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Il Dio Storpio

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Il Dio StorpioIl Dio Storpio è il decimo e conclusivo romanzo della serie Il Libro Malazan dei Caduti scritta da Steven Erikson. Dopo una lunga e travagliata storia per quanto riguarda l’edizione italiana (dove si era temuto che non si giungesse a conclusione della traduzione, rimanendo fermi a metà dell’ottavo volume), nell’autunno del 2016 i lettori dell’italo paese di questa saga monumentale hanno potuto leggerne la conclusione. In un panorama nazionale dove il fantasy è ritornato a essere di nicchia dopo il boom degli anni passati (di questo passo indietro si deve ringraziare la mancanza di preparazione e conoscenza dell’editoria nazionale, oltre al desiderio sfrenato di fare il più possibile soldi per poi passare al successivo genere di moda da dissanguare, ma una parte di colpa l’hanno avuta anche i lettori che, come gli editori, seguono l’onda del momento, senza fermarsi a riflettere per discernere il meritevole dal mediocre), va dato merito alla nuova Armenia di aver voluto continuare a puntare su un prodotto valido ma non facilmente commerciabile. Per fare questo si sono dovuti fare dei compromessi: per avere un buon prezzo (19 E per tomi da 1200 e passa pagine) e le belle copertine originali, la realizzazione del cartaceo non è potuta essere all’altezza dell’edizione precedente, con qualità di carta e rilegatura di livello decisamente inferiore. Inoltre, il poco tempo a disposizione prima della stampa non ha permesso di fare un lavoro curato a livello di editing che un’opera di questo livello meriterebbe: in poche settimane non si può revisionare totalmente un libro di così tante pagine, occorrerebbe molto più tempo. Va notato tuttavia che in Il Dio Storpio, come in La polvere dei sogni, il numero degli errori è molto inferiore rispetto ai precedenti otto della nuova edizione (nella vecchia, andando a memoria, ce n’erano meno).
Questa attesa e questo sforzo nel dare conclusione alla traduzione italiana del mondo Malazan ne sono valsi la pensa?
Sì.
Rimangono dei punti non sviluppati e non portati a conclusione, lasciando delle porte aperte, perché tanti sono i personaggi e le vicende in gioco, e probabilmente avranno spazio in altri lidi, ma le trame principali vengono portate a termine e si riesce ad avere spiegazione di quel grande intreccio che è Il Libro Malazan dei Caduti. Erikson crea una gigantesca convergenza dove si riescono a capire l’agire di tanti personaggi e le loro motivazioni. Piani vengo rivelati, verità sono mostrate. Dei scendono in campo, potenze inimmaginabili sono scatenate. Battaglie disperate, gesti eroici, sacrifici estremi. Il Dio Storpio è un libro di una guerra combattuta su più piani, con svariati fronti e fazioni, ognuna delle quali ha un proprio fine da portare avanti. Finalmente si riesce a capire realmente chi è colui che dà il nome al romanzo e che è stato al centro delle vicende narrate per dieci libri, attorno al quale si può dire ha girato tutto. Dopo jaghut, k’chain che’malle, imass, tiste andii, tiste liosan, tiste edur, fanno la loro comparsa i forkrul assail, una nuova razza che vuole importare e imporre il suo ordine estremo sulle altre popolazioni.
Steven Erikson è stato bravo nel dare conclusione a una saga monumentale senza essere ripetitivo o allungando il brodo: Il Dio Storpio, rispetto a La polvere dei sogni, non si dilunga nel filosofare dei personaggi (all’apparenza distogliente dal fulcro delle vicende, in realtà molto utile), ma mantiene un buon ritmo e gli scontri di certo non mancano. Questo non significa che sia privo di momenti di riflessione, d’interiorità, com’è tipico di Erikson:  ce ne sono e sono sempre all’altezza. Ma essendo all’atto finale, com’è logico che sia, è l’azione che deve essere protagonista; i piani, la preparazione: il loro tempo è passato e occorre mettere le carte in tavola (a proposito di carte, è affascinante quello che viene fatto con il Mazzo dei Draghi, ma che esso colpisse e fosse una delle cose meglio riuscite di Erikson, per chi ha letto la saga, non c’era bisogno di dirlo). Ed Erikson lo fa veramente alla grande, scatenando tutte le forze possibili. Finalmente si capisce la ragione delle scelte di Tavore e una rivelazione che la riguarda rende veramente d’impatto un agire che, per essere di tale portata, doveva avere una motivazione notevole.
E per chi ha seguito tutta la saga, non può che essere un piacere il ritorno in scena di un certo personaggio, molto conosciuto tra le schiere Malazan; come non si può non essere toccati dal finale riservato a un altro grande personaggio dei Malazan.
Il Dio Storpio è un romanzo epico: su questo non ci sono dubbi. Si hanno invece dubbi sul poter ricordare nel dettaglio tutte le cose narrate in precedenza, anche avendo fatto una rilettura recente dell’intera saga (ma non avendo preso appunti), perché è davvero tanto quello che è accaduto. Il mondo creato da Erikson è ricco di personaggi, ognuno con una propria storia e una caratterizzazione profonda e particolareggiata; per non parlare delle tante razze cui lo scrittore canadese ha dato vita, della storia che le lega tra loro. Come dimenticarsi dei tanti dei i cui poteri agiscono sul mondo; dei Canali e delle Fortezze e di come, giunti a questo punto, sia più comprensibile la loro natura, quando, per diversi libri si faticava a comprendere appieno cosa fossero per davvero (in I giardini della Luna ci si trovava da subito ad avere a che fare con essi senza capirci nulla, ma si sa, a Erikson non piace dare la pappa pronta: le risposte bisogna sudarsele, bisogna scavare a lungo per trovarle); del passato di un mondo ricco di misteri.
Il Dio Storpio è la degna conclusione di una saga meritevole di essere letta; non certo la più semplice e immediata, ma che sicuramente non lascia delusi per la sua profondità e ricchezza. Senza togliere che, in una storia epica e drammatica, non mancano momenti di grande ilarità e divertimento, capaci di far sorridere e ridere di gusto

 

La Ruota del Tempo: la serie tv

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La famosa saga La Ruota del Tempo di Robert Jordan avrà un adattamento televisivo: sarà la Sony a produrla con Red Eagle Entertainment e Radar Pictures. Visto il successo mondiale negli anni di questa serie fantasy e quello di altre serie televisive appartenenti allo stesso genere, la cosa non sorprende. Il grande successo di Il Trono di Spade tratto dai romanzi di George R.R.Martin ha sicuramente fatto volgere lo sguardo ai vari produttori verso storie di stampo fantasy e La Ruota del Tempo non è stata certo l’unica. A prescindere dai gusti personali e da certe scelte di sceneggiatura che si discostano dall’originale, si deve riconoscere che la cura dell’HBO per la realizzazione di Il Trono di Spade è stata molto buona: ottima recitazione, molto belli fotografia, ambientazioni, costumi. Ma se per questa serie il giudizio è positivo, non altrettanto si può dire per le serie dedicate a La Spada della Verità di Terry Goodkind e Shannara di Terry Brooks. Troppo presto per dare un giudizio (e fasciarsi la testa) su qualcosa di cui non si sa ancora nulla, ma il timore della riuscita dell’adattamento di una serie che conta quindici libri, c’è. Oltre che per i tagli che dovranno essere fatti sulla storia perché molto lunga (a meno che non si facciano almeno una ventina di stagioni), si teme per un certo tipo di sfumature che potrebbero essere date a sceneggiatura e personaggi.
A cosa ci si riferisce?
Ma al sesso, naturalmente.
Oramai, anche quando non c’è, il sesso lo mettono dappertutto; è vero che anche in La Ruota del Tempo è presente, ma nei romanzi viene fatto capire, non mostrato in tutto il suo fulgore.
Visto l’andazzo attuale, non sarebbe una cosa tanto peregrina vedere un Rand mandrillo di prima categoria, un Matt che perde la testa appena vede una gonna e i Reietti dei pervertiti dediti al sadomaso (:D ). Per non parlare delle Aes Sedai: sinceramente sarebbe meglio non vedere qualcosa come la scena mostrata nell’immagine (*) qui sotto 😉

Wolverine vs. The X-men usato per ironizzare sulla serie tv su La Ruota del Tempo

 

 

 

* l’immagine è tratta dalla storia a fumetti del 2011 Wolverine vs. the X-Men scritta da Jason Aaron e disegnata da Daniel Acuna.

Chiaroscuro

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Chiaroscuro

Calcio e politica: che cosa hanno in comune?

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Calcio e politica: che cosa hanno in comune?
Calcio e politica: cosa hanno in comune (nella foto: Paolo Sollier, figura che unì tifo e politica)In apparenza poco o nulla, ma se ci pensa, più cose di quel che può sembrare.
Innanzitutto, entrambi hanno inflazionato il mercato. Giornali, trasmissioni televisive, social: non fanno che parlare di essi in ogni salsa. Calcio e politica vengono sviscerati da ogni punto di vista, se ne parla per ore, divenendo una cosa ossessiva, esasperando e scaldando gli animi in discussioni accese, che fanno crescere in chi le guarda l’aggressività. Si provi a osservare una discussione vertente su uno di questi due argomenti e si noti come lo stato d’animo muti, cominciando ad avvertire stati di tensione, d’ansia: se non si sta attenti, se non si tengono sotto controllo le emozioni generate, ci si trova con l’animo alterato, suscettibile a certe reazioni; se si è da soli succede poco o niente (si è solo un po’ agitati), ma se ci si trova in luoghi con altre persone, far scoccare la scintilla di cose poco piacevoli è tutt’altro che improbabile. Una cosa è sicura: questo parlare in continuazione di calcio e politica ha stancato, è qualcosa che è diventato nauseante.
In entrambi circolano ingenti quantità di denaro: gli interessi economici legati a questi ambienti sono veramente notevoli. Non è per niente un caso che in tanti cerchino di entrare in questi due mondi e in ancora di più vi gravitano attorno cercando di succhiare da essi il più possibile.
Naturalmente, quando ci sono tanti soldi in ballo, non ci si fa tanti scrupoli e si ricorre a qualsiasi mezzo pur di accaparrarsi un fetta della torta, possibilmente la più grossa possibile (non importa se poi è troppo grossa e fa strozzare). E naturalmente, sia per il calcio, sia per la politica, la trasparenza non è certo un elemento che li contraddistingue. Tutti lo sanno, ma la maggior parte rifiuta di ammetterlo perché ha da difendere degli interessi legati a questi due mondi. Compromessi, omertà, aggirare le regole, il più influente che le piega al proprio volere. Ormai è palese che ci sono troppe cose storte, i fatti sono talmente evidenti che è impossibile non vederli; eppure si continua ad andare avanti come se niente fosse. Calcio e politica sono ormai diventati l’icona del compromesso, del far finta di niente e dell’andare avanti perché si pensa che vada bene così. Invece non va bene per niente e prima o poi ce se ne accorgerà. Ma sarà troppo tardi.

Buona Pasqua

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Pasqua, per chi è credente cristiano, è la festa della Resurrezione di Gesù, un simbolo di rinascita. Una rinascita in questo caso fisica, ma che sta a rappresentare un rinnovamento dello spirito, che va tradotto in un diverso modo di vivere, di pensare.
Anche per chi non è credente la Pasqua può essere un simbolo di rinascita, dato che viene festeggiata sempre in primavera ed è proprio in primavera che la natura rinasce e ritorna alla vita. Come si dovrebbe sapere, si può imparare da chiunque e da tutto, anche e soprattutto dalla natura, se si sa osservare. Ogni anno il ciclo della vita si rinnova, è un nuovo e continuo sbocciare, anche nelle condizioni più difficili: così, se si vuole, dovrebbe essere per ogni individuo, che può cambiare e crescere a seconda di quanto desidera da se stesso.
Buona Pasqua.

Pasqua, come la primavera, è un simbolo di rinascita

Tormentoni

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Tormentoni. Ogni anno ce n’è uno. Non si riesce a sfuggirgli, sembra qualcosa più forte della legge di gravità. Più forte delle leggi dell’universo. E forse è proprio così: la stupidità umana è una forza dall’energia sconfinata, infinita (Einstein ne era convinto, e non a torto).
Se per malaugurata sorte qualcuno crea qualcosa che prende piede e diventa virale, è la fine: non si riesce a scavarselo più dai piedi. Lo si trova dappertutto: media, giornali, social lo propinano in continuazione. Pubblicità della Tim: un dei tanti tormentoni che impazzano in tv e in reteIn tanti nell’ambito mediatico la copiano, cercando di sfruttare l’onda del momento. Basta vedere per esempio la pubblicità della Tim che tanto va in questi mesi, con il ballerino che danza ovunque, in qualsiasi istante e in qualsiasi circostanza; non bastasse il trovarselo in mezzo alle scatole ogni volta che c’è la pubblicità, si deve avere a che fare poi con tutti i suoi emuli (quello di Mediaworld, per esempio). Nella pubblicità ora si balla per qualsiasi motivo; il brutto è che le persone, vedendo la pubblicità, vanno poi per imitazione e ballano anche loro, nella realtà (mai una volta che si imiti qualcosa d’intelligente…questo non succede neanche per sbaglio…).
Ora, fermiamoci un attimo a ragionare. Uno, se ha voglia di ballare, è liberissimo di farlo, e questo è giusto. Solitamente, se viene voglia di ballare, è perché si ascolta una musica che coinvolge, o perché si è felici. Ecco, fermiamoci su quest’ultima cosa, si ragioni e si pensi a che cosa c’è da essere così felici nella realtà che stiamo vivendo: sta andando tutto a rotoli, la follia dilaga, la violenza impazza, governanti sempre più dittatori non vedono l’ora di far scoppiare un bel conflitto… Non bastasse ciò, chi imbastisce e dirige lo show che è la nostra realtà ritiene le persone dei mentecatti che sono contenti che gli venga propinata qualsiasi boiata.
Non c’è che dire, siamo in una botte di ferro. Non c’è di che preoccuparsi.

Che qualcuno ci salvi. Che qualche buonanima venga in nostro soccorso, siamo messi proprio male, ribaltati come dei copertoni.
Anzi, no, non importa nessun aiuto: ci salviamo da soli. Basta svegliarci un pochino, cominciando a dire no alla deficienza, ai sorrisi idioti e a smettere di guardare certa pubblicità e altra spazzatura che passa per la tv. E chissà che così facendo non ci si tolga di torno un bel po’ di tormentoni e si cominci a sembrare delle persone e non dei burattini.

Limiti e paure

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In L’Ultimo Demone c’è un brano, postato anche su Le Strade dei Mondi sotto forma di racconto con il nome di Il Dio del LimiteMuro, un modo per tenere lontana la paura, che parla di muri, di limiti e confini; è messo sotto forma di favola, ha una connotazione fantastica, ma di fantastico, se ci si pensa, ha solo l’aspetto, perché parla di realtà. La realtà che viviamo ogni giorno. Anche se a tanti non piace ammetterlo, ormai la vita delle persone è dominata dalla paura; anche se assume tanti aspetti (la paura degli altri, la paura di perdere il lavoro, i diritti), essa è sempre la stessa e sta divenendo sempre più forte, si allarga a macchia d’olio. Se si osserva si ha sempre meno fiducia negli altri, si guarda con sospetto chi è diverso, spesso lo si vede come una minaccia. E quando ci si sente minacciati, spesso una delle reazioni che si attuano è quella di aggredire. Emblema sotto gli occhi di tutti di tale realtà è il presidente degli Stati Uniti, Trump (ma si potrebbe dire lo stesso di Erdogan per quanto riguarda la Turchia), con i muri fisici e non (basti pensare al muro con il Messico o ai limiti d’accesso per le persone agli Stati Uniti o ai dazi commerciali per quanto riguarda le merci di altri paesi) che vuole ergere. Trump non è un dio, anche se con il modo che ha di fare si può pensare che lui si ritenga davvero tale, ma di certo è un creatore di limiti, oltre che un creatore di paure, tensioni e anche conflitti; il fatto che non sia l’unico, ma che ci siano altri potenti come lui che fanno alla stessa maniera, non fa presagire a nulla di buono. Arroganza, presunzione, mania di controllo, sete di potere, dimostrare la propria superiorità, disprezzo e mancanza di rispetto per gli altri: tutti questi sono elementi che vanno a spiegare questo modo di fare. Se però ci si pensa, questo agire è dettato dalla paura; una paura di fondo che magari non è neppure riconosciuta, ma che ha il controllo dell’individuo, le cui conseguenze si ripercuotono anche sugli altri. Finché ci sarà paura, non ci sarà modo che si possano creare e sviluppare elementi positivi. Questo contesto ben è rappresentato da una frase presente in L’ombra dello scorpione di Stephen King: “L’amore non cresce bene in un posto dove c’è solo paura, così come la piante non crescono bene in un posto dove c’è sempre buio.”

Tutti vogliono comandare

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Greg Stillson, esempi di chi vuole comandareTutti vogliono comandare e imporre il proprio volere sugli altri: si stanno raggiungendo livelli deliranti e allarmanti. Ci stiamo avvicinando alla follia, se non lo si è già fatto, e con questo il rischio di scatenare una violenza senza controllo e senza ragione; è sotto gli occhi di tutti come questa sia una realtà e non una fantasia.
Nelle cronache di ogni giorno si sentono notizie di atti di bullismo, pestaggi, stupri, omicidi per i più futili motivi (per un drink, un commento, una sigaretta): le persone ritengono di poter dire e fare tutto quello che gli pare, come se fossero i padroni del mondo, come se potessero comandare anche in casa d’altri. Se queste persone non ottengono quello che vogliono, se non possono fare quello che le pare, s’incattiviscono, diventano aggressive, maleducate, insultano, quando va fatta bene, perché quando va fatta male si arrivano a tragedie dove tutti si guardano increduli e si domandano come è potuta accadere una cosa del genere, come si è arrivati a questo punto.
Ma la risposta, se la si ricerca davvero, la si conosce già: la perdita di valori, il permissivismo, un modo di vivere dedito solamente all’apparire, al guadagno, al vivere bene. Un vivere superficiale, senza consapevolezza, senza rendersi conto che la libertà non è mettere in atto tutto quello che passa per la mente e pensare che gli altri accettino tutto come se niente fosse.
La società, il sistema, sono arrivate a far credere che questo sia il modo di fare; un modo di fare che porta solo caos. Ma non solo loro: in questo i governanti delle varie nazioni sono un esempio negativo, che aumenta la sua presa grazie al martellare continuo di media, social. La tecnologia in questo caso ha una connotazione negativa, dato quello che trasmette, ma la colpa, come spesso accade, è dell’uomo e di come la utilizza, non sua.
Basta guardare quello che fanno i politici italiani (di tutti i partiti) e di come, invece di preoccuparsi di come migliorare le condizioni del paese e della gente che vi abita, passino il tempo a litigare e insultarsi, e a fare i propri interessi (alle volte in modo poco limpido). Il fatto che spesso si manchi di rispetto alla popolazione con dichiarazioni opinabili, poi ritrattate per le polemiche che scatenano (vedere le ultime di Poletti sul calcetto come metafora del lavoro, che a tanti ha fatto intendere che in Italia per lavorare non servono i meriti, la professionalità, ma andare avanti a calci), non aiuta certo a rendere il comportamento delle persone migliore, che vedendo questo modo di fare, reputano che sia normale comportarsi in questa maniera.
A livello mondiale le cose non vanno certo meglio. Chi governa Nord Corea, Russia, Turchia, Stati Uniti, vuole in tutti i modi comandare e imporre il suo volere, e se non ci riesce attua ripercussioni verso chi non li asseconda. Tutto ciò è molto allarmante. Uno, perché è palese che si fa tutto in nome del denaro e del profitto, a discapito di cose molto più importanti come la salute, la dignità. Due, perché è ancora più palese che si vuole limitare la libertà degli individui dando un potere spropositato a istituzioni e grandi gruppi e questo, come insegna George Orwell con 1984 e La fattoria degli animali, non è mai una cosa positiva. Non bastassero i danni di queste azioni, l’arroganza, lo spregio e il disprezzo di questi governanti nei confronti degli altri non fa che essere un pessimo esempio per le presone, che lo prendono come modello ritenendolo quello normale. Certo si potrebbe obiettare che le persone potrebbero fare diversamente ragionando con la propria testa, ma il problema è proprio questo: i più non ragionano con la propria testa, si adeguano, seguono ciò che va per la maggiore, senza domandarsi se è la cosa giusta da fare.
Come già detto in altre occasioni, il futuro non appare roseo.

A sud del confine, a ovest del sole

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A sud del confine, a ovest del soleA sud del confine, a ovest del sole è un romanzo di Haruki Murakami del 1992. Un libro sulla solitudine, su tutto quello che è nascosto in una persona e che non può essere conosciuto se non viene condiviso volontariamente. E anche se condiviso, è difficile da capire. Un libro sulla distanza che c’è tra gli individui, spesso incolmabile, soprattutto dopo certe esperienze, dalle quali non si può tornare indietro.
Il romanzo racconta la storia di Hajime, dalla sua nascita (avvenuta il 4 gennaio 1951) fino all’età di trentasei anni. Figlio unico in un periodo in cui essere figlio unico era una rarità, si sente diverso, avvertendo un senso d’inferiorità nei confronti degli altri; almeno fino a quando, dodicenne, non conosce Shimamoto, una ragazza figlia unica come lui con una leggera zoppia alla gamba sinistra a causa di una poliomielite avuta da piccola. Fin da subito s’intendono reciprocamente e tra loro nasce un bel rapporto; rapporto che s’interrompe quando Hajime si trasferisce in un’altra città. Si perdono di vista; Hajime va al liceo, all’università, si sposa e gestisce due jazz bar nel quartiere di Aoyama. In un’occasione gli sembra di rivedere Shimamoto: la segue, ma l’insicurezza che sia proprio lei lo blocca. Quando decide di avvicinarsi, un misterioso signore interviene a fermarlo e impedirgli di continuare a seguirla.
Poi un giorno, grazie a un articolo sui suoi locali comparso su una rivista, Shimamoto ricompare ed è lei ad avvicinarlo. Il rapporto riprende come se non si fosse mai interrotto, i sentimenti mai dimenticati riaffiorano e s’intensificano. Hajime, nonostante non sappia nulla di Shimamoto, che rimane sempre un mistero, è disposto a lasciar perdere la moglie, i figli, il lavoro, pur di stare con lei; anche Shimamoto vuole restare con lui, vuole prendere tutto di lui. Tutto. Un legame intenso, totale, che prenderà a un certo punto una piega inaspettata. O forse no, se si è riusciti a comprendere il fatto che Shimamoto non accetta compromessi, la piega non è poi così sorprendente.
A sud del confine, a ovest del sole è un romanzo malinconico, che mostra il senso d’inadeguatezza che si prova verso un mondo dove comunicare con gli altri appare così difficile, dove si è soli e la solitudine pare essere l’unica compagna che mai abbandonerà l’individuo. Come in altre opere di Murakami,  anche in A sud del confine, a ovest del sole la musica ha un ruolo fondamentale nella vita dei personaggi e nel dare nome (o almeno a una parte) al titolo del romanzo (ma questo spetta al lettore scoprirlo da solo, dato che è una cosa che si rivela verso il finale, a differenza di L’incolore Tazuki Tzukuru e i suoi anni di pellegrinaggio dove lo si rivelava all’inizio e non c’è timore di fare spoiler nel parlarne), così come in esso emergono esperienze personali dell’autore e la morte. Sì, la morte, perché è anch’essa parte della vita, ne è parte integrante e nessuno non può che fare esperienza con essa, venendone toccato, ferito, stravolto. Chi ha letto altre opere di Murakami si sarà accorto che il modo di sviluppare la storia si ripete come in altri volumi (ma se si sa osservare, è così per quasi tutti gli scrittori, ognuno ha il suo marchio di fabbrica che lo contraddistingue), questo però non toglie che l’autore riesca a coinvolgere il lettore nelle vicende di Hajime: non importa se si sono capiti i meccanismi di scrittura di Murakami, si vuole scoprire come andrà a finire  la storia del protagonista,  in che direzione lo condurrà la sua scelta. Murakami in questo non delude e tocca nel profondo l’animo di chi legge, soprattutto con quello che non scrive, ma che si fa intuire, dando a A sud del confine, a ovest del sole un velo di mistero e dubbio che dona ulteriore spessore all’opera.