lavandino. «Jinko, è arrivato il materiale per sistemare l’impianto idraulico.»
«Perfetto!» la voce di Jinko ci giunge dalla tubatura del lavandino. «Portamelo giù, che mi metto subito al lavoro.»
«Con permesso» dice Alfredo dirigendosi verso la cantina, dove sta sempre Jinko: dice che in casa l’aria è troppo secca e gli fa squamare la pelle. Alfredo si ferma sulla soglia della porta, tirando fuori dalla tasca del panciotto l’antico orologio da taschino. «Il the sarà servito fra mezz’ora in salotto. Ci sono anche i bignè ripieni, freschi di giornata. Devo dire che la crema di oggi è particolarmente gustosa.»
«Ehi, signorino» la voce di Jinko rimbomba nelle tubature. «Ne tenga qualcuno da parte anche per me!»
«D’accordo!» rispondo chinandomi sul lavandino.
La casa è stranamente silenziosa. La tv e il giradischi sono spenti, come tutte le luci delle stanze. Trovo Alfredo e Francisco seduti sulla terrazza, intenti a fissare la Luna piena. La cosa mi sorprende: solitamente a quest’ora bisticciano perché il primo vuole ascoltare i dischi di Schubert e Bach mentre l’altro vuole seguire le serie tv a tutto volume.
«Ci chiamano mostri perché siamo diversi» comincia a parlare Francisco. «Ma là fuori c’è di peggio» indica la città. «Quelli che ignorano i bambini e li abbandonano a se stessi. Quelli che picchiano le donne. Quelli che pensano solo ai soldi e a fregare gli altri. Quelli che non hanno più sogni.»
Sul suo viso è dipinta un’espressione intensa. “Non l’ho mai visto così, fa quasi spavento.”
«I veri mostri sono quelli che non ti aspetti, quelli che non si riconoscono al primo sguardo, che si rivelano solo con il tempo, quando ormai è troppo tardi per fermarli e poter rimediare a quanto hanno fatto» aggiunge Alfredo.
“Ma che gli è preso a questi due stasera?”
«Vede signorino, questa per noi doveva essere una notte di festa» continua Alfredo. «Una notte in cui le varie specie cui apparteniamo si radunavano per fare baldoria e raccontare le proprie esperienze.» Fa una pausa. «Ma ormai sono decenni che tutto questo non avviene. Troppo pericoloso. E poi siamo rimasti in pochi, ormai siamo specie in vie di estinzione. Fra poco dei mostri, di quelli originali, non ne rimarrà nemmeno uno. Abbiamo cercato d’integrarci in questa società multirazziale. Ma anche se i tempi cambiano, certe cose non sono destinare a cambiare: il diverso non sarà mai accettato, si cercherà sempre di schiacciarlo ed eliminarlo.»
«Da quando è stata creata la società, con i suoi costrutti, le sue regole, gli umani si sono sentiti superiori, assolvendosi per qualsiasi malefatta commessa. Guerre, deportazioni di massa, pulizie etniche, omicidi senza ragione…tutto questo gli umani hanno fatto, senza vergogna. Nonostante questo, hanno dato la caccia a quelli della mia specie etichettandoli come mostri assetati di sangue, solo perché, per sfamarsi, eliminavano alcuni di loro» interviene Francisco.
«Stessa cosa è successa a noi mannari e ai nostri cugini lupi» dice Alfredo. «Ci hanno definito belve spietate perché uccidevamo le pecore. Ma non ne abbiamo mai uccise più del necessario e delle prede che catturavamo non abbiamo mai sprecato un solo osso. Non ci divertivamo a fare quello che abbiamo fatto, a differenza degli umani, che con i loro safari, le loro caccie indiscriminate per fare soldi e creare fantomatici elisir per durare più a lungo a letto hanno ridotto all’estinzione decine di specie animali.»
«Anche noi figli dell’acqua abbiamo subito la stessa sorte» la voce di Jinko ci raggiunge dal tubo della grondaia. «Bastava avvicinarci agli umani per scatenare caccie sfrenate, peggio che in Lo squalo. Locky sono anni che non esce dalla sua tana, ormai è caduta in una depressione più profonda della Fossa delle Marianne.»
«Locky?» chiedo perplesso.
«Si riferisce alla creatura che vive nel lago di Ness» precisa Alfredo.
«Tutto ha una fine» dice tristemente Francisco. «Ma certe cose sono destinate a esistere sempre. Noi scompariamo, ma il nostro posto verrà preso da dei nuovi mostri.»
«E chi sarebbero?» domando intimorito.
«Gli esseri umani.»
Alfredo mi fissa per alcuni momenti vedendo la consapevolezza farsi largo sul mio volto. «La luna alla volte gioca brutti scherzi e fa dire cose strane. Non pensi più a questa conversazione, signorino. Sono solo riflessioni di specie sulla via del tramonto. Faccia un buon sonno e vedrà che domani tutto sarà come prima.»
Mi avvio verso la camera da letto, sapendo che le cose non saranno più come prima.
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