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L’inizio della Caduta

 

Jonathan Livingston e il Vangelo

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L’Ultimo Demone

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L’Ultimo Potere

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Strade Nascoste – Racconti

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Il magazzino dei mondi 2

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Brîsa ciapér pr al cûl

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Se si dovesse scrivere un pezzo su tutte le volte che potenti o chi governa prende in giro, questa rubrica avrebbe raggiunto in breve tempo la tripla cifra: ogni giorno ce n’è una. Se non lo si fa, è perché si preferisce impiegare il tempo per scrivere altro, perché la gente preferisce leggere cose leggere e non occuparsi della realtà, o perché si è talmente nauseati dalle cose che si preferisce evitare perché si andrebbe sul pesante nello scrivere.
Ma far notare un paio di cose non guasta.
Prendiamo il caso voucher. Fatta la legge che li vieta perché in tanti protestavano per quella che era una vera e propria piaga e per evitare un referendum che si sarebbe perso, in camuffa si è escogitato un modo di, dopo averli fatti uscire dalla porta, farli rientrare dalla finestra. La cosa vuol essere fatta passare per diversa, ma è sempre la stessa.
il caso delle monete da 1 e 2 centesimi: un altro pezzo per la rubrica Brîsa ciapér pr al cûlPrendiamo poi il caso delle monete da uno e due centesimi. Dal primo gennaio 2018 sarà sospeso il loro conio e sarà previsto un arrotondamento al multiplo di cinque più vicino se si paga in contanti; quindi, se una cosa costa 7.99 E sarà fatta pagare 8 E, se costerà 5.56 o 5.57 E sarà fatta pagare 5.55 E; è assicurato che il Garante sorveglierà su eventuali anomalie. Essendo però in Italia e abituati alle furbate del nostro paese, oltre che a pensar male si fa peccato ma ci si azzecca sempre, si teme già di sapere come andrà a finire: tutto verrà arrotondato per ottenere il prezzo più alto, quindi un 5.56 E diventerà un 5.60 E. Se non lo si è ancora capito, questo è uno dei tanti modi escogitati dal governo di turno per spillare soldi alle persone. Sapete quanto si tirerà su così facendo? Parecchio, altrimenti non sarebbe passata una norma del genere. In fondo siamo nell’Era dell’Economia, di che cosa ci si meraviglia? Per lo meno si avesse il coraggio di dire “sì, vogliamo più soldi da voi, non ci date ancora abbastanza, vogliamo di più, sempre più, fino a prendervi tutto”. E invece…
Come sempre: brîsa ciapér pr al cûl!

La luna tra gli alberi

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La luna tra gli alberi

La timidezza del riccio

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La timidezza del riccio

Norwegian Wood

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Norwegian WoodNorwegian Wood di Haruki Murakami, è un romanzo intenso e delicato, un romanzo di crescita che affronta temi come la malattia (fisica e mentale) e la morte (specie il suicidio), ma lo fa in maniera non pesante, seppur dandogli il dovuto rispetto che si meritano. Scritto nel sud dell’Europa, è stato iniziato il 21 dicembre 1986 in una villa di Mykonos in Grecia ed è stato terminato il 27 marzo 1987 in un appartamento alla periferia di Roma (1); tra le varie note dell’autore, c’è la dedica a tutti i suoi amici che sono morti e leggendo il romanzo non si può non notare, come già accennato all’inizio, che la morte sia una delle protagoniste della storia. La cosa può sembrare cupa, ma se ci si pensa, non si può parlare di vita senza parlare della morte, perché fa parte di essa, è un elemento che prima o poi tocca a tutti, e che tutti in un modo o nell’altro incontrano; pensare diversamente sarebbe qualcosa di sciocco, un voler chiudere gli occhi e cacciare la testa sotto lo sabbia. Per quanto la si possa ignorare, prima o poi farà la sua comparsa, e lo farà all’improvviso, oppure si farà annunciare da lontano, permettendo così di prepararsi al suo incontro, anche se in verità, per quanto ci si prepari, non si sarà mai pronti.
Questa è una delle realtà che Watanabe incontra nel passaggio da adolescenza a età adulta, in un periodo in cui cerca un senso alla sua vita, una direzione da seguire; il suo è un cammino instabile, come lo era il periodo in cui viveva, quello della fine degli anni ’60. Un periodo di cambiamenti, dove tutto pareva possibile, dove le cose potevano essere modificate e andare per il meglio se lo si voleva; un periodo che era pervaso dal sogno, ma che poi ha portato a un brusco risveglio, mostrando la cruda faccia della realtà. In un lungo flashback fatto all’età di trentasette anni, Watanabe ripercorre quel periodo della sua vita cercando di fare ordine nei suoi pensieri, fare chiarezza con quello che è accaduto. Tutto inizia con lui e Naoko, la fidanzata del suo migliore amico, che prendono a frequentarsi dopo la morte di quest’ultimo; entrambi sono appena entrati all’università (lui vive in un collegio maschile, lei in un appartamento) e iniziano una relazione non facile, dovuto alle difficoltà che la ragazza incontra sempre di più nel comunicare e nel pensare. A un certo punto lei sparisce e Watanabe per diverso tempo non ha sue notizie, fino a quando non gli giunge una sua lettera nella quale gli spiega che è ricoverata in una clinica tra le montagne per ritrovare il proprio equilibrio; la va a trovare e, grazie anche all’appoggio di Reiko, una donna che lavora nella clinica, comincia a prendere coscienza dello stato di Naoko. Nel mentre cerca di portare avanti gli studi universitari, anche se lo fa per inerzia, frequentando saltuariamente altre ragazze che incontra grazie al compagno di collegio Nagasawa; fino a quando nella sua vita non entra Midori, una ragazza che frequenta un suo stesso corso. E lui trova i suoi pensieri divisi tra queste due ragazze, che sono all’opposto. Una fragile e una forte, una introversa e una estroversa. Watanabe prova forti sentimenti per entrambe, ma non sa quale scegliere tra le due. Sarà la vita a farlo per lui.
Norwegian Wood (che prende il nome da una canzone dei Beatles e si riferisce alle atmosfera malinconiche che la musica crea) è uno dei romanzi più intensi di Murakami, quello che ha lasciato una traccia profonda nel modo di scrivere dell’autore giapponese e che verrà ritrovata nelle sue opere successive (basti pensare a A sud del confine, a ovest del sole e L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio). Un romanzo da leggere.

1. Norwegian Wood. Haruki Murakami. Einaudi Super ET 2013, pag. 376

Crystal moon

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Crystal moon

Il Libro Malazan dei Caduti

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Il Dio Storpio, decimo volume della serie Il Libro Malazan dei CadutiIl Libro Malazan dei Caduti di Steven Erikson è una serie fantasy di dieci romanzi iniziata nel 1999 con I Giardini della Luna e conclusa nel 2011 con Il Dio Storpio; questo per quanto riguarda il percorso della versione originale. Quello della versione italiana è stato più travagliato: è iniziato nel 2004 con il primo romanzo della saga, per poi interrompersi nel 2013 con la pubblicazione della prima parte di I Segugi dell’Ombra, l’ottavo libro, a causa del fallimento della casa editrice che pubblicava la serie, il Gruppo Editoriale Armenia. Dopo un periodo d’incertezza, dove si era temuto che non si giungesse a conclusione della traduzione, la casa editrice che lo pubblicava è stata acquisita dal gruppo editoriale Il Castello ed è tornata con il nome di Armenia; nel 2015 è ripresa la pubblicazione della saga Malazan: oltre a I Segugi dell’Ombra, questa volta in forma completa, sono stati riproposti anche i precedenti sette volumi nella nuova edizione.

Questo è l’inizio dell’articolo da me realizzato su Il Libro Malazan dei Caduti per Letture Fantastiche. Il pezzo esamina sia la realizzazione cartacea dei vari volumi, sia la cura editoriale del testo, nonché, naturalmente, il lavoro dello scrittore canadese. Il pezzo è stato realizzato per permettere a chi non si è ancora avvicinato alla saga Malazan di conoscerla meglio e così farsi un’idea se iniziare un lungo cammino di lettura. Sono stati esaminati i punti di forza dell’opera, si è cercato di cogliere lo spirito della serie senza fare spoiler; inoltre sono stati messi dei brani estratti dai vari libri per far vedere a chi non conosce il lavoro di Erikson lo stile usato.
Perché fare un articolo del genere quando in tanti hanno già parlato della saga di Erikson e ci sono dei forum dedicati solo a essa?
Uno, perché la saga è piaciuta; non fosse stato così, non l’avrei conclusa, ma l’avrei lasciata qualora non mi avesse soddisfatto.
Due, perché la saga merita di essere conosciuta, visto quello che sa dare.
Tre, per dare un supporto a chi non ha le idee chiare. I lettori meritano rispetto perché in un libro investono tempo e denaro (se lo acquistano e non lo prendono in biblioteca): elementi entrambi preziosi, che non vanno sprecati, visto in questo caso la quantità di essi richiesta.
A questo punto non mi resta che augurare buona lettura a chi vorrà addentrarsi nel mondo di Il Libro Malazan dei Caduti.

Doppio arcobaleno

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doppio arcobaleno

Non è più questione di sport 3

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Ormai si è andati ben oltre l’ambito dello sport, sconfinando nell’assurdo.
Oltre agli scandali sulle scommesse, su partite combinate e altre cose per niente pulite, tocca assistere alle azioni di parti delle tifoserie veramente becere. Scontri con feriti, alle volte con morti, minacce a società e giocatori, auto bruciate, come è capitato al presidente del Pescara. O, cosa di questi giorni, le frasi ingiuriose ai caduti di Superga o i manichini di giocatori della Roma impiccati nei pressi del Colosseo con tanto di minacce al seguito (azione rivendicata dagli Irriducibili laziali; allucinante la loro risposta a quanto fatto: “Meravigliati e stupiti da tanta ottusità, dal sensazionalismo misto all’allarmismo che anima il giornalismo italiano. Il tutto va circoscritto al sano sfottò che genera il derby capitolino. Nessuna minaccia a nessun giocatore della Roma, le bambole gonfiabili rappresentano una metafora che vuole rimarcare lo stato depressivo in cui versano tifosi e giocatori dell’altra sponda del Tevere”. Fa pensare anche la risposta della società Lazio: “Una ferma condanna di ogni forma di violenza, fermo restando che da sempre dopo ogni derby ci sono sfottò ed episodi goliardici”, ovvero il tipico esempio italiano di non prendere posizione e pararsi le spalle). Per non parlare dei cori razzisti rivolti ai giocatori di colore. E qui c’è qualcosa che stride parecchio.
le proteste di Muntari all'arbitro per i "buuuu" razzisti: quando lo sport non è più taleQuesti cori vanno perseguiti sempre e comunque, purtroppo in Italia questo non avviene: si applica il due pesi due misure. Nelle stessa giornata di campionato di calcio, i “buuuuu” rivolti a Koulibaly (giocatore del Napoli) da parte della tifoseria interista sono stati puniti con 10.000 € di multa all’Inter, un turno di chiusura della curva Nord e un anno di sospensione della stessa per cori razzisti; i “buuuuu” rivolti a Muntari (giocatore del Pescara) da parte della tifoseria cagliaritana, non hanno subito nessuna punizione, anzi società e tifosi del Cagliari sono stati assolti. Non bastasse questo, ecco la ciliegina sulla torta. Muntari, giustamente a un certo punto della partita ha detto basta ai continui insulti verso di lui per il colore della pelle e ha protestato; la partita andava sospesa. Invece l’arbitro, prima lo ha ammonito per le proteste, poi lo ha espulso perché si è allontanato dal campo di gioco. Il fatto non è rimasto nei confini nazionali, ma ha fatto il giro del mondo, facendo intervenire anche l’ONU. Di fronte a tutto ciò, il nostro paese non ha potuto esimersi di fare la sua solita magra figura: le istituzioni hanno difeso l’operato dell’arbitro e del giudice sportivo per aver dato al giocatore un turno di squalifica, asserendo che queste sono le regole del calcio italiano e vanno rispettate. Salvo poi annullare la squalifica viste le proteste che giungevano da tante parti del mondo.
La cosa è altamente grottesca, dato che il nostro paese, come dimostrano innumerevoli casi, dal piccolo al grande, è tra quelli che più infrange le regole e meno le rispetta. Aggrapparsi ai regolamenti e dire che vanno seguiti dinanzi a casi di una simile gravità, sono una grossa presa in giro, una totale mancanza di rispetto e un grande schiaffo alla dignità umana. Un simile sistema non fa che dimostrare quanto ormai tutto sia marcio e come le istituzioni non faccio altro che prendersi gioco delle persone, decidendo quando e come applicare le regole.

Antica cultura

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Il Partenone di Atene, magnifico esempio dell'antica cultura grecaLa cultura dell’antica Grecia è affascinante, oltre che ricca, e ha dato un contributo notevole ad architettura, scultura, pittura, tragedia, commedia, filosofia, mitologia, politica. Un’influenza che si è fatta sentire non solo per quanto riguarda il passato, ma anche nel presente, basta vedere quanto i miti su dei ed eroi hanno contribuito negli studi di psicologia; per chi segue il genere fantastico, non possono essere sfuggite le opere letterarie di Rick Riordan dedicate a Percy Jackson o i film che hanno visto come protagonisti Perseo (Scontro tra Titani e La furia dei titani), Teseo (Minotaur), Ercole (Hercules: Il Guerriero e Hercules. La leggenda ha inizio) (questo per citare solo le pellicole più recenti).
Personalmente il mondo dell’antica Grecia mi ha colpito e affascinato fin da quando l’ho conosciuto ai tempi delle elementari. Inutile dire che da bambino quello che mi coinvolgeva di più erano le storie degli eroi e degli dei: come non farsi prendere dalle scappatelle di Zeus, dalle imprese di Ercole, Teseo e Perseo, dalla guerra di Troia, dal lungo viaggio di Ulisse. Per non parlare delle guerre con i Persiani, delle strategie usate per fermarli, degli atti di eroismo (basti pensare a Leonida) e di come i greci riuscirono a fermare una forza numericamente superiore alla loro. Crescendo ho saputo poi apprezzare la filosofia, il teatro, elementi che richiedono più tempo, sono meno immediati specie per un bambino; l’architettura, come i miti, mi ha invece preso fin da subito. Nelle linee delle statue, delle colonne e dei capitelli di templi e palazzi, c’è qualcosa che mi ha sempre colpito: sicuramente c’è bellezza, grandezza, ma anche qualcosa che comunica a livello inconscio, che fa riecheggiare di cose che vanno oltre il conosciuto, che sanno di epicità, di scoperta, di mistero. Non posso non pensare alla magnifica Acropoli di Atene, con il Partenone, l’Eretteo, i Propilei, il tempio di Atena Nike; è stata proprio la bellezza di questo luogo, la sua grandezza, il suo essere simbolo di una cultura ricca di saggezza e sapienza, che mi ha ispirato nel creare l’antico luogo dove Ariarn, Periin, Reinor, Ghendor e Lerida giungono nel loro lungo viaggio alla scoperta di che cosa sta colpendo le regioni da dove provengono. Un luogo che lascerà un segno importante sia in loro, sia nelle vicende della storia.

 

La comparsa di uno squadrato pezzo di marmo in mezzo all’erba, seguito dopo pochi passi da un altro, li colse di sorpresa. Qualche metro ancora e si ritrovarono a camminare su un lastricato bianco, che si snodava sinuoso costeggiando i verdi boschetti della vallata. Piedistalli diroccati sorgevano in prossimità delle svolte del sentiero.
Il viale lastricato, accompagnato dal profumo di fiori di campo, arrivò a una scalinata: i resti di bianche mura mostravano il perimetro di ciò che era stato un ampio e vasto complesso architettonico. Della grandiosità di un tempo rimaneva solo macerie coperte da edere.
Era un luogo abbandonato, ma vi aleggiava un’atmosfera di pace, come se la presenza di quanto era stato non se ne fosse andata, continuando a permearlo.
La curiosità e il fascino del luogo fecero salire gli scalini scheggiati. I pilastri, un tempo sostegno ai cancelli d’ingresso, splendevano nel loro candore; i resti dell’arco che univa le due colonne erano sparsi nello spiazzo che si estendeva davanti ai cinque.
Guardandosi intorno come bambini in una casa nuova, arrivarono di fronte a un piedistallo alto due metri, dall’ampia base, l’attenzione attirata dalla placca metallica posta sulla sua facciata: i rampicanti non erano saliti sulla sua superficie, risparmiata dalla ruggine e dal trascorrere delle stagioni; solo una leggera patina oscurava la brillantezza della lastra, lasciando leggibili i simboli che vi erano incisi.

«Dev’essere stato splendido quando la gente viveva qui» disse Lerida. «Sarei curiosa di sapere com’era questo luogo quando era intatto.»
«Sarebbe interessante avere il tempo di studiare questi reperti: dall’antichità si rivelano cose sorprendenti, pezzi mancanti della storia che permettono di capire meglio il presente» disse Ghendor camminandole accanto. «Secondo studi archeologici, le zone dei santuari avevano una disposizione predefinita. Vicino ai cancelli si trovavano le sale per dare accoglienza ai pellegrini; accanto a esse erano situati gli edifici del personale che si occupava dei servizi per persone e strutture» si voltò a guardare indietro. «Il grande spiazzo appena superato era la piazza dove la gente s’incontrava per discutere e rilassarsi all’ombra delle piante. Nei nostri tempi non si usa quasi più, ma nell’antichità non c’era solo la parola e la scrittura per insegnare la morale, l’etica o altro: erano usati quadri, melodie, rappresentazioni teatrali. I piedistalli che abbiamo incontrato erano supporti di statue: aiutavano le persone a riflettere e a capire meglio quello che erano venuti a cercare in questo luogo. Non so se sei stata a Nhal: nel tempio della città c’è un antico dipinto che ha la stessa funzione. Questa metodologia non è stata portata avanti e si può affermare che rispetto al passato abbiamo fatto un passo indietro. Quel periodo può essere ritenuto un’età dell’oro, una fonte immensa di saggezza, dove da tutto si poteva imparare qualcosa; gli artisti in quell’epoca avevano gran rinomanza e un certo peso anche nell’insegnare. Ora tutto è sulle spalle dell’Ordine, con qualche sporadico aiuto degli atenei» fece cenno davanti a sé. «Qui sorgevano le biblioteche, cui ognuno poteva accedere.»
Seguendo il lastricato passarono accanto a un bosco che s’insinuava in profondità nell’area delle rovine. Superata la massa verde, lo spettacolo che li accolse tolse il fiato.
Baciata dai raggi del tramonto, la struttura che si stagliava contro il cielo pareva prendere fuoco: il tempio più grande che avessero visto. Persino nella rovina mostrava la sua magnificenza.
Possenti e slanciate colonne salivano alla volta azzurra, lo slancio interrotto dalla natura che le aveva spezzate. Il frontone, riccamente abbellito da bassorilievi di vita silvestre, mostrava una suggestiva rappresentazione dell’esistenza al tempio: cavalieri, portatori d’acqua e offerte, fanciulle intente in danze e canti, saggi anziani con libri aperti nelle mani, bambini che giocavano con animali.
Seguendo il sentiero alberato arrivarono a inerpicarsi sulla scalinata del muraglione che faceva da base al tempio, procedendo in uno stretto passaggio che portò a un piccolo ingresso a colonne, quasi un tempio minore che annunciava l’arrivo in quello più grande. Superatolo, si trovarono davanti ai resti del recinto del tempio: le aggraziate aste di metallo, assieme al cancello, erano a terra contorte e corrose dalla ruggine.
Ammirati dalla bellezza decadente, superarono l’ingresso non più chiuso da portoni, camminando sul pavimento pieno di sottili crepe: lungo la sua superficie erano disseminati i ruderi dei muri e del tetto; sprazzi di colore sulle pietre erano fantasmi di mosaici e dipinti.
Statue, panche, candelabri, accessori per il culto: tutto era svanito. Sul fondo restava il basamento dell’altare e alle sue spalle l’unico muro ancora in piedi. Gli ultimi strali di luce filtrarono sui resti del santuario prima di smorzarsi e lasciare il passo all’incedere della notte.