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Berserk – L’epoca d’oro

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Berserk - L'epoca d'oroBerserk – L’epoca d’oro è una trilogia di film dedicata a quello che per molti è il miglior arco narrativo della storia narrata da Kentaro Miura. Senza dilungarsi troppo sulla trama, le pellicole raccontano dell’ingresso di Gatsu (qui chiamato Guts), adolescente ma già esperto guerriero, nella Squadra dei Falchi dopo aver perso a duello con il suo comandante, Grifis. Una vittoria dopo l’altra, il gruppo di mercenari guadagna sempre più notorietà presso la corte del re delle Midland; oltre alla fama però cominciano a sorgere anche l’invidia e il rancore da parte dei nobili, che non sopportano che persone che vengono dalla plebe ottengano una simile attenzione: ciò porterà attentati alla vita di Grifis, che però falliranno.
La vendetta del Falco Bianco non si farà attendere e chi si metterà sulla sua strada farà una brutta fine.
Tutto sembra andare per il meglio, se non fosse per la profezia che Zodd l’Immortale ha rivelato a Gatsu dopo essersi scontrato con lui e Grifis e aver visto che quest’ultimo indossa il Bejelit del Re Conquistatore. Un presagio oscuro, un presagio di morte, aleggia su Gatsu e i suoi compagni e la causa di tutto sarà proprio Grifis.
Le nubi nere però per il momento sembrano lontane e i Falchi ottengo un’importante vittoria contro i nemici delle Midland, al punto da essere elevati al rango di nobili. Gatsu però non è soddisfatto di ciò e decide di andarsene per trovare la propria strada, convinto dalle parole pronunciate da Grifis su chi considera suo amico. Ma ciò che è perso con la spada, va riconquistato con la spada e per potersene andare deve sconfiggere a duello Grifis.
La sconfitta lascia una profonda ferita sul Falco Bianco che, incapace di accettare l’abbandono di Gatsu, perde il controllo e fa qualcosa di avventato, andando a letto con la figlia del re delle Midland; scoperto, viene imprigionato e torturato per un anno. La Squadra dei Falchi viene messa al bando e braccata senza pietà; solo il ritorno di Gatsu eviterà il peggio. Assieme a Caska, Judo e Pipin, libereranno Grifis ma ormai il capo dei Falchi è un rudere, con tendini di gambe e braccia recisi e lingua tagliata. La condizione in cui versa e l’aver rivisto Gatsu generano in lui una disperazione tale che lo porta ad attivare il potere del Bejelit: l’Eclissi ha inizio e i membri della Mano di Dio (demoni di un’altra dimensione) giungono sulla terra per accogliere il quinto di loro, che altri non è appunto che Grifis.
Grifis accetta quanto offerto e sacrifica i suoi compagni. Inizia una carneficina tremenda, dove solo Gatsu e Caska sopravvivono; l’uomo perde un braccio e un occhio, la donna, stuprata da Grifis rinato come Phempt, il Falco delle Tenebre (qui chiamato corvo), perde la ragione. Solo l’intervento del Cavaliere del Teschio li salva da morte certa; ma sarà una salvezza effimera, perché portando su di loro il marchio del Sacrificio, saranno sempre perseguitati da spiriti, mostri e Apostoli (servitori della Mano un tempo umani divenuti mostri dopo aver usato un bejelit).
Berserk – L’epoca d’oro presenta grossi difetti. Tralasciando la computer grafica che non è eccezionale (anche se è meglio di quella dell’ultima serie realizzata su Berserk, ma ci voleva poco), il vero problema riguarda i tagli, che lasciano buchi di trama non da poco, e la rivisitazione dei dialoghi, che fanno perdere molto della bellezza del manga. Tradotto in parole povere: anche questi film non si avvicinano al livello del manga.
Si può comprendere che con il tempo a disposizione non si possa mettere tutto, ma la scelta di cosa mettere e cosa no compromette la comprensione della storia.
Del passato di Gatsu c’è un breve flashback di qualche secondo dove, se non si conosce il manga, non si capisce chi sono le figure mostrate (uno è Gambino, il mercenario che l’ha adottato, l’altro è il soldato a cui il padre adottivo l’ha venduto e che l’ha violentato). Il bejelit rosso viene mostrato da Grifis a Gatsu in un momento diverso da quello del manga, dando una spiegazione differente: è più lunga e articolata, ma rivela troppo e toglie aspettativa, facendo capire troppo di quello che accadrà. Viene eliminata la figura della regina delle Midland e tutta la parte a essa relativa. Stessa sorte tocca a Godor il fabbro, all’arco narrativo che lo riguarda e al periodo che Gatsu ha passato lontano dalla Squadra dei Falchi. Idem per i Barkilaka, Wiald e i Cani Neri. Nello scontro tra Gatsu e il generale dei Rinoceronti Viola viene eliminato l’intervento di Zodd, decisivo per l’esito del combattimento. Il rapporto sessuale tra Gatsu e Caska dopo il ritorno del guerriero tra ciò che resta della Squadra dei Falchi viene semplificato, eliminando la parte in cui Gatsu ricorda la violenza subita da piccolo e ha una reazione improvvisa contro la donna.
Tutti questi sono tagli importanti, ma la cosa più grave è la modifica fatta ai dialoghi, uno dei punti di forza dei manga: troppo affettati, al punto da essere a tratti banali. Con questa scelta si perde troppo della poesia e della profondità trovata tra le pagine disegnate da Kentaro Miura.
In definitiva, il giudizio dato a Berserk – L’epoca d’oro non è propriamente positivo, al punto che si rivaluta la prima serie realizzata negli anni novanta per questo manga. Peccato aver perso un’occasione per fare un buon lavoro.

Il potere della magia

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Il potere della magiaComplice un forte sconto outlet, ho acquistato Il potere della magia, volendo dare un’altra occasione a Terry Brooks. Brooks è stato un autore che ho apprezzato quando ero adolescente (anche rileggendo le sue opere da adulto, pur non provando le stesse sensazioni, non ho potuto che trovare buoni i suoi lavori) e che fino alla fine degli anni 90 ha saputo scrivere romanzi interessanti. Ma con Il viaggio della Jerle Shannara è cominciata la china discente: idee valide ma sfruttate male, personaggi di cui ci si dimentica presto. Brooks ha preso a perdere sempre più colpi; il culmine è giunto con La Genesi di Shannara, dove, dopo un inizio in cui l’autore sembrava tornato ai suoi livelli migliori, c’è stato il crollo, soprattutto con I figli di Armageddon: questo romanzo funziona benissimo finché parla del gruppo degli Spettri e del Cavaliere del Verbo Logan Tom, sa creare un’atmosfera veramente buona. Poi la rovina mettendo all’improvviso gli elfi, che fino a quel momento nella serie di Verbo e Vuoto non si erano mai visti: prende il sense of wonder e in un istante lo fa a brandelli (ed è uno dei rarissimi momenti in cui m’è partito un “ma v……..”). Va bene che la trilogia di cui fa parte I figli di Armageddon doveva essere l’anello di congiunzione tra Shannara e mondo reale visto da Verbo e Vuoto, ma si poteva e doveva fare meglio. Brooks ha utilizzato male un personaggio come O’olish Amaneh; poteva usarlo in modo più centrale, legare il mondo degli spiriti (date le origini indiane del personaggio), il mondo di Faerie, con quello degli elfi, facendo sì che l’armageddon scatenato incarnasse le essenze immateriali e dando così vita agli orecchi a punta. E invece… “ecco, gli elfi ci sono sempre stati e se ne stanno tra le montagne americane”.
Il Brooks di questo periodo è riuscito a rovinare oltre Shannara e Verbo e Vuoto, anche la saga di Landover con quel lavoro pessimo di young adult che è La principessa di Landover (e questo problema non da poco si rivede anche in Il potere della magia).
Per queste ragioni, smisi di leggere nuove uscite di questo autore. Il passare del tempo alle volte fa strani scherzi e, portando un poco di nostalgia, fa venire voglia di rivedere (in questo caso leggere) cose che sono state legate al passato, e quindi ecco ad avere tra le mani Il potere della magia.
Certo, è il secondo volume di una duologia, ma questo non influisce sulla comprensibilità della storia (essendo poco originale ed essendo divenuto ripetitivo, non è difficile capire le trame di Brooks): la barriera magica protettiva erta per difendere umani ed elfi creata diversi secoli prima ai tempi di Falco (la Genesi di Shannara) sta venendo meno e le creature che vivono fuori dalla pacifica valle cominciano a entrare. Sider Ament, l’ultimo dei Cavalieri del Verbo, deve avere a che fare con i troll che cercano di invaderla, ma muore e lascia il suo bastone magico e il suo compito a Panterra Qu, un diciassettenne, compito che divide con la sua migliore amica, la quindicenne Prue Liss. Verranno aiutati dalla giovane principessa degli elfi Phryne Amarantyne, che però è accusata ingiustamente dall’invidiosa matrigna dell’omicidio del padre, di cui lei è artefice.
Da queste basi parte Il potere della magia. Occorre premettere che ero arrivato a questa lettura preparato, non avendo gradi aspettative, viste le tante critiche ricevute da questo lavoro: ripetitività delle trame, troppa introspezione. Tutto giusto, ma il vero problema di questo romanzo è un altro: Brooks si è adeguato allo young adult. Ma è lo young adult più scarso, perché c’è modo e modo di farlo. Anche Sanderson ha scritto young adult, ma l’ha fatto in modo diverso, con risultati decisamente migliori, basti vedere Il ritmatista o la trilogia degli Eliminatori (che ha qualche piccola caduta, ma nel complesso il suo dovere lo fa); qui invece Brooks segue la linea peggiore di questo filone.
I protagonisti sono due adolescenti che non hanno grandi capacità e neppure eccellono di preparazione (anzi, si può dire che non ne hanno), ma che si ritrovano a essere i salvatori di tutto: gli adulti come Sider Ament, che in altre sue opere sarebbero stati gli eroi della storia, vengono tolti di mezzo per lasciare spazio a questi giovani con facilità e quasi banalità. E mentre il destino della valle ricade sulle loro spalle, il lettore si deve sorbire pianti e crisi adolescenziali, baci e amori da cotta, pensieri che ruotano attorno a essi, oltre a bisticci e dialoghi che che fanno cascare le braccia (“ah, tu pensi che sia colpa mia, che io non sia capace, ma io ho le capacità!” “io non pensavo questo…” “no, tu pensavi proprio questo!” e via con le lacrime agli occhi, ai singhiozzi e agli abbracci di conforto “no, io credo in te, ti sarò sempre a fianco perché ti voglio bene”).
Le “adolescenzialate” però non si limitano a questo. Oltre a eliminare Sider Ament, si tirano via quei personaggi adulti che potrebbero rubare il palcoscenico ai giovani: via il mercenario Deladion Inch, via la nonna di Phryne (tutte figure che col Brooks del passato avrebbero avuto una caratterizzazione e uno sviluppo interessante) perché si deve puntare sui giovani. Il che non sarebbe nemmeno un problema, se Brooks si comportasse come si è comportato con il ciclo degli Eredi. Anche lì c’erano dei giovani (giovani, non adolescenti), come Wren, come Morgan Leah, ma o erano stati addestrati fin da piccoli (primo caso), oppure da tempo combattevano contro la Federazione (secondo caso); a differenza di questi due, Par non aveva nessuna capacità combattiva, ma possedeva la Canzone Magica (che almeno all’inizio era capace di creare solo illusioni) e per questo era stato scelto dallo spirito di Allanon per il compito di soccorrere le Quattro Terre; ispirato dalle geste di eroi di cui canta, decide di accettare quanto richiesto dal druido di un tempo, ma per questo chiede aiuto a chi è più capace ed esperto di lui (Morgan Leah, Padisar Creel e i Nati Liberi), come il buon senso suggerirebbe di fare. Invece ne Il potere della magia il buon senso viene messo da parte e si punta tutto sul “youth power” (adolescenti che solo perché tali hanno il potere di risolvere tutto).
Così, grazie al “youth power”, ci si deve sorbire una scena ridicola dopo l’altra. Prue e Panterra sono seguiti da un nemico molto pericoloso, come li avvisa la nuova capacità di Prue avuta dal re del Fiume Argento (saltato fuori così all’improvviso); si apprestano a fargli un’imboscata, lui li sorprende ma viene lo stesso messo al tappeto in pochi secondi. Catturato e legato, l’assassino Bonnasaint, declama che non rivelerà nulla ai due giovani, nemmeno se è giorno e notte; nel giro di poche pagine, Prue e Panterra decidono di portarlo dalla regina degli elfi e l’assassino spiattella tutto senza colpo ferire. Poco dopo, sfrutta una cavolata di Prue e la prende in ostaggio per scappare, ma la ragazza si libera e lo pugnala ammazzandolo all’istante. Per fortuna era uno che aveva eliminato tanti avversari molto più pericolosi dei due giovani: bei tempi quando Brooks raccontava di Pe Ell (personaggio di Il druido di Shannara), un assassino con i fiocchi, non quella buffonata che è stato Bonnasaint.
Ma questo termine si può estendere a tutto il romanzo e spiace usarlo per un autore che ha saputo dare molto fino a un certo punto (fino al 2000), ma questa è la realtà: Il potere della magia è una buffonata. Scene assurde. Dialoghi penosi. Ragionamenti altrettanto scadenti. Personaggi secondari ben caratterizzati fino a questo momento rovinati, come successo con La principessa di Landover (qui alla domanda di Prue “Dove devo andare?” Il Re del Fiume Argento risponde “Segui il tuo cuore”…). Deus ex machina penosi (Panterra e la principessa degli elfi stanno andando incontro a un grande pericolo ma in loro soccorso arriva un drago che li ha seguiti percependo la scia lasciata dalle pietre magiche; la principessa capendo ciò, per addomesticarlo, usa di nuovo le pietre magiche e il drago si mette a giocare con la luce emanata da essa e a rincorrerla come farebbe un gatto. Le pietre magiche sono una cosa seria, non un oggetto da usare banalmente così). L’unica parte un poco passabile è quella del demone, anche se Brooks ha saputo fare di meglio con la trilogia del Verbo e del Vuoto e con Le Pietre Magiche di Shannara. Visti i successi avuti, non si riteneva possibile che un autore come Brooks per continuare a pubblicare si vendesse alla direttive dello young adult. Questa però è la realtà e occorre accettarla e trarne le relative conclusioni. Brooks adeguandosi a questo mercato ha perso moltissimo, sia come qualità dei lavori svolti, sia come lettori: se questo è il nuovo corso che ha deciso di seguire l’autore, come già dimostrato con La principessa di Landover, non ho intenzione di leggere altro di quanto ha scritto in seguito. E sconsiglio anche altri a farlo. Molto meglio rileggere quanto scritto in precedenza (praticamente tutto quello che viene prima della pubblicazione di Il viaggio della Jerle Shannara, che, comunque, alla luce di quanto letto, può tranquillamente essere rivalutato e addirittura divenire positivo). Lo stesso consiglio viene dato a chi volesse conoscere questo autore: si legga tutto quello che ha fatto prima del 2000.
Spiace dare un giudizio così negativo, visto il rispetto avuto per questo autore fino a un certo punto, ma Il potere della magia non merita altro. L’unica cosa utile di questo libro è che insegna a come non scrivere un buon romanzo fantasy e d’avventura. E fa riflettere su un aspetto: questo è quello che si pensa debbano leggere dei giovani lettori? Se è così, allora non si ha una gran considerazione di loro, dimostrando che tipo d’immagine ci si è fatti di chi sta per diventare adulto; una cosa per niente positiva e, se si vuole, a tratti pure insultante.

(su Letture Fantastiche c’è un approfondimento riguardo il calo di qualità delle opere di Terry Brooks)

L'oro bianco

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L'oro biancoCon L’oro bianco si conclude la seconda trilogia di Thomas Covenant e prosegue con la stessa atmosfera del volume precedente, ovvero l’assenza di speranza. La missione che ha portato il gruppo all’Albero Magico per creare un nuovo Scettro della Legge è fallita, uno dei giganti è morto nell’imprensa, degli Haruchai partiti per l’impresa (che un po’ ha ricordato il viaggio degli Argonauti e quello di Ulisse) è rimasto soltanto Cail, e Linden Avery scopre con gran sconcerto che non c’è nessuna possibilità di salvare Thomas, ferito a morte sulla Terra, ma che col potere dell’oro bianca era riuscito a curarsi sulla Landa; come già si sa, il tempo tra i due mondi scorre in maniera molto diversa (quelli che sono pochi istanti sulla Terra, sulla Landa sono giorni o settimane) e quindi Thomas Covenant nel mondo diventato ormai dello Spregiatore è ancora vivo, ma la sua vita sta inevitabilmente scivolando via. Covenant è consapevole di questo, ma non lo ha voluto rivelare a Linden, anche se essendo lei medico sperava che potesse salvarlo; ciò non ha fatto che portare attrito e lontananza tra i due. Come se non bastasse, l’Elhoim che è con loro non fa che rimarcare come Covenant debba cedere a Linden il suo anello, causando ancora più tensione tra i due; Covenant non vuole saperne di fare un simile gesto e l’unica possibilità che ha Linden per ottenere l’anello è quella d’impossessarsi di lui e usarne il potere.
Il ritorno sulla Landa non è per niente facile. Con la nave gravemente danneggiata, Thomas, Linden, Cail, la Prima, Posapece, Tessitore e Cercaporti debbono lasciarla e raggiungere la terra a piedi attraverso i ghiacci; vengono attaccati dagli arghuleh, feroci predatori del ghiaccio, e inseguiti fin oltre il loro territorio. Soltanto il prodigioso, quanto casuale, intervento di Hamako e dei silfidi li salva da fine certa. Ma si tratta di un momento di breve gioia: scoprono che i Silfidi giunti fin lì sono gli ultimi, distrutti nei propri rifugi dalle Abbiezioni, convinte che abbiano rivelato a Thomas e Linden il segreto riguardante Vain.
Hamako, per fermare gli arghuleh si sacrifica, distruggendo il croyel (creatura già incontrata quando hanno combattuto contro Kasreyn) che teneva uniti i feroci esseri del ghiaccio. Il gruppo raggiunge la Rocca dei Signori, dove trovano Hollian, che è incinta, e Sunder e gli Haruchai che sono stati liberati dalle prigioni delle rocca: loro sono gli unici che si oppongono al potere dei signori, dato che i Pietrai e i Silvani, benché li sostengano, sono stati razziati da tutte le persone che possono combattere per alimentare con il sangue il Sole Ferito. Covenant riesce a vincere il Posseduto che guida i Signori e a distruggere la fornace che alimenta il Sole Ferito, ma viene perso Cercaporti, desideroso di avere vendetta per la fine del fratello.
Ormai non rimane che affrontare lo Spregiatore, nel suo covo sotto le radici del Monte del Tuono. Hollian muore per cambiare il Sole Ferito e far sì che abbiano le condizioni favoreli per raggiungere la base del nemico, ma quando raggiungono l’Andelain, l’unica area della Landa non colpita dal Sole Ferito, Caer Cavedal, suo Forestale e un tempo Hile Troy, si sacrifica per riportala in vita; ora, Thomas Covenant è l’ultimo rimasto delle avventure della trilogia precedente. Il Morto Kevin il Distruttore (il Signore che ha portato la distruzione sulla Landa quando ha combattuto contro lo Spregiatore molti secoli prima del primo arrivo di Covenant) avverte Linden che Covenant vuole consegnare allo Spregiatore l’Anello Bianco; Covenant non parla con lei del suo piano, ma prosegue per la sua strada. Alla donna non resta che fidarsi di lui.
Superati i Coboldi nelle catacombe del Monte del Tuono, il gruppo viene catturato: Covenant fa proprio quello che Kevin aveva detto e lo Spregiatore con il nuovo potere lo uccide. Il nemico è sicuro ormai di poter distruggere l’Arco del Tempo, ma non ha mai capito cosa è realmente l’oro bianco: come disse un tempo il Signore Mhoram a Covenant, è lui l’oro bianco. Covenant compare come Morto e lo Spregiatore si accanisce su di lui: avendo ora lui l’anello e usandolo su Covenant, è come se colpisse se stesso. E infatti lo Spregiatore finisce per distruggersi.
La Landa è salva, ma il processo di guarigione è lungo. Linden, venuto a mancare chi l’ha evocato, ha solo il tempo di affidare il nuovo Scettro della Legge (nato dalla fusione tra Vain, che ha funto da involucro, e Findail, che è Potere della Terra incarnato) alla Prima e Posapece, così che lo possano consegnare a Sunder e Hollian. Tornata sulla Terra, non può che costatare la morte di Covenant anche lì e affrontare quella che a tutti, tranne che a lei, appare come una follia collettiva mossa da isteria (la moglie di Covenant, dopo la morte del marito e la sconfitta dello Spregiatore, non è più preda della pazzia che si era impossessata di lei).
L’oro bianco chiude così l’avventura di Thomas Covenant (anche se negli anni duemila Donaldson ha realizzato altri quattro romanzi dedicati all’Incredulo, al momento mai arrivati in Italia), lasciando l’amaro in bocca, a differenza della prima trilogia che dava un piccolo spiraglio di luce; il male che ha colpito la Landa è stato fermato, ma non si sa se quel mondo si riprenderà. Covenant dopo averne passate di cotte e di crude, senza aver assaporato una gioia ma conoscendo solo dolori, muore. Linden ritorna sulla Terra lasciando dietro di sé morte e ritrovando ad attenderla morte. Anche se si fa presagire che la Landa si riprenderà, non si hanno certezze sulla sua avvenuta; alla fine della lettura rimane solo perdita. Non che questo sia negativo (anzi, è di certo molto meglio di tanti young adult che purtroppo hanno infestato la lettura odierna con adolescenti che senza capacità diventano all’improvviso salvatori dell’universo ma che si mettono a cigare (frignare) appena l’ormone gli si gira), però si sperava in qualcosa di più simile al finale della prima trilogia, anche se, analizzando il tutto, la scelta fatta da Donaldson è coerente con tutto quello che ha scritto.
L’oro bianco conclude degnamente questa seconda trilogia dedicata all’Incredulo, anche se, va detto, che per affrontarla occorre la giusta predisposizione d’animo.

L'assassino di corte

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L'assassino di corteRobin Hobb con L’assassino di corte riprende le avventure di FitzChevalier. Sopravvissuto al tentativo di omicidio da parte dello zio Regal (tentativo che avrà un prezzo alto, dato che perderà il primo cane con cui è stato legato e che il veleno con cui è stato colpito lascerà segni duraturi sulla sua salute), ma riuscendo a sventare il piano di eliminare Veritas, FitzChevalier ritorna a Castelcervo. La sua convalescenza è lunga, ma il suo sacrificio ha permesso a Veritas di sposare Kettricken, principessa del Regno delle Montagne, ottenendo così il prezioso legname per costruire le navi con cui combattere i Pirati Rossi. Dopo un iniziale successo contro il pericoloso nemico, le vittorie cominciano a diminuire: i pirati vengono avvistati tardi, le richieste di soccorso non arrivano, tutto quello che Veritas aveva messo in atto sembra aver smesso di funzionare. Così, in un ultimo disperato tentativo, il re in attesa decide d’intraprendere un lungo viaggio per trovare gli Antichi, che già in passato erano stati d’aiuto contro i pirati.
FitzChevalier, che lentamente si è ripreso, rimane a Castelcervo a vegliare su Kettricken e il bambino che porta in grembo, perché i piani di Regal per ottenere sempre più potere non sono finiti, anzi, s’intensificano sempre di più. E mentre combatte contro i pericolosi nemici che continuano ad assalire i villaggi della costa, si prende cura di un cucciolo di lupo (che diverrà suo fedele compagno) salvato da un avido mercante di animali, ha una relazione amorosa con la cara Molly (andata a lavorare nel castello dove anche lui vive), FitzChevalier ha a che fare con la dissolutezza di Regal, che impoverisce sempre più Castelcervo a favore dei ducati interni, di cui è originaria la madre defunta. Il malvagio zio, oltre a minare sempre più la credibilità dell’assente Veritas, a mettere in difficoltà e attentare alla salute di Kettricken, a usare gli addetti dell’Arte per controllare chi gli sta vicino, si spinge a eliminare lentamente suo padre, il re Sagace, avvelenandolo e prosciugando le sue energie tramite l’Arte. FitzChevalier, lasciato da Molly che lo accusa di essere troppo fedele alla corona, dopo aver visto spirare tra le proprie braccia il re, decide di mettere da parte sotterfugi e piani e decide di vendicarsi, riuscendo a uccidere i due addetti dell’Arte che hanno prosciugato l’energia vitale del re prima di essere catturato. Accusato di possedere la magia dello Spirito, viene torturato perché confessi la sua natura; aiutato da Umbra e Burrich, simulando la propria morte, a fuggire dalla prigione, Fitzchevalier è libero, anche se tutti lo credono morto.
L’assassino di corte, come il precedente volume, è coinvolgente e si fa leggere con piacere, ma ci si pone una domanda: com’è possibile che, nonostante abbia già dimostrato di cosa è capace nel primo romanzo, Regal sia lasciato agire indisturbato? Ha tentato di uccidere Veritas, Burrich, FitzChevalier, ha complottato impoverendo sempre più Castelcervo, da quando si prende cure del re Sagace la salute è sempre peggiorata: tutto quello che di negativo succcede nel regno si sa che è colpa sua e nessuno fa niente per fermarlo, tutti assistono immobili a quello che fa senza mai intervenire. Sotto questo aspetto, verrebbero da fare delle critiche a Robin Hobb per come ha caratterizzato l’antagonista e per come gli altri personaggi reagiscono. Poi si guarda la realtà e si vede che di Regal, nel mondo, in posizioni di potere, che complottano, fanno i fatti suoi a discapito degli altri e del proprio paese, ce ne sono stati e ce ne sono tanti, in primis l’Italia, che purtroppo ha avuto al comando per quasi vent’anni una figura che ha fatto esattamente quello che ha fatto il personaggio creato da Robin Hobb; e allora non ci si meraviglia più e passa la voglia di criticare: tutti i paesi hanno il proprio Regal. E di Regal ce ne saranno sempre.
Piccola nota a margine su L’assasino di corte: dopo Regal, che ha il titolo di personaggio più odioso della serie, non si può fare a meno di dare una menzione per antipatia a Molly.