Nel 1945 abbiamo detto al mondo intero “mai più.” Nel 1992 abbiamo dimenticato la nostra promessa.
Con queste parole inizia la quarta di copertina di Fax da Sarajevo opera di Joe Kubert edita da Alessandro Editore. Una storia di sopravvivenza che narra attraverso Ervin Rustemagic e la sua famiglia (la moglie Edina e i figli Edvin e Maja) gli orrori della guerra di Sarajevo, il conflitto bellico scatenato dal criminale Milosevic che ha gettato l’allora Jugoslavia in un inferno che ha ripetuto quanto accaduto durante la Seconda Guerra Mondiale.
Mantenendosi in contatto tramite fax con i suoi amici Joe e Muriel, Ervin racconta la vita condotta in due anni dove la morte era sempre alle porte e ogni tentativo di sfuggire da quella che un tempo era la sua casa veniva sempre stroncato, scontrandosi contro regole e burocrazie assurde, facendo i conti con l’indifferenza e l’immobilismo delle forze politiche mondiali che stavano a guardare mentre vedeva morire la gente attorno a lui. E si ha dinanzi uno scenario sconvolgente e orripilante, che mostra tutta le disperazione e la brutalità di cui l’essere umano è capace.
I bambini costituivano i bersagli privilegiati. I cecchini ricevevano una taglia per ogni bersaglio colpito. I bambini erano scelti dunque per questioni mercenarie. Se un bambino veniva colpito, i genitori si sarebbero precipitati in suo soccorso, per portarlo al riparo, cosa che permetteva al cecchino di assicurarsi almeno due taglie. Per il bambino, e per coloro che accorrevano in suo aiuto. (1)
La specialità dei Serbi è di andare nelle case della gente, uccidere e rubare tutto ciò che ha valore. (2)
Le esplosioni costanti sono diventate familiari. Accettate come una cosa normale. (3)
Vicini di casa e persone che aveva sempre considerato amiche si erano messe in tesata di annientarlo, lui e la sua famiglia. Sarajevo era diventata una città di rifugiati nella quale gli abitanti terrorizzati fuggivano per scambiare il luogo della loro vita con altri abitanti terrorizzati che fuggivano verso un luogo presumibilmente più sicuro. Così facendo, si lasciavano dietro il giocattolo di un bambino o una fotografia di famiglia. Troppe cose da portare con sé quando si deve fuggire in fretta. (3)
I civili che osavano avventurarsi in strada per andare a cercare dell’acqua dalle condutture rotte finivano vittime di una granata o di una pallottola. Uomini, donne, bambini senza braccia e senza più gambe. (4)
Campi dove donne (madri, mogli, sorelle bambine) venivano incarcerate e violentate allo scopo di far nascere dei bambini serbi. Un nuovo modo di “purificazione etnica”. Paesi interi erano stati spazzati via, tutti gli uomini rinchiusi nei campi di concentramento. (5)
L’agghiacciante realtà di qualcuno che sacrifica se stesso per una sigaretta era un esempio di come il valore della vita stessa si era deteriorato fino a diventare quasi insignificante. (6)
Queste sono le realtà cui Ervin e la sua famiglia hanno avuto a che fare e che la penna di Joe Kubert ha mostrato nelle sue tavole in Fax da Sarajevo, dando vita con le sue immagini a quanto l’amico gli scriveva nei fax. Un’opera curata e dettagliata, che ha messo in mostra gli orrori di un passato non troppo lontano, ma anche la solidarietà e l’umanità che si riesce a riscoprire nei fondi più bui della storia. La bravura di Kubert è riuscita ben a mostrare con il suo tratto e l’uso dei colori la vita in quei luoghi d’inferno e a trasmettere il senso d’impotenza che si prova dinanzi a follie come lo sono le guerre e certe ideologie come quelle di Milosevic (pulizia etnica) e il fatto che tanti le abbiano seguite, arrivando a uccidere solo perché qualcuno l’ha ordinato. Colpisce il fatto che sia esploso un odio così grande verso quelli che un tempo erano vicini e amici, e che si sia dato ascolto a un criminale senza fermarsi a riflettere; o forse semplicemente i semi di questo odio esistevano già e si aspettava solo che qualcuno delle il via a tutto per scatenare quello che gli animi stavano celando.
Ma colpisce anche come le forze politiche mondiali siano rimaste ferme a guardare invece d’intervenire con prontezza, spesso ponendo ostacoli burocratici senza senso a chi semplicemente cercava una via di salvezza da luoghi dove la pazzia regnava.
Dopo lunghe peripezie, quando non sembrava più esserci speranza, Ervin e la sua famiglia sono riusciti a fuggire e a trovare salvezza: la loro storia ha un lieto fine. Ma per tanti non è stato così. Uno di questo è stato Karim Zaimovic, giovane giornalista, che ha scattato foto sulla realtà di Sarajevo e che avrebbe dovuto lavorare con Ervin nel suo studio, realizzando così il suo sogno di lavorare in un settore che gli piaceva, con un editore di fumetti. E’ morto nell’agosto 1995, a causa di una granata.
A completare l’ottimo volume, in appendice sono riportate in ampio numero fotografie che testimoniano sia la distruzione abbattutasi sugli edifici delle città, sia alcuni momenti di vita della famiglia Rustemagic durante il periodo della guerra.
Una lettura che andrebbe fatta per non dimenticare, per imparare e non continuare a ripetere errori che portano solo orrori e perdite.
1 – pag.187
2 – pag.189
3 – pag.191
4 – pag.193
5 – pag.197
6 – pag.199
Leave a Reply