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Il magazzino dei mondi 2

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Festa della Liberazione

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Il 25 aprile è la festa della Liberazione. Liberazione dell’Italia dal nazifascismo: la fine dell’occupazione nazista e la caduta del regime fascista. La Liberazione chiuse il capitolo del ventennio della dittatura fascista e quello di cinque anni di guerra che tanto danno e sofferenza hanno portato all’Italia.
Non è la festa della libertà, anche se può sembrare la stessa cosa.
Non è neanche la festa di tutti gli italiani, ma è la festa di chi ha lottato contro i regimi, combattendo per ciò che è giusto, ribellandosi contro regimi oppressivi che tanto male hanno portato.
Queste affermazioni, per qualcuno, possono sembrare un modo per dividere, ma sono una precisazione necessaria, perché c’è una destra, composta anche da quella parte contro cui si è combattuto, che cerca di cambiare i fatti, di riscrivere la storia. Ma così non è e bisogna ricordare di chiamare le cose con il loro vero nome: il 25 aprile è la festa della Liberazione. La festa di chi è insorto contro i regimi fascisti e nazisti e ha combattuto per rovesciarli dal potere (ed è fuori luogo e non è accettabile che in manifestazioni di questo giorni ci siano rappresentanze degli eserciti fascisti e nazisti).
Questo è il 25 aprile. Questa è la Liberazione.

25 aprile - Manifestazione di partigiani per le strade di Milano subito dopo la liberazione

Evangelion

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The end of Evangelion, uno dei film relativi alla famosa serie degli anni 90Neon Genesis Evangelion ha senza dubbio segnato l’animazione degli anni 90, cambiando il modo di vedere gli anime legati ai cosiddetti robottoni. Per quanto potessero essere gradevoli Ufo Robot, Mazinga, Daitarn III, le serie animate prima di Neon Genesis Evangelion avevano dei limiti sia di storia (il nemico alieno invasore che attaccava il Giappone) sia di credibilità (munizioni praticamente infinite); ci sono stati anime che si sono discostati da questo tipo di copione, basti pensare alla prima serie di Gundam e a Fortezza superdimensionale Macross, ma nessuno ha avuto un impatto così forte come Neon Genesis Evangelion. L’animazione ha avuto sicuramente la sua parte, ma ciò che ha contraddistinto veramente Neon Genesis Evangelion sono stati i tanti riferimenti religiosi amalgamati in una storia fantascientifica (gli alieni invasori sono Angeli, potenti entità dalle forme più strane e dalle motivazioni imperscrutabili) e la profonda introspezione dei personaggi.
Per chi non conoscesse la storia (l’anime, prodotto dallo studio Gainax, animato dalla Tatsunoko e sceneggiata e diretta da Hideaki Anno, è uscito nel 1996), in una terra futuristica distrutta da un evento catastrofico conosciuto come Second Impact, dei ragazzini vengono selezionati dalla Nerv per pilotare gli EVA (mecha giganti), gli unici capaci di affrontare e sconfiggere misteriose entità denominate Angeli. Oltre a una bella animazione, a degli scontri adrenalinici e drammatici, robot che non erano solamente macchine ma umanoidi artificiali giganti, c’era alla base del successo di Evangelion una regia convincente, con uno sviluppo dei personaggi interessante, ognuno con i suoi problemi. Il rapporto conflittuale di Shinji Ikari con il padre, capo della Nerv, agenzia militare nata per contrastare la minaccia degli Angeli. Il bisogno di risolvere i problemi esistenziali di Rei Ayanami, un clone di Yui Ikari, moglie di Gendō Ikari, voluto da quest’ultimo perché non ha saputo accettare la sua scomparsa (fusasi con l’EVA-01 durante un esperimento). Asuka Sōryū Langley, con un forte bisogno di autoaffermazione, ma anche con gravi ferite interiori dovute al comportamento di una madre instabile mentalmente prima e suicida poi.
La minaccia misteriosa, i progetti altrettanto misteriosi Adam e Perfezionamento dell’Uomo, mettono tanta carne al fuoco, e come spesso succede, ci possono essere solo due modi per concludere una storia così complessa: o si realizza qualcosa di grandioso oppure si finisce col creare insoddisfazione in chi ha seguito la storia. Purtroppo, con Neon Genesis Evangelion si è verificata la seconda possibilità, con un calo della qualità della grafica nell’ultima parte della serie e ritardi di produzione che hanno portato a raffazzonare la sua conclusione, lasciando molti misteri irrisolti e soprattutto tradendo le aspettative degli spettatori che hanno capito poco dove alla fine la storia voleva andare a parare. Un vero peccato, perché Neon Genesis Evangelion aveva gettato le basi per qualcosa di grandioso, ma era anche troppo complesso e con troppi riferimenti biblici e filosofici perché potessero ben amalgamarsi in una storia fantascientifica se non sviluppati con la dovuta cura.
La serie finì così male e in maniera così contestata che nel 1997 si decise di realizzare Death & Rebirth e The End of Evangelion, due lungometraggi che rifacevano le ultime puntate della serie. Non contenti di ciò, nel 2006 fu dato il via alla Rebuild of Evangelion, una tetralogia cinematografica che riproponeva parte della serie originale ma dandone poi un finale diverso. Se si deve essere sinceri, il risultato però è lo stesso: la storia parte bene, coinvolge, ma arrivati a un certo punto si perde e diventa di difficile comprensione. Il primo film, Evangelion: 1.0 You Are (Not) Alone, è abbastanza chiaro e segue abbastanza fedelmente la parte iniziale della serie tv. Pure il secondo, Evangelion: 2.0 You Can (Not) Advance, si mantiene su questa onda, benché venga immesso un nuovo personaggio (Mari), anche se da qui in poi le cose cominciano a cambiare. Il terzo, Evangelion: 3.0 You Can (Not) Redo, è davvero arduo da comprendere e lascia perplessi, non capendo bene cosa si è visto, anche se si conosce l’universo di Evangelion; le cose migliorano nella prima parte del quarto e ultimo film, Evangelion: 3.0+1.0 Thrice Upon a Time, ma non finiscono nel migliore dei modi e ci vuole un discreto sforzo per capire il tutto (viene da chiedersi se c’è bisogno di scatenare un conflitto di livello universale per arrivare alla comprensione interiore e all’accettazione di parti di sé. E ancora ci si chiede che cosa siano, da dove saltino fuori e cosa servino certi termini, come a esempio la Porta di Nabucodonosor).
Cosa dire di Evangelion? Si tratta di un mondo complesso, a tratti anche ben spiegato per quanto riguarda gli Eva e le loro funzionalità, ma che a un certo punto si perde per aver voluto osare troppo; personalmente apprezzo che si mettano degli elementi religiosi e di filosofia in una storia, ma questo deve essere fatto bene, in maniera misurata, qui invece il tutto viene amalgamato male, quasi come se fosse stato buttato lì senza costrutto. Davvero un peccato. Rimane tuttavia una pietra importante del mondo dell’animazione giapponese.

Quella casa nel bosco

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Quella casa nel boscoQuella casa nel bosco è probabilmente tra i film horror meglio riusciti degli ultimi anni. E si può dire che dia anche un tocco di originalità e novità a un genere che ormai si è fatto conoscere in tutte le salse, dallo splatter allo psicologico; volendo, lo si può definire una carrellata di tanti film già visti e anche un omaggio a essi. Ma non si può non notare anche l’ironia e lo strizzare l’occhio allo spettatore nel prendere in giro certi luoghi comuni. E si può dire che c’è anche una certa intelligenza di fondo nel farsi gioco della costruzione delle pellicole di questo genere, non limitandosi a voler cercare di spaventare lo spettatore e basta.
Quella casa nel bosco comincia in uno dei modi più classici: cinque universitari partono in camper per passare qualche giorno nella casa di un parente lontano dalla città. Avranno le informazioni su come raggiungerlo da un inquietante benzinaio. Fino a questo punto niente che non si sia già visto: i rimandi a Non aprite quella porta e La casa sono fin troppo evidenti. Ma a questo punto le cose cominciano a essere differenti, perché in una base segreta non si sa dove situata, un gruppo di tecnici sta seguendo i ragazzi con telecamere, manipolando le loro percezioni con l’uso di gas e scommettendo su quale scenario andranno a scegliere. Entrando in cantina (cliché del genere) e leggendo un vecchio diario, i cinque attiveranno lo scenario che li vede venire attaccati dagli zombie. Uno alla volta i ragazzi cominciano a morire, senza avere possibilità di scampo perché i tecnici fanno fallire ogni loro tentativi di salvarsi.
Dopo la morte del quarto ragazzo, i tecnici nella struttura segreta festeggiano per essere riusciti a completare il rituale, ma la loro esultanza svanisce quando scoprono che a sopravvivere non è stata soltanto la “vergine” (nei film horror è sempre lei a sopravvivere, anche se in questo caso, come verrà detto, ci si è dovuti accontentare per poter realizzare il rituale): anche il fattone del gruppo, che con l’uso delle droghe ha sviluppato una certa immunità ai gas usati su di loro, è sopravvissuto e ha trovato una stanza di controllo dove porta in salvo la ragazza. Da lì, con un ascensore arrivano alla struttura, dove sono contenuti in celle di vetro mostri di ogni tipo; per evitare di essere catturati dalle guardie, aprono le celle, e così inizia la mattanza. Sopravvivendo alla carneficina, i due scopriranno che loro, assieme ai tre amici morti, erano le vittime sacrificali per un rituale che avrebbe fatto continuare a dormire gli Antichi (un rimando a Lovecraft?), evitando così la fine dell’umanità; uno degli ultimi rituali in grado di farlo, dato che quelli provati nel resto del mondo erano tutti falliti. Il finale è tutto da vedere e non delude di certo.
Quella casa nel bosco è un ottimo prodotto horror, a suo modo divertente, cinico, che non nasconde una certa critica e riflessione sul mondo cinematografico. Da vedere.

The descent

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The descentThe descent è uno dei film horror degli ultimi vent’anni che merita di essere menzionato tra quelli meglio realizzati. Uscita nel 2005, è una pellicola claustrofobica, angosciosa, carica di tensione. La trama è molto semplice: ci sono tre amiche amanti dell’avventura e degli sport estremi. Dopo una discesa di rafting, una di loro ha un incidente d’auto dove perde la figlia e il marito. Un anno dopo, sperando di aver superato la perdita, si ritrova con le amiche e assieme ad altre tre donne decidono di esplorare delle grotte nelle montagne degli Appalachi, nello Stato di New York. Come tipico di ogni film horror, si capisce che le cose si stanno per mettere male perché, a differenza di quanto riferito inizialmente, Juno, la donna che ha organizzato l’esplorazione, ha scelto un complesso di grotte non esplorato, cui si aggiunge il fatto che prima della spedizione ai centri di soccorso sono state date errate indicazioni. Non bastasse ciò, il passaggio dal quale sono arrivate crolla e le sei si ritrovano bloccate sottoterra, costrette a muoversi in un ambiente sconosciuto per trovare una via d’uscita. Sembra esserci una speranza, dato che su una parete trovano dei graffiti che mostrano come ci sia una seconda via d’uscita. Ma presto cominciano a esserci dei rumori e dei movimenti strani e ben presto il gruppo capisce che non è solo dentro le grotte: sarà una discesa verso l’inferno.
The descent non è nulla d’innovativo, ma ha saputo ben amalgare gli elementi messi a disposizione: la paura del buio, il terrore dell’ignoto, la claustrofobia che generano gli spazio chiusi. Ma non è solo la tenebra sotterranea quella con cui avere a che fare: c’è anche quella interiore, che rivela, nei momenti più drammatici, la parte oscura dell’uomo. E allora non c’è più salvezza, per nessuno, solo una discesa negli abissi interiori.
Il film regge per tutto il tempo e non delude mai la tensione, con un finale che ben si addice a tutto quello creato durante l’ora e mezza che lo precede, tra i più convinventi tra le tante pellicole realizzate dal Duemila in poi.

A quiet place II

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A quiet place IIA quiet place II, benché fatto bene, non è al livello del precedente e la ragione è una sola: non si può usare lo stesso espediente narrativo, dato che può funzionare la prima volta e basta. Ormai si sa con cosa si ha a che fare e quindi non si può avere la stessa tensione: le creature che hanno decimato la popolazione terrestre sono state mostrate e benché siano sempre pericolose, si sa come affrontarle, il che toglie un poco di suspence. Anche il lungo flash back iniziale, che mostra degli oggetti in fiamme che precipitano sulla Terra e immediatamente la piccola cittadina in cui vivono i protagonisti che è attaccata da questi alieni corazzati, molto forti e potenti, non riesce a dare lo stesso pathos che si aveva quando il nemico che bracca gli umani si non era mostrato.
Dopo quanto visto all’inizio, il focus della vicenda ritorna sulla famiglia Abbott che, dopo aver perso Lee e aver sconfitto le creature che li stavano braccando, si ritrova senza rifugio, visto che la fattoria è in fiamme dopo lo scontro con gli alieni. Evelyn, Marcus, Regan e il nuovo nato si dirigono alla ricerca di nuovi sopravvissuti, ma Marcus finisce in un tagliola e le sue urla attirano una creatura, che viene eliminata con il metodo scoperto da Regan: trasmettere attraverso un microfono e un altoparlante il rumore prodotto dai feedback audio ad alta frequenza generati dal suo impianto cocleare così da costringere gli alieni ad aprire la bocca, l’unica parte debole del corpo che può essere danneggiata, in modo da poter colpire il cervello ed eliminarli. Un’altra creatura però è in agguato e li insegue fino a una vecchia acciaieria abbandonata: lì vengono soccorsi da Emmett, un amico di Lee che li accoglie nel rifugio che lui e la moglie, ormai morta, usavano per nascondersi dalle creature. Mentre sono lì riescono a sentire una canzone alla radio (la valle dove vivevano schermava il segnale) e Regan capisce che essa è un messaggio: ci sono dei sopravvissuti su un’isola oltre alla costa. Le viene l’idea che attraverso la radio può trasmettere la frequenza dannosa per gli alieni in modo da poterli combattere; decide così di partire da sola, ma viene raggiunta da Emmett dopo che Marcus ha avvisato gli altri del suo piano.
Dopo aver sconfitto un’altra creatura ed essere sopravvissuti all’attacco di umani selvaggi, su una barca raggiungono l’isola rifugio: lì hanno conferma che le creature non sanno nuotare, dopo averlo visto coi loro occhi, e per questo la guardia nazionale aveva fatto spostare quante più persone possibili sulle isole. Purtroppo, uno degli alieni è salito su uno yacht del porto e raggiunge l’isola, cominciando il massacro. Regan ed Emmett riescono a raggiungere la stazione radio e attuare il piano della ragazza, giusto in tempo per salvarsi e salvare anche Evelyn e gli altri due figli rimasti nella fonderia: la frequenza trasmessa dall’apparecchio posseduto da Marcus ferma giusto in tempo l’alieno che li stava per uccidere. Sia lui che Regan eliminano i rispettivi assalitori.
Finisce così A quiet place II, facendo capire che ci sarà un seguito alle vicende con gli alieni, con la salvezza che viene dai bambini.
La pellicola nel complesso non è male, anche se fa un po’ specie che gli alieni super cazzuti ora, con il giusto rumore, possono essere eliminati con una semplice sprangata; certo è meglio di altri film horror recenti, ma A quiet place II non riesce a essere al livello del predecessore.