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Hunger Games e il mito di Teseo e del Minotauro

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Hunger gamesQuella che segue è una breve riflessione incentrata, più che sui film o sui romanzi di Hunger Games di Suzanne Collins, sull’idea che sta alla base di questa storia. Una storia che ricorda molto il mito di Teseo e del Minotauro.
Il mito narra che Atene era soggiogata a Creta e che per questo era costretta a sottostare al suo volere: quando Androgeo, figlio di Minosse, morì nei giochi tauromachici, Minosse decise, per vendicarsi della città di Atene, che questa dovesse inviare ogni anno sette fanciulli e sette fanciulle da offrire in pasto al Minotauro. Nel mito classico il Minotauro (creatura dal corpo umanoide e bipede, ma con zoccoli, pelliccia bovina, coda e testa di toro) viene mostrato come selvaggio e feroce, perché la sua mente era completamente dominata dall’istinto animale, avendo la testa, e quindi il cervello, di una bestia, ma è interessante la rilettura che fa Igor Sibaldi in Quando hai perso le ali: di questo se ne parlerà alla fine dell’articolo.
Tèseo, eroe figlio del re ateniese Ègeo, per porre fine a questa brutalità si offrì di far parte dei giovani per sconfiggere il Minotauro. Grazie all’aiuto di Arianna, figlia di Minosse e Pasifae, che si innamorò di lui per poi essere abbandonata dopo aver lasciato l’isola, riuscì nell’impresa. Impresa che viene interpretata come segno di una liberazione dal giogo dell’impero minoico su Atene, che in seguito sarebbe divenuta una nuova potenza marinara.
Osservando, si può vedere la stessa storia in Hunger Games: Capitol City impone il suo giogo ai distretti che si sono ribellati, costringendoli a pagare un tributo: ogni distretto deve inviare un ragazzo e una ragazza agli Hunger Games, un gioco mortale pieno di trappole e nemici dove solo uno può sopravvivere.
Rispetto al mito classico c’è la spettacolarizzazione dell’evento, dove tutto è seguito da telecamere e trasmesso in televisione, ma il concetto rimane lo stesso: i giovani che vengono fagocitati, cannibalizzati dal sistema più forte, il modo per spezzare la resistenza di un popolo e minarla in modo che non ci si ribelli più, perché lo si colpisce nella sua risorsa vitale, perché giovani e bambini sono il futuro di un popolo, il mezzo con il quale esso evolve e sopravvive; se si menoma questa parte, l’intero popolo diviene più sottomesso e controllabile, impedendo che si ribelli. Se la ribellione però viene dai giovani, come dimostrano Teseo e Katniss, allora tutti ritrovano coraggio e forza.
Ma il sacrificio dei giovani, la ribellione che viene da uno di loro, non sono i soli temi ricorrenti. Esempio di Labirinto di Barvaux Durbuy in BelgioC’è l’analogia arena/labirinto, archetipo di morte simbolica dove si rinasce, c’è un cambiamento interiore che porta a crescere, perché “Nel labirinto non ci si perde. Nel labirinto ci si trova. Nel labirinto non si incontra il Minotauro. Nel labirinto si incontra se stessi.” (H. Kern). Il labirinto è una struttura in apparenza caotica, ma in realtà creata appositamente in questo modo per mettere alla prova, per testare le capacità, il modo di affrontare le paure. Un modo anche per coprire gli orrori creati: nel mito, un mostro nato dalle scelte dei genitori; nell’opera di Suzanne Collins, la distopia di un sistema. Un luogo che è l’incarnazione dell’alienazione della coscienza: in un caso di quella di Minosse che non avrebbe potuto distruggere il Minotauro perché sarebbe equivalso a uccidere se stesso, nell’altro della parvenza di governo che in realtà è una dittatura. Un luogo dove regna violenza, dove può esserci collaborazione, alleanza, ma non può esserci amore, almeno non ricambiato: è così per Arianna che non è corrisposta da Teseo e viene solamente usata, è così per Peeta che non è corrisposto da Katniss (almeno all’inizio).
Il labirinto, gli Hunger Games, sono una maschera del nulla, del vuoto. Come il Minotauro, i pericoli dei giochi sono la maschera della brutalità del potere. Maschere che pochi sono in grado d’infrangere: solo chi ha volontà e valori più grandi di quelli cui i più seguono può farlo.
Come accennato in precedenza, il Minotauro ha una connotazione negativa, è il nemico da abbattere e superare per ottenere la ricompensa (la vita). Ma Igor Sibaldi lo pone sotto una luce diversa. Asterios (quello che viene dalle stelle) è il suo vero nome e tutti ne avevano timore perché era diverso, in lui scorrevano i geni del dio da cui discendeva, qualcosa di più gande degli uomini. Asterios è Figlio, ovvero colui che impara ad aver paura di sé perché il padre ne ha paura. E’ chi rifiuta e nasconde, come fosse una colpa inconfessabile, la propria individualità, perché il padre, i padri lo accettino e si salvino e rimangono. Poi diverrà più rapidamente come loro; imparerà a non saper reagire a ciò che di nuovo, di grande e di fragile ancora si manifesterà nei suoi figli. (1)
Il Minotauro non era il demonio divoratore di giovani che tutti credevano, ma piangeva sui resti dei bambini che erano uccisi dalle guardie: queste erano le urla che si udivano. Il labirinto era il monumento all’oblio e in ciò che si vuole dimenticare abitano e crescono gli incubi. Perciò l’infanzia che dimentichi ed escludi può diventare, nella mente dei molti, una minaccia. (2) Un monumento al tradimento del Bambino, dove si segue il rassegnarsi e a collaborare con chi opprime, mentendo agli altri, ma soprattutto a se stessi.
Thésée et le Minotaure, Étienne-Jules Ramey, 1826. Giardino delle Tuileries (Parigi)Asterios, come ogni bambino, era arrivato a credere che gli altri avessero ragione di odiarlo, d’esser davvero la causa degli orrori del labirinto, vivendo in un incubo continuo, fino a quando venne ucciso da Teseo, l’eroe. Come fa notare l’autore, tra i due ci sono analogie. Entrambi figli illegittimi concepiti attraverso l’inganno. Entrambi cresciuti lontano dal padre. Ma mentre Asterios è il Bambino sconfitto, che si rassegna, Teseo è quello che crescendo non cede. E mentre Asterios era odiato, Teseo era amato: è questa la grossa differenza tra i due, che cambia il loro essere; è la mancanza d’amore che può creare mostri, creature squilibrate che vivono male e fanno vivere male. Certo la volontà dell’individuo di non seguire un modello conta, ma conta anche l’ambiente circostante, soprattutto se non si hanno avuto mai davanti esempi che possono aver mostrato che può esserci qualcosa di diverso da quanto conosciuto e che la vita non è solo il mondo in cui si è vissuto.
Asterios e Teseo sono le due possibilità di scelta: il primo a rassegnarsi a obbedire, rispettare i muri creati dagli altri e rinnegare ciò che c’è di diverso. Il secondo elimina tutto ciò che è il primo, sciogliendo legami e costrizioni; certo è duro, faticoso e rischioso, ma è l’unica via per la libertà e il vero vivere, altrimenti è solo schiavitù.
Come scritto da Brandon Sanderson in Parole di Lucetutte le storie sono già state narrate. Le raccontiamo a noi stessi, come hanno fatto tutti gli uomini che siano mai vissuti. E tutti gli uomini che vivranno. Le uniche cose sono i nomi” (3) che cambiano. Adesso si hanno Katniss e Hunger Games, allora si avevano Teseo e Minotauro, in futuro si avrà qualcun altro, ma la storia rimarrà sempre la stessa, con il suo insegnamento da apprendere.

1. Quando hai perso le ali – Igor Sibaldi. Frassinelli 2008 pag.62
2. Quando hai perso le ali – Igor Sibaldi. Frassinelli 2008 pag.66
3. Parole di Luce – Brandon Sanderson. Fanucci Editore 2014 pag.809

Parole di Luce

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Parole di luceParole di Luce è il secondo volume di Le Cronache della Folgoluce di Brandon Sanderson, un romanzo che supera di poco le milleduecento pagine nella traduzione italiana contro le quasi 1150 del precedente, La Via dei Re . Milleduecento pagine che scorrono piacevolmente, anche se non sono ricchi di eventi eclatanti; da questo punto di vista il ritmo è lento, dove ogni evento è un tassello di preparazione all’arrivo di qualcosa di grosso, una lenta scoperta che fa capire come tutto si stia ammassando, caricando come fa un’altempesta prima di esplodere in tutta la sua forza.
Già dal primo libro si è capito che ci sarà un conflitto di portata mondiale, dove tutti saranno coinvolti. Un conflitto che sarà di dimensioni epiche, che vedrà scendere in campo potenze gigantesche. Ormai si è capito che sta tornando il passato che è stato, che i Radiosi stanno riemergendo e si dovranno combattere i Nichiliferi. Ma come avverrà? Quali saranno gli schieramenti che si affronteranno?
E’ sui misteri da dipanare che Sanderson tiene viva l’attenzione del lettore in Parole di Luce, con una prosa scorrevole, ricca di dettagli, che vengono curati con attenzione senza però scadere nel prolisso. Un lavoro minuzioso e curato, davvero ben fatto se riesce a tenere incollati alle pagine anche se mancano dei veri momenti epici come accaduto nel primo libro (vedasi Dalinar che in Stratopiastra affronta da solo un abissale o Kaladin che va in suo soccorso quando è tradito da Sadeas e lasciato con i suoi uomini ad affrontare l’esercito dei parshendi).
Questo non significa che tutto scorra tranquillo. I combattimenti ci sono, ma non sono presenti in questo romanzo come in La Via dei Re, in buona parte perché, non essendo più pontiere ma guardia del corpo, Kaladin non prende parte alle sortite degli eserciti Alethi sugli Altipiani alla conquista delle cuorgemme: il suo nuovo ruolo lo vede impegnato a organizzare e addestrare chi deve assicurare la protezione di Dalinar e del re. Il loro posto è preso dai duelli in cui è impegnato Adolin per conquistare Strati, portando avanti così la strategia di suo padre nel cercare di costringere gli altri altiprincipi ad appoggiarlo e così rendere unito e saldo il regno. Ma per quanto ben descritti, non si riesce ad avvertire che i personaggi siano di fronte a prove che facciano riecheggiare atmosfere epiche.
Ci sono colpi di scena, anche se alcuni di essi si riescono a capire abbastanza facilmente (attenzione alla lettura dei prossimi brani: contengono spoiler).
Si capisce subito che l’incidente occorso a Re Elhokar sulla terrazza non è un tentativo dell’Assassino in Bianco o di un qualche luminobile che gli è avverso, ma che è causato da Moash (uno degli ex pontieri, ora soldato, sotto il comando di Kaladin) membro di una delle fazioni che vuole una Alethkar guidata da una figura forte, salda e non il fantoccio viziato qual è il figlio del defunto Gavilar (il movente delle sue azioni è la morte dei propri nonni, unica famiglia rimastagli, perché Elhokar ha voluto favorire un luminobile suo conoscente). Non sorprende che alla fine tra Moash e Kaladin ci sia un confronto, con il Folgoeletto che dopo qualche titubanza ritrova la sua via, che è quella di proteggere (proteggerò perfino quelli che odio, purchè sia giusto (1): queste sono le Parole che conferiscono forza ai Radiosi di cui tanto si parla nel libro e che danno anche il titolo al romanzo). Lascia un po’ perplessi invece la decisione presa da Kaladin di dargli la Stratopiastra e la Stratolama concesse a lui, nonostante non sia del tutto convinto del modo di fare della fazione che il compagno appoggia: è vero che è arrivato a comprenderla e a ritenerla quasi necessaria (scoprirà che il luminobile favorito da Elhokar è quello esiliato nella città dove abitava, la causa dell’entrata nell’esercito di suo fratello e della sua successiva morte), anche se non gli piace, ma da lui che era arrivato a essere così diffidente verso tutti, ci si aspettava un discernimento diverso.
Altra perplessità è che ci siano voluti due libri per mostrare il ritorno di due Radiosi e poi nella parte finale del libro comincino a proliferare (di Dalinar ce lo si aspettava, ma Renarin salta fuori all’improvviso). Così come cresce il numero di persone che possono assorbire e usare la Folgoluce; cosa che ricorda un po’ quanto avvenuto in La ruota del Tempo di Robert Jordan con gli asha’man, solo che in quel caso gli uomini capaci d’incanalare erano visti in modo peggiore rispetto ai vincolaflussi.
Non sorprende il colpo di testa di Kaladin, dopo essere andato in soccorso di Adolin e Renarin durante il duello nell’arena contro quattro Stratoguerrieri, di chiedere il Diritto di Sfida contro Amaran per il tradimento perpetrato nei suoi riguardi e per questo fatto arrestare dal re (evento che gli farà prendere coscienza delle ragioni di chi l’ha contattato per togliere di mezzo Elhokar),
Non sorprende che sia Shallan da piccola ad avere ucciso la madre e che il padre si sia assunto la colpa della sua morte (avvenuta per legittima difesa, dato che la madre voleva eliminare la bambina per via della sua natura). Sorprende invece un poco quando Shallan scopre di essere una Vincolaflussi e senza rendersene conto evochi una stratolama. Il che fa capire che è una cosa di famiglia, dato che anche il fratello Helaran ne possedeva una (con sorpresa, si scoprirà che Helaran è lo Stratoguerriero che Kaladin ha ucciso quando era al servizio di Amaram, il luminobile che lo ha tradito e lo ha reso schiavo dopo avergli ucciso tutti i suoi amici e avergli rubato la Stratolama e la Stratopiastra che si era conquistato sul campo di battaglia). Una famiglia piena di segreti che lungo tutto il libro vengono mostrati con capitoli interamente dedicati a raccontare il passato di Shallan e del rapporto con il padre e i fratelli e di come siano finiti a essere legati con i Sanguispettri. Benché sia interessante la scoperta del passato della ragazza, da quando entra nei campi degli Alethi nelle Pianure Infrante assume una facciata che è troppo sopra le righe, divenendo quasi una seconda Arguzia; una facciata, come fa notare anche Kaladin, troppo costruita, che non fa provare quell’empatia, quel “tifare” per lei come avveniva in La Via dei Re.
Sia Shallan, sia Kaladin devono fare i conti con la loro vera natura che sta venendo a galla. In Kaladin era già stata manifestata nel volume precedente e lui deve semplicemente accettarla e affinarla per poter proteggere Dalinar e la sua famiglia, presi di mira dall’Assassino in Bianco e da chi lo manovra, che lo vogliono morto perché vuole riportare in vita i Radiosi e i vecchi codici, così da creare un baluardo contro la tempesta che sta arrivando.
Mentre è in Parole di Luce che in Shallan comincia a prendere veramente forma ciò che lei è (e di cui si era dimenticata, avendo già avuto modo di scoprirlo grazie ad Arguzia, che anche in questo libro torna a fare la sua parte in un miscuglio di saggezza e irriverenza). Una Shallan più spigliata e audace, diversa dalla ragazzina insicura che cercava di aiutare la sua famiglia entrando nelle grazie di Jasnah e che si trova invischiata in qualcosa di più grande di lei. Una spigliatezza dovuta alla consapevolezza che c’è qualcosa di grosso in ballo e che ci siano misteri vitali da svelare (i Nichiliferi e dove trovare la città perduta Urithiru e cosa nasconde), ma anche dalla necessità, dato che rimane sola dopo l’assassinio di Jasnah (ma si ha da subito il presentimento che questa morte non sarà tale e che Jasnah, come si vedrà, tornerà nella storia), costretta a trovare quel coraggio che prima non sapeva di avere. In questa maniera riesce a sopravvivere agli assassini di Jasnah, ad arrivare alle Pianure Infrante, dove l’aspetta il fidanzamento combinato da Jasnah con il cugino Adolin e continuare la ricerca su Urithiru; proprio questa ricerca le farà avere una doppia vita, facendola divenire Veil (grazie al suo essere una Tessiluce, una Vincolaflussi che può cambiare aspetto manipolando luce e suono in tattiche illusorie) e infiltrandola tra le file di chi ha ucciso Jasnah per scoprire i loro piani.
I Dieci Flussi - Le Cronache della FolgoluceCome Kaladin ha Syl, anche lei ora è legata a uno spren: Schema (che però aveva già da bambina e di cui si era dimenticata). Interessante e ben costruito il rapporto tra i due, oltre che divertente, che mostra come la cooperazione tra loro porta a una crescita reciproca: per Shallan la conoscenza del mondo da cui viene lo spren e la consapevolezza delle proprie capacità, per Schema la scoperta delle emozioni e delle interazioni umane.
Molto azzeccata l’idea che gli spren, quando si legano a un umano, possano diventare la sua Stratolama o assumere la forma dell’arma che più si confà all’individuo, come succede con Kaladin che fa mutare in lancia o in scudo Syl (l’idea che le Stratolame siano esseri senzienti che si mutano in armi ricorda quella usata nel manga Soul Eater del 2003 di Atsushi Ohkubo, dove ci sono coppie di giovani, addestrati in una speciale scuola, in cui uno è il Maestro d’Armi che sfrutta i poteri del compagno che si trasforma in Arma) ed essere il mezzo per i Vincolaflussi di attingere alla Folgoluce.

Con Kaladin e Shallan viene mostrato come tra Roshar e Shadesmar ci sia un legame che sta venendo riscoperto. Sanderson mostra questa scoperta in maniera attenta e minuziosa, facendo un buon lavoro; un lavoro che prende spunto da storie che già si conoscono, che affondano nel mito e nelle credenze di molti popoli dove si professava un legame tra mondo materiale e spirituale, come a esempio gli indiani d’America, dove gli Spiriti erano visti come qualcosa d’importante nella vita dell’uomo. In fondo gli spren sono proprio questo: degli spiriti. Spiriti che aiutano l’uomo e che grazie a lui crescono e possono divenire più forti. In questo il lavoro di Sanderson ricorda l’ambientazione Mondo di Tenebra creato dalla Whitewolf, in special modo quanto descritto nel manuale Lupi Mannari – I rinnegati (pubblicato nel 2005). Diverse le similitudini: a esempio che le emozioni umane come rabbia e gioia attirino spren dello stesso tipo (rabbiaspren, gioiaspren), proprio come succede nel Mondo di Tenebra, dove simili emozioni attirano spiriti analoghi; altro esempio è che in entrambe le ambientazioni, nell’antichità c’è stato un tradimento nel mondo degli spiriti che ha cambiato le cose.
Albero della vitaMa questi non sono gli unici elementi da cui Sanderson prende ispirazione per creare la sua ambientazione: l’autore è molto legato alle religioni, dato che spesso nelle sue opere le rende elementi fondamentali. In special modo è ricorrente il tema dell’alterazione da parte di esse dei fatti, dell’operazione di ripulizia della realtà per renderla conforme al proprio credo e ai propri fini. In questo caso la ierocrazia ha cancellato le parti riguardanti i Radiosi perché ritenuti traditori, una macchia da cancellare (ma quale sia la verità, è ancora da scoprire).
Sempre riguardo il tema religione, se si è notato il disegno del precedente volume La via dei Re (in Parole di Luce viene descritto a pag.120), non si può non accorgersi quanto sia somigliante all’Albero della Vita della kabbalah ebraica. E del fatto che i Flussi (le forze fondamentali secondo cui il mondo opera e le abilità base offerte agli Araldi e poi ai Cavalieri Radiosi) siano dieci proprio come le Sephirot (gli attributi divini).

Interessanti due dettagli messi da Sanderson per far capire quanto sarà vasta la sua storia e abbia ancora tanto da dire.
Il primo riguarda la piccola Lift e mostra come i poteri dei Vincolaflussi non dipendano solo dalla Folgoluce, ma possano essere alimentati da altri fonti (in questo caso, il cibo).
Il secondo si riferisce al fatto che ci sia un legame tra le opere di Sanderson. Già lo si era compreso con la presenza di Hoid in diversi romanzi (questo, La Via dei Re, la saga Mistborn, Il Conciliatore), ma ora si ha un indizio in più, anche se per il momento è meglio parlare di sospetto. Dopo il secondo scontro con Kaladin, Szeth muore, ma viene fatto rinascere da Nin (o Nalan o Nale, Araldo della giustizia); essendo morto, il suo legame con l’Onorlama che possedeva è stato spezzato e per poter seguire chi l’ha resuscitato e quanto richiesto da lui, gli viene data una nuova Stratolama. Una lama nera, con un fodero di metallo, che parla nella mente di chi la possiede con un tono che chi ha letto Il Conciliatore non può non riconoscere: si tratta di Sanguinotte.

(Fine degli spoiler)

La struttura del romanzo si mantiene come il precedente volume: suddiviso in parti, con interludi tra una parte e l’altra dove vengono mostrati nuove luoghi e nuovi personaggi. Interessante l’introduzione di Eshonai, una parshendi, e del suo punto di vista che mostra come il suo popolo non sia come lo vedono gli alethi, e non sia quella massa di creature remissive che vengono usate come schiavi e servitori; bella la varietà delle loro forme che possono scegliere di assumere (libidinosa, tediosa, operosa, bellicosa, flessuosa) e delle ricerche di tutte quelle che sono andate perdute. Anche in questo popolo c’è un passato che è andato perduto ed è da riscoprire, soprattutto c’è da capire qual è il legame che c’è con i loro dei da cui si sono allontanati. Tra le altre cose, negli interludi viene mostrato uno Szeth che si ritrova a riflettere sul fatto che gli è stato mentito e che è stato usato, e una nuova figura al momento sconosciuta ma fortemente legata alla giustizia, che si aggira per Roshar eliminando chi presenta la capacità di vincolare i Flussi per cercare di non far tornare (almeno a quanto afferma) la Desolazione nel mondo (belli e in alcuni punti toccanti i capitoli dedicati al vecchio Ym e alla piccola Lift).
Come già si è capito, i protagonisti della vicenda sono Shallan e Kaladin, ma anche Adolin ha un ruolo di primo piano in Parole di Luce, prendendo il posto di suo padre (che qui è più dietro le quinte), cui invece era stata data grande attenzione in La via dei re. Da notare come entrambi i titoli dei romanzi di Sanderson siano i titoli di volumi che nelle due storie hanno un ruolo importante: La via dei re è il tomo cui Dalinar s’ispira per far salvare il regno, Parole di luce è il tomo che Jasnah consegna a Shallan per farle comprendere la natura dei Vincolaflussi.
Il disegno posto all’inizio di ogni capitolo, come nella precedente opera, fa subito comprendere chi sia il personaggio su cui si concentra l’attenzione: per Kaladin si hanno sempre delle lance levate verso un vessillo (a indicare il suo essere soldato e la sua maestria nell’uso della lancia, arma che ha insegnato a usare anche agli altri pontieri), per Shallan lo stilizzazione di Schema, lo spren che l’accompagna (a parte i primi capitoli, quando non l’ha ancora riscoperto, dove ha un sole che sorge sul mare), per Adolin uno Stratoguerriero in posa con una Stratolama, per Dalinar uno stemma che rappresenta uno scudo con sopra una corona e la porta di una fortificazione.
Questo a indicare la cura e la professionalità che le case editrici straniere danno a un’opera, a quanto ci credano e siano disposte a investire.

Parole di luce è un libro molto buono, in alcuni punti ottimo, che incarna l’epica classica (anche se poi ci aggiunge altri elementi, rendendolo qualcosa di più: molto attuale l’immagine degli Altoprincipi di Alethkar persi in lotte di potere tra loro, divisi da egoismi e interessi personali, che se ne fregano del bene del paese e della popolazione, proprio come purtroppo si vede fare dai governanti di casa nostra, per esempio). Dalinar è la guida salda e sicura del regno, che segue ideali e valori. Adolin è il suo campione, che oltre alla maestria nelle armi, ha un gran fascino verso il gentil sesso, ricordando in questo Lancillotto. Gli Stratoguerrieri dipingono le loro armature, rendendole colorate proprio come nelle descrizioni dell’opera di Thomas Malory, Re Artù e i Cavalieri della Tavola Rotonda. Kaladin è l’eroe, l’eletto, che viene dal basso, in cerca di riscatto. C’è la ricerca di qualcosa di prezioso che è andato perduto. C’è riverenza e rispetto da parte degli uomini verso le Stratolame, venendo viste come qualcosa che eleva.
In tutto il romanzo si respira un’atmosfera epica, anche se rispetto a La via dei Re manca di momenti veramente epici come già detto. C’è da dire che a livello di stile non presenta errori come è stato fatto nel prologo Uccidere del precedente volume. Presenta momenti veramente belli, come quando Shallan ritraendo le persone le conferisce un aspetto migliore, più sicuro, più dignitoso e le persone, vedendo come sono raffigurate, cominciano a credere di poter essere così e alla fine diventano davvero in questa maniera, elevandosi dalla condizione in cui erano, diventando individui migliori. Ben fatte e intriganti le visioni che ha Dalinar durante le altempeste e le scritte che compaiono sui muri con il conto alla rovescia che avvisa dell’arrivo di qualcosa di grosso.
Dialoghi, descrizioni, concetti, fluiscono sempre senza stonature, sempre ben integrati nel contesto in cui si trovano. Alcune frasi sono davvero ben riuscite, coma a esempio questa pronunciata da Jasnah: “Usare un viso affascinante per indurre gli uomini a fare ciò che vuoi non è diverso da un uomo che usa i muscoli per costringere una donna a fare come vuole lui. Entrambe le cose sono spregevoli e verranno meno con il passare dell’età.” (2). O questa di Arguzia: “Tutte le storie sono già state narrate. Le raccontiamo a noi stessi, come hanno fatto tutti gli uomini che siano mai vissuti. E tutti gli uomini che vivranno. Le uniche cose sono i nomi” che cambiano. (3)
Ma in alcuni casi ci sono degli scivoloni che stonano con il contesto: certe scelte possono essere state effettuate per alleggerire l’atmosfera, per dare un tocco divertente, ma che Shallan, durante quello che dovrebbe essere il corteggiamento, per stupire chieda ad Adolin se mai se l’è fatta addosso quando indossava la Stratopiastra, è una caduta di stile, un andare verso il basso che si poteva (e doveva) evitare. Anche Bastiano Baldassarre Bucci in La Storia Infinita di Michael Ende fa qualcosa di simile, chiedendo al professore di religione se Gesù andava mai al gabinetto (e ricevendo una nota di biasimo per questo), ma lì è comprensibile, dato che si tratta di un bambino ed è un qualcosa capace di strappare un sorriso, visto che mostra la curiosità, l’innocenza e l’ingenuità dell’età dell’infanzia; in un dialogo tra persone ormai adulte (Adolin ha più di vent’anni, Shallan diciassette), se non si vuole essere scadenti, è qualcosa che non ci si aspetta. D’accordo che nella società attuale si è abituati a discorsi del genere (e anche peggiori), ma proprio per questo, almeno in un libro che vuol essere di un certo stampo, sarebbe stato meglio che non ci fosse stata una cosa del genere: due pagine del genere non aggiungono nulla a un lavoro di milleduecento (anzi, forse lo tolgono) e potevano essere tranquillamente evitate.
A parte le osservazioni su alcuni punti deboli, Parole di Luce è uno di quei libri che si rileggono volentieri perché riecheggiano di epicità, di valori perduti che vengono ritrovati, di grandezza, della ricerca che spinge verso l’alto, che volgono a tirar fuori il meglio che c’è in un animo. Un romanzo che lascia qualcosa di buono, che solleva ed eleva. Un’opera fantasy che si distacca dall’attuale produzione che ha invaso le librerie con storie che si mettono nella scia del lavoro di successo di vendita qual è quello di George R.R. Martin, romanzi prettamente incentrati sulle bassezze umane e di quanto si può sprofondare nel fango e nel sangue (non che il fantasy più cupo sia un male, se qualitativamente valido come quello di Joe Abercrombie è ben accettato, purché non diventi la totalità del genere). Ed è un bene che sia così, perché ci si è saturati di vedere il peggio essere protagonista (chi è in Italia vive costantemente con questa realtà), si ha bisogno di qualcosa di diverso: non il falso ottimismo che tanti ipocritamente elargiscono (politici ed imprenditori in primis), ma la conquista di valori come onore, dignità, giustizia e conoscenza per costruire un mondo migliore, per fare sì che la vita sia meritevole di essere vissuta. Una storia come già detto che è permeata dell’atmosfera di poemi antichi, di cavalieri e dei loro codici, di dei e dei loro patti con gli uomini e che per quello che sa evocare ricorda la trilogia di Fionavar di Guy Gavriel Kay, altro autore capace di realizzare un’opera epica e profonda.

Alcune note sull’edizione italiana.
Sono state mantenute le illustrazioni all’interno del volume e la copertina originale.
Per una scelta editoriale (forse di costi) è stata omessa l’immagine di Shallan che dipinge presente invece nell’edizione originale; ci si domanda se invece non era possibile metterla al posto di una delle mappe presenti nel volume italiano, dato che per tre volte è riportata sempre la stessa immagine (due a colori e una in bianco e nero).
Per quanto non come nei volumi di La Ruota del Tempo di Robert Jordan, qualche refuso è presente. Oltre a ciò, si nota a pag. 433 un grosso errore: non si sa se anche nell’opera originale è presente questa svista, ma Shallan viene sostituita con Jasnah nel dialogo/scontro con Tyn, quando Jasnah non è presente sulla scena (è morta centinaia di pagine prima).
La copia in possesso (un regalo, come è stato per La Via dei Re, che altrimenti non si sarebbe avuta a causa del prezzo), oltre a presentare la rilegatura nel dorso incompleta (il pezzo che è stato usato non ricopre tutto il blocco di pagine, ma ne lascia fuori un buon centimetro), ne presenta una parte non incollata.
Ultima nota, il prezzo. Non ci si può aspettare che un volume del genere venga venduto per una ventina di euro o meno come prima edizione, visto quanto è lungo e com’è realizzato: ci sono i costi di traduzione, i diritti per l’autore, l’alto numero di pagine e le illustrazioni. Tutto questo ha un costo, che deve però essere adeguato: già 30 E per La via dei re era sopra le righe (qualche euro in meno avrebbe reso il prezzo più equo), ma 35 E per un romanzo dello stesso stampo è un prezzo che presenta un rialzo eccessivo (se però si pensa che Elantris, dello stesso autore, con quasi metà delle pagine, nessuna illustrazione e in edizione economica, viene venduto a 30 E, si capisce dove si poteva arrivare con un volume come Parole di luce). Se le vendite del romanzo non saranno soddisfacenti come preventivato, non si deve ricercare il motivo nella qualità dell’opera, che è ottima, o sul fatto che non trovi riscontro d’interesse da parte dei lettori (che c’è), ma proprio sul costo, che disincentiva l’acquisto. Se il prezzo aumenta di cinque euro a volume, si può immaginare quanto si verrà a pagare l’ultimo capitolo della saga. E questo non trova giustificazione, qualsiasi cosa dica la casa editrice che lo pubblica o chi la difende.
Shallan - Parole di Luce

1. pag. 1127

2. pag. 255

3. pag. 809

Altempeste

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Altempeste

La forma di queste nubi mi ha fatto venire in mente le altempeste di Roshar, il mondo dove si svolgono le vicende delle Cronache della Folgoluce di Brandon Sanderson.

La via dei re

Di nuovo sull'editoria: Brandon Sanderson e altro

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Words of RadianceCi si sta avvicinando all’uscita (leggendo su Wuz si sapeva da tempo tale arrivo) di Parole di Luce, secondo volume delle Cronache della Folgoluce di Brandon Sanderson. L’editore italiano, come nei precedenti romanzi dello scrittore statunitense, è Fanucci e come per La Via dei Re ed Elantris, il prezzo è elevato: 35 E (prezzo confermato da libreria LaFeltrinelli), ben superiore ai 30 E dei due volumi sopra citati (se era già risultato tanto per La Via dei Re anche se con mappe a colori, copertina rigida e immagini all’interno, per Elantris è stato qualcosa di inammissibile, dato che era in versione economica).
Troppo, decisamente troppo: se si continuerà a pubblicare i romanzi di questa saga, di questo passo si arriverà a pagare i volumi tranquillamente 50 E, più del doppio di come vengono pagati in America e altri paesi.
Il dubbio sulla continuità di pubblicazione sorge perché con prezzi simili non si sa se si avranno volumi di vendita tali da far proseguire la traduzione in Italia di questa saga. In questo articolo, assieme a Emanuele Manco, si era parlato della questione del costo dei libri e del modus operandi che sta alla base della decisione dei prezzi, ma rimane forte il sospetto che si voglia approfittare troppo dei lettori, cercare di guadagnare più del dovuto e necessario, con il rischio che si ottenga invece il risultato opposto, ovvero di non vendere. La crisi è vero che non aiuta gli acquisti, ma è anche vero che certi editori fanno delle scelte più che discutibili; chi vorrà leggere questa saga e non potrà permettersela vista i prezzi o comincerà a leggere in lingua originale o si dovrà rivolgere alle biblioteche (è da notare che anche loro non stanno attraversando un bel periodo, visti i fondi limitati, e non è detto che il volume si trovi); ma se si continuano a proporre simili prezzi crescenti, le vendite saranno tali che non si pubblicherà più e di conseguenza neanche in biblioteca li si potrà trovare.
Le scelte di Fanucci lasciano spesso parecchio perplessi. 17 E per l’e-book di Le Torri di Mezzanotte di Robert Jordan e Brandon Sanderson è qualcosa d’inammissibile; come fa pensare la riproposizione di nuove edizioni di opere come La Trilogia di Valis di Philip K. Dick e Hyperion di Dan Simmons a 20 E, prezzo solitamente riservato alle nuove uscite, non a volumi che sono anni che vengono pubblicati (non si tratta nemmeno di versioni da “lusso” dato che sono sempre in economica).
Il problema però non è solo Fanucci o Mondadori (altre ca le cui scelte sono discutibili): è tutto un sistema che è sbagliato. Perché una ce, dopo che paga le tasse per la produzione dei libri, deve pagare su di essi le tasse per averli in magazzino; è per questo che per ridurre i costi, dopo qualche tempo i volumi in giacenza di magazzino vengono mandati al macero, salvo poi ristamparli nel caso ci fossero richieste di acquisto tali da richiederlo.
E’ palese che questo modo di fare assurdo comporta uno spreco di materie prime ed energia: carta, inchiostro, usura dei macchinari di stampa, elettricità per farli funzionare. Tutti elementi che si potrebbero ottimizzare se esistesse un sistema differente, se ci fosse la volontà di migliorare.
Invece non si capisce che quanto si sta facendo è sbagliato e se anche lo si capisce, non si vuole far nulla per cambiare, perpetrando un sistema fallimentare. Cosa ancora più avvilente, è che ci sono persone che reputano che il sistema non vada criticato, ma appoggiato.

Magia, tra figure storiche e immaginate – 2

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Faust e MefistofeleLa magia non è solo qualcosa d’innato come spesso si vede, può essere appresa tramite conoscenza o patti con potenze ultraterrene. Una delle figure più famose è Faust (si dice fosse mago e negromante), personaggio del XVI sec. presente in molte storie che vendette la propria anima a Satana in cambio di giovinezza, sapienza e poteri arcani. Per alcuni fu un malvagio senza speranza di redenzione destinato alla dannazione eterna, per altri fu il simbolo di eroica e non peccaminosa ricerca di conoscenza e potere, degno di salvezza, come mostrato dal poema drammatico scritto da Goethe che porta appunto il nome di tale personaggio. Quale che sia l’opinione, il patto con forze oscure ha origini antiche e appartiene alle credenze religiose sia ebraiche sia cristiane.
Oscuro come lo è la negromanzia, l’arte magica legata ai morti, la magia nera, conosciuta fin dall’antica Grecia dove si scendeva nell’Ade per consultare i defunti, come fa Ulisse quando è sull’isola di Circe. Ma la negromanzia non è solo divinazione: nella sua connotazione più conosciuta è legata al riportare in vita i morti, a usarli per i propri fini, quale a esempio fare del male a un nemico.
Famoso come Faust fu Cagliostro (il cui vero nome era Giuseppe Giovanni Battista Vincenzo Pietro Antonio Matteo Balsamo), oltre che per le truffe, soprattutto per la pratica dell’alchimia, conosciuta in tutto il mondo per il cercare di creare la famosa pietra filosofale, una sostanza capace di trasformare i metalli comuni in oro, bloccare i processi d’invecchiamento e restituire la giovinezza, creando così l’elisir di lunga vita.
Fullmetal AlchemistProprio la pietra filosofale è al centro delle vicende del primo volume della saga di Harry Potter, dove Voldemort cerca d’impossessarsene per tornare in vita, dato che si trova in una condizione tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Questo ricorda che uno degli obiettivi degli alchimisti era trovare una tecnica per produrre artificialmente la vita umana, i cosiddetti homunculus, che sono al centro delle vicende, come l’alchimia e appunto la famosa pietra filosofale, del manga di Hiromu Arakawa, Full Metal Alchemist. In esso viene mostrato il processo di creazione dell’homunculus descritto da Paracelso, personaggio vissuto nel XVI secolo, i cui studi nel campo della medicina influenzarono Mary Shelley nella creazione del romanzo Frankenstein.
Oltre al fumetto e all’anime tratto da esso, esiste un film, Fullmetal Alchemist – The Movie: Il conquistatore di Shamballa, sequel della prima serie televisiva, dove le vicende si sviluppano in parte nel mondo terrestre, di preciso nella Germania del 1923, dove i tedeschi stanno cercando di aprire un portale per raggiungere Amestris (nazione dei protagonisti della storia), ritenuta però da loro la famosa Shamballa (già citata nell’articolo all’inizio), luogo dove sono convinti di trovare straordinari poteri utili alla loro causa. In tale opera viene mostrato un elemento interessante della storia recente: la Società di Thule, fondata nel 1910 da Felix Niedner, che influenzerà il nazismo sia per quanto riguarda il desiderio di dominio sul mondo, sia per la predicazione dell’esistenza della razza superiore formata dagli ariani, ritenuti semidei col compito di liberare il mondo dagli ebrei (si nota che anche Guillermo del Toro con il film Hellboy del 2004 usa per la sua storia tale società). La Thule s’ispirò molto anche al Buddhismo tibetano (deformandone i contenuti) e anche alle dottrine esoteriche di Helena Petrovna Blavatsky che sosteneva di essere in contatto telepatico con gli antichi “Maestri sconosciuti”, i sopravvissuti di una razza eletta vissuta tra Tibet e Nepal, che si sarebbero rifugiati in seguito a una catastrofe nelle viscere della terra, dove avrebbero fondato una civiltà sotterranea, la mitica Agarthi.
L’eredità ideologica della società Thule fu raccolta dal Partito Nazionalsocialista tedesco (NSDAP): Adolf Hitler e il suo movimento forgiarono il loro pensiero e cominciarono la loro scalata proprio all’ombra di personaggi come Glauer ed Eckart, che iniziò il fuhrer alla Società Thule nel 1919. Anche se gli storici preferiscono ignorare tale teoria, ricorre spesso l’idea che l’incubo nazista sia stato un tentativo di creare un’alleanza con forze soprannaturali per avere il controllo del pianeta e non va sottovalutato l’interesse per l’esoterismo che il nazismo aveva già dal XIX secolo. Soprattutto due figure di spicco come Himmler e lo stesso Hitler avevano una forte attrazione per le forze soprannaturali. Il primo fu influenzato dal pensiero di Karl Maria Wiligut e creò nel 1932 l’Ahnenerbe (istituto per ricerche di preistoria, archeologia e misticismo occulto della cultura germanica), che fu la causa degli atroci esperimenti condotti nei campi di concentramento su esseri umani viventi. Il secondo ebbe una forte attrazione per oggetti religiosi sacri leggendari come la Lancia di Longino, il Sacro Graal, convinto che essi potessero conferirgli il potere di dominare il mondo: tale fatto è riportato dalla testimonianza di Ravencroft nel libro The Spear of Destiny, ma non ha basi che trovano sicuri riscontri; tuttavia è innegabile che tutto ciò sia stato fonte d’ispirazione per film come I predatori dell’arca perduta (1981) e Indiana Jones e l’ultima crociata (1989).
Forze provenienti da un altro mondo non furono fascinazione appartenente solo al mondo nazista: nella California degli anni Quaranta, attraverso la magia cerimoniale, Jack Parsons si dedicò al rito occulto conosciuto come Opera di Babalon, avente lo scopo d’evocare un’entità soprannaturale e farla incarnare in forma umana. Secondo alcuni il rituale portò alla creazione di un passaggio che fece accedere alla Terra i Grandi Antichi (o Grandi Anziani, come si vedrà in seguito), creature del caos che ispirarono uno degli autori recenti più conosciuti, Howard Philips Lovecraft. La descrizione e le storie che creò su queste creature sono entrate di forza nell’immaginario umano: esseri enormi e mostruosi che vivono in un universo estraneo e pericoloso, giunti sulla Terra per infestarla e reclamarla come proprietà. Azathoth, dio cieco e idiota, mostro balbettante, incarnazione del caos e della follia. Nyarlathotep, messaggero degli Anziani, appare in tante forme quali giovane o pipistrello nero cono un solo occhio trilobato e può essere evocato con il Trapezoedro splendente. Yog-Sothot, il Tutto in Uno e Uno in Tutto, sovrapponibile allo spazio e a tutto il tempo, la Porta attraverso cui i Grandi Anziani torneranno ad annullare la razza umana. Hastur, colui che non deve essere nominato. Shub-Niggurath, la capra nera delle foreste con mille piccoli. Cthulhu, uno dei Grandi Antichi immaginati da Howard Philips LovecraftCthulhu, mastodontica incarnazione della violenza, giunto sulla Terra da eoni, creatura umanoide ricoperta da scaglie con testa a forma di calamaro dominata da tentacoli, con sulla schiena grandi ali simili a cuoio: creatore della città R’lyeh nel luogo ora appartenente all’oceano Pacifico e che è crollata dopo un cataclisma, portandolo con sé dove ancora aspetta sognando.
Quest’ultima figura è quella che più ha colpito i lettori, perché è ciò che non è morto e in eterno può dormire e in tempi misteriosi persino la morte può morire, come riportato nel famoso Necronomicon, il Libro dei Morti, altra famosa creazione di Lovecraft, talmente ben riuscita che in molti hanno ritenuto e ritengono che sia un libro realmente esistito al pari di The key of Solomon e il Grimoire of Honorius, due tra i grimori conosciuti più celebri, fonti della sapienza dei maghi, delle formule magiche, dell’esecuzione dei riti, degli appelli da fare alle forze divine per effettuare evocazioni. Libro dei Morti che sarà protagonista delle vicende dei film di Sam Raimi, La casa (1982), La casa 2 (1987) e L’armata delle tenebre (1992).
Il divertente di quest’ultima opera è che nonostante le dichiarazioni dell’autore ci sia chi creda davvero nell’esistenza del tomo, malgrado Lovecraft considerasse stupidi e meritevoli di disprezzo occultisti e occultismo, non credendo assolutamente in esso.

Come si è visto finora, la figura del libro in qualsiasi forma e contesto è importante e simbolo di conoscenza e fonte di potere, la chiave per accedere a qualcosa di più grande: ogni religione, cultura, ha avuto i suoi tomi del mistero, colmi di formule segrete, ed è stato naturale che anche la letteratura, specie quella fantastica, ne sia stata influenzata. Il già citato Harry Potter, ma anche il film d’animazione La Spada nella Roccia (1963), per non parlare delle più classiche ambientazioni di D&D, da cui hanno preso origine saghe famose come quelle di Dragonlance create da Margaret Weis e Tracy Hickman, dove i maghi studiano e imparano incantesimi dai volumi custoditi nelle famose Torri della Magia; oppure l’Ildatch, libro con tutta la magia nera dei Demoni capace di dare vita a esseri temibili e malvagi come Il Signore degli Inganni e le Mortombre, creato da Terry Brooks per la sua prima trilogia di Shannara.
La magia viene vista in opere del genere spesso come qualcosa per pochi (salvo rari casi come nel Ciclo di Darksword di Weis e Hickman, dove praticamente sono tutti maghi), per individui che ce l’hanno nel sangue, che sono dotati di particolari capacità fin dalla nascita: è così per i Mistborn di Brandon Sanderson (dove però la “magia” non è conferita da formule o incantesimi, ma dall’ingerire metalli, ognuno dei quali conferisce una determinata capacità), per le Aes Sedai e gli uomini capaci d’incanalare di La Ruota del Tempo. Ma non sempre la forza di usare la magia viene dal mago, come per esempio nel mondo di La via del fuoco, secondo volume della trilogia di Fionavar di Guy Gavriel KayFionavar di Guy Gavriel Kay, dove chi opera la magia ha bisogno di una Fonte cui attingere, ovvero creare un legame particolare con un’altra persona che gli presti la propria energia per lanciare gli incantesimi; in modo simile avviene nel Ciclo di Darksword, dove i maghi, ognuno con una predisposizione in un determinato campo, ha bisogno della classe dei Catalizzatori perché gli diano energia per usare il loro potere.
Come tutte le cose però va ricordato che anche ciò che è molto potente, ha dei limiti (spesso legati alla resistenza fisica e mentale dell’individuo) e dei costi da pagare, dato che il suo uso logora il corpo e prosciuga l’energia vitale (come viene mostrato in Allanon, ultimo dei Druidi, in Le Pietre Magiche di Shannara di Brooks), che crea dipendenza fino a consumare completamente chi la usa. Ma anche se permette di superare molti limiti, non è qualcosa d’onnipotente, incapace di essere fermata: come ogni cosa ha il suo opposto capace di fermarla e annullarla. A esempio la Pietra Nera del mondo di Shannara, che annulla e assorbe la magia facendola confluire nel corpo di chi usa questo oggetto magico; la Spada Nera di Darksword e l’amuleto a forma di volpe che porta al collo Matt Cauthon in La Ruota del Tempo per annullare i flussi di Potere.

Di fronte a questa lunga digressione, la conclusione cui si giunge è che le storie che si sentono sulla magia sono racconti per intrattenere e far passare il tempo, nella migliore delle ipotesi proiezioni della mente umana usate per comprendere attraverso figure archetipe ciò che d’invisibile c’è nell’uomo, come la psiche, la mente: da qualsiasi punto lo si veda, non è qualcosa di reale, per quanti sforzi si siano fatti per dimostrare il contrario.
Invece queste cose ritenute solo frutto dell’immaginazione, entrano a far parte del reale, perché spesso la convinzione, il credere in esse dell’uomo è tale che le vuole rendere vere, portando a compiere atti purtroppo più che concreti. Un esempio sono le sette sataniche, purtroppo diffuse anche in Italia, dove gli adepti che ne fanno parte arrivavano a compiere per attuare i rituali, stupri, orge, omicidi, dando vita ad atrocità che dovrebbero appartenere solamente ai racconti dell’orrore.
Che però il maligno, le forze demoniache, esistano per davvero, non è convinzione solo dei satanisti, ma appartiene alla stessa Chiesa fin da quando è stata fondata, come viene mostrato nei Vangeli, con Gesù che esorcizza un uomo posseduto dal demone Legione (Vangelo secondo Marco 5,1-20, Vangelo secondo Matteo 8,28-34 e Vangelo secondo Luca 8,26-39). Ma non è qualcosa riservato solo alla religione cristiana: in tutte le religioni ci sono state e ci sono persone preposte all’esorcismo degli spiriti maligni che si sono impossessati di donne e uomini, anche bambini. E’ divenuta famosa l’interpretazione di Linda Blair nel film del 1973 L’Esorcista (tratto dal best-seller omonimo di William Peter Blatty), che quando uscì fece tanto scalpore oltre per il vomito verde e teste che si giravano a guardare dietro la schiena, per il fatto che il male prendeva la forma di una bambina, simbolo d’innocenza e candore, e perché a livello sociologico mostrava il ripiegamento della società su se stessa, del suo egoismo e della sua ipocrisia. Ma tali elementi, utilizzati per spettacolarizzare la storia da raccontare, sono lontani da quella che è la realtà: niente di appariscente, perché il Diavolo preferisce agire senza che ci si accorga di lui, come spiegato da Padre Amorth, uno degli esorcisti riconosciuti ufficialmente dalla Chiesa. Riconoscere una possessione non è facile, spesso si tratta di epilessia, schizofrenia o altri disturbi psichici, ma esistono casi in cui solo attraverso rituali specifici con l’uso di oggetti sacri quali croci, ostie consacrate e acqua benedetta, è stato possibile riportare a una condizione normale individui la cui esistenza era tormentata da forze non spiegabili dalla scienza.

Molti degli argomenti di cui si è parlato possono essere considerate semplici storie, a cui è meglio non credere perché non possono essere confutate dalla scienza, rimanendo solo fantasie o teorie. Di certo, finché l’uomo sarà capace di usare l’immaginazione, la magia esisterà sempre.

Fonti su cui ci si è basati per realizzare l’articolo (apparso sul numero 9 di Effemme):
– Storia dei maghi. Alan Baker. I edizione Oscar Mondadori 2005
– Manuale di storia delle religioni. G.Filoramo, M.Massenzio, M.Raveri, P.Scarpi. Mondadori 1998
– Dizionario universale dei miti e delle leggende. Anthony Mercatante. Mondadori 2002

Mistborn: alcuni miti alla base della trilogia

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La saga Mistborn di Brandon Sanderson, oltre ad aver colpito per lo stile e la capacità dello scrittore statunitense di caratterizzare i personaggi e creare un mondo e una storia epica, ha suscitato interesse per il sistema di poteri usato: tali poteri infatti ruotano attorno ai metalli che persone con un particolare metabolismo sono in grado di assimilare, utilizzandoli per sviluppare capacità fuori dal comune. Questa è l’allomanzia, ma non è l’unico potere mistico della saga. Si ha la feruchemia, dove i Custodi immagazzinano in anelli e bracciali metallici capacità fisiche (velocità, guarigione, forza) e mentali (memorie) da utilizzare quando ce n’è bisogno, e l’emulargia, che trasmette i poteri di un allomante a un’altra persona attraverso un processo cruento utilizzando spuntoni metallici che si conficcano nei corpi.
Poteri che dai più sono considerati divini, tant’è che uno dei sedici metalli usati da queste tre capacità è il corpo di Rovina, uno dei due dei che ha permesso la nascita dell’uomo. Un’idea che può sembrare innovativa quella usata da Sanderson, perché nell’immaginario comune è qualcosa di poco conosciuto, ma esistono miti che narrano di come i metalli fossero parte di esseri divini.
Immagine di Gayomart nella mitologia persianaUn esempio di ciò viene dall’Antica Persia, dove il primo uomo, l’uomo dell’origine del mondo, chiamato Gayomart, veniva raffigurato come un essere di enorme statura, promanante luce. Quando morì, dal suo corpo sprizzarono tutte le specie dei metalli, e dalla sua anima nacque l’oro. (1)
Si può fare un’analogia a seguito di tale passo con l’associazione anima/oro con il potere nato dal consumo di tale metallo in Mistborn: l’anima, oltre come prezioso possesso di ogni individuo (l’insieme di tutte le qualità umane che fanno difetto nell’atteggiamento cosciente (2)), viene visto come orizzonte di conoscenza e infatti la capacità dell’uso di questo metallo è quello di far conoscere il proprio passato.
Altro elemento che ha avuto importanza nelle religioni, ma anche in psicologia, e che è usato in questa saga, è il numero 16: infatti, il numero 16, ha una particolare importanza risultando composto da quattro volte quattro, dove le manifestazioni più naturali e spontanee del centro psichico sono caratterizzate dal movimento quaternario – cioè a dire dal fatto che presentano quattro aspetti distinti (3). (Carl Gustav Jung ha sempre dato molta importanza al fatto che la psiche fosse divisa in quattro parti: intuizione, sensazione, pensiero, sentimento). Il numerico karmico 16 rappresenta la speranza di elevarsi, di distinguersi, eliminando le false impalcature create: è lampante tutto ciò in Il Campione delle Ere, quando Elendil capisce cosa significa la ricorrenza di tale numero e come da tale comprensione nasca la conoscenza per far arrivare degli uomini ad avere i poteri di un dio.
Sempre parlando di essere divini, altro mito simbolico dell’antica India che emerge nella lettura della saga è quello di Purusha o uomo cosmico, il “grande uomo” che riscatta l’individuo sollevandolo dal livello del mondo effettuale e delle sue miserie, a quello della sua eterna, originaria sfera. Nell’inno (X, 90) del Ṛgveda, detto anche Puruṣa sūkta, un inno del tardo periodo vedico, il Puruṣa è descritto come tanto vasto da coprire e lo spazio e il tempo; ma di questo essere immenso, che può essere visto come la personificazione della realtà ancora immanifesta, è visibile soltanto un quarto. Da questo quarto ebbe origine innanzitutto il principio femminile (virāj) e quindi l’umanità. Il Puruṣa venne poi steso per terra dai deva e offerto in sacrificio secondo il rito, affinché avessero origine il mondo, gli animali, le caste, altri dèi, e i Veda stessi. Il sacrificio è dunque l’atto col quale il mondo viene creato: l’Uomo cosmico, il Puruṣa, sacrifica una parte di sé per dare origine all’umanità e all’universo (fonte Wikipedia).
Da questa descrizione si comprende non solo come Preservazione dà vita agli uomini (il dio che sacrifica una parte di sé per far nascere gli esseri umani), ma anche l’elevazione finale cui va incontro Sazed quando comprende la verità nascosta dietro le profezie del passato (divenendo quello che qui è chiamato l’uomo cosmico).
Che Sanderson possedesse la conoscenza di queste storie o, come dice Jung, fosse qualcosa venuto dall’inconscio, non ha molta importanza, anche se può essere interessante saperlo: è importante invece come attraverso la storia creata dall’autore venga a galla una conoscenza che renda più consapevole chi la legge.

1- L’uomo e i suoi simboli. Carlo Gustav Jung, pag.180 . Tea, 2010
2- Vocabolario – Le parole dei mondi più grandi. Igor Sibaldi, pag.40. Anima Edizioni 2009
3- L’uomo e i suoi simboli. Carlo Gustav Jung, pag.180 . Tea, 2010

Storie di Asklivion – Strade nascoste : una recensione

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Storie di Asklivion - Strade NascosteSul suo blog, Gabriele Ninci (conosciuto in rete con il nickname Tanabrus) ha scritto la recensione di Storie di Asklivion – Strade nascoste.
Come scritto nel commento lasciato in risposta al suo post, mi sono trovato concorde con il punto di vista che ha espresso. L’avevo già scritto in un altro post, ero e sono convinto della bontà del lavoro svolto; questo non significa che non lo reputi migliorabile, anzi. Soprattutto la prima parte (proprio su questa la recensione pone attenzione) reputo che sia quella più lenta, che può coinvolgere di meno il lettore perché non s’addentra subito nel vivo della storia, ma ci si avvicina lentamente, in apparenza facendola sembrare slegata a essa, come se ogni capitolo iniziale dedicato a un singolo personaggio fosse un racconto a sé stante. Riprendendo le parole di Gabriele, può sembrare di leggere una storia di Sapkovski, come visto nelle antologie di racconti dedicati a Geralt di Rivia (anche se ai tempi in cui scrivevo quelle parti (2001) non avevo letto nulla dell’autore polacco, dato che non era stato ancora tradotto in Italia, cosa avvenuta solo dal 2010 in poi, e che io non leggevo romanzi in inglese all’epoca).
Perché usare un approccio del genere?
Quando ho iniziato a scrivere non avevo l’esperienza scrittoria acquisita negli anni e con le capacità di allora è stata a mio avviso la scelta migliore, puntando al non cercare di fare, o meglio strafare, ma al fare cose semplici: avere un approccio soft per permettere al lettore di ambientarsi e conoscere con calma il mondo e i personaggi. Non sono pentito di quella scelta, ma con l’esperienza acquisita nello scrivere, anche grazie a letture fatte in seguito (EriksonSanderson e Jordan allora non li avevo ancora letti, ma dalle loro opere c’è da imparare molto), più sintesi e un’alternanza maggiore in alcuni punti della prima parte tra azione e pensiero sarebbero stati appropriati; attualmente, se volessi modificare l’impostazione della prima parte basterebbe usare una costruzione differente che riassume molto senza perdere nulla (l’uso dei flashback, come fatto in seguito, permetterebbe una maggiore incisività). E non è detto che non lo faccia, proprio come ho fatto con Non Siete Intoccabili, anche se in questo caso si tratterebbe di un lavoro differente: occorrerebbe solo fare dei tagli, tenendo le parti più rilevanti, non dover riscrivere interi brani cambiando anche struttura della storia e dei personaggi; questo in Storie di Asklivion – Strade nascoste non è necessario, occorre solo velocizzare l’inizio.
Parlando d’esperienza, penso abbia cominciato a farsi vedere dal capitolo dieci, quando ormai erano due anni che scrivevo, permettendo di avere un approccio con il lettore più efficace, con il ritmo che diventa più veloce e i tasselli della storia che cominciano a dare forma al quadro d’insieme, lasciando da parte gli aspetti filosofici e psicologici che avevano avuto largo spazio finora, specie con Ghendor.
Perché ho puntato tanto su simili aspetti?
Perché si scrive quello che piace e per me la ricerca di consapevolezza, la scoperta di cose nuove e del passato è importante: per questo ho voluto attraverso l’uso di filosofia, teologia, simbolismo farne uno dei perni del romanzo. Non è una scelta commerciale, che si adegua alla maggioranza di libri fantasy che vengono prodotti (cosa propone e fa andare per la maggiore il mercato) perché reputo che sia un modo di dare maggior rispetto al genere, che ha nelle sue corde un grande potenziale per essere una letteratura da cui si può imparare molto. Sono consapevole che il personaggio di Ghendor risulta pesante e pedante, ma questo è il giudizio che ho voluto che si creasse conoscendolo soprattutto all’inizio (non è mai capitato nella vita reale d’incontrare qualcuno con la tendenza a voler insegnare e ad averlo giudicato stancante e seccante?), per mostrare come il restare chiuso nei suoi studi e nella vita quotidiana l’abbiano limitato e bloccato, rinchiuso in una esistenza che non è quella che ha da vivere, dove ha tanto da imparare ancora, piuttosto che cercare d’insegnare agli altri.
Altro punto fatto notare dalla recensione è l’uso che faccio dell’introspezione: è un elemento che uso molto perché è un mezzo che in un libro ritengo sia utile per affrontare cose di cui è difficile parlare; magari una sintesi maggiore può essere utile per essere più incisivi.

La recensione è mirata ed equilibrata a focalizzare punti forti e deboli del romanzo, utile a migliorare come lo è stata quella su Non siete intoccabili, perché ha dato spunti che sono serviti per dare idee su dove intervenire e migliorare il lavoro.

Steelheart

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steelheartOccorre fare una premessa doverosa quando si parla di Steelheart di Brandon Sanderson: benché l’autore americano sia conosciuto come scrittore di libri fantasy, il primo volume di questa sua nuova trilogia (negli Stati Uniti ci si avvicina all’uscita del secondo volume, Firefight) non è un romanzo fantasy, non importa se nella quarta di copertina l’editore italiano Fanucci lo reputa tale o se in rete si leggono commenti che lo definiscono in questa maniera. Steelheart appartiene alla fantascienza, se proprio si vuole essere precisi al genere supereroistico e distopico, tema quest’ultimo caro a Sanderson, visto quanto pubblicato finora: anche se con ambientazione diversa, l’idea del gruppo di ribelli che si contrappone ad autorità dotate di grandi poteri capaci di mettere in ginocchio un’intera popolazione (grazie anche a un vasto spiegamento di forze militari), ricorda quanto già incontrato in L’Ultimo impero, primo romanzo della trilogia Mistborn. Abbiamo David, il protagonista da poco divenuto uomo, che per anni ha pianificato la sua vendetta contro Steelheart, colui che ha ucciso il padre e piegato ai suoi voleri l’intera città in cui vive (come fatto da tanti altri esseri come lui in altre metropoli), proprio come Kelsier ha fatto con il Lord Reggente dopo che gli ha ucciso la moglie. Invece d’essere avvolta dalle nebbie come accade nelle Dominazioni, si ha a che fare con una città perennemente avvolta dalla notte a causa di Nightwielder, uno degli Epici al servizio del despota nemico.
Ma chi sono questi Epici che tanto hanno sconvolto la Terra e come sono comparsi?
Le notizie chi si hanno sul loro conto non sono chiare. Un tempo erano esseri umani comuni, ma dopo la comparsa nel cielo di Calamity, hanno sviluppato poteri soprannaturali; poteri talmente grandi da fargli perdere ogni morale (ben mostrata questa realtà, soprattutto sul come più si usino i poteri, più la mente e l’umanità si degenerino, alienando chi li possiede), considerandosi al di sopra di qualsiasi legge, di qualsiasi individuo e di poter disporre di tutto come vogliono. Non si sa se Calamity sia un esperimento del governo che ha voluto creare una razza di superuomini oppure si tratti di una cometa venuta dalle profondità dello spazio capace di conferire capacità straordinarie; teoria questa che rende forte l’analogia con Wild Cards – L’origine, il primo romanzo della serie curata da George R.R. Martin assieme ad altri autori. Solo che in quel caso il tema della nascita dei poteri viene affrontato in tono più maturo, più approfondito, mostrando la caccia che viene fatta dal governo alle persone dotate di poteri, come esse siano trattate come dei diversi, dei mostri, una minaccia da tenere sotto controllo. Sotto certi aspetti, l’opera di Martin ricorda le serie degli X-men; quella di Sanderson invece fa venire in mente fin dalla prima apparizione di Steelheart, Superman, grazie al suo mantello svolazzante, alla sua capacità di volare, alla sua invulnerabilità a qualsiasi forma di attacco. Solo che in questo caso si ha a che fare con un supereroe malvagio, proprio come succede nel film di animazione Justice League – La crisi dei due mondi (2010, diretto da Lauren Montgomery e Sam Liu), dove si ha un universo parallelo con le parti tra buoni e cattivi invertite (si ha un Lex Luthor in versione eroica e la Justice League che è il Sindacato del Crimine).
Sanderson, come si è visto, non crea nulla di originale, prendendo spunti da trame e tematiche già affrontate, ma sa realizzare una storia avvincente che scorre piacevole fino alla fine, tenendo vivo l’interesse. Buono lo stile e le idee usate, come quella dell’equipaggiamento degli Eliminatori sviluppato grazie allo studio fatto sui poteri e sul dna degli Epici. Buona la caratterizzazione dei personaggi, sviluppata per essere adatta a un romanzo young adult: benché il tema della distopia possa essere cupo, viene affrontato con un tono leggero, ma non per questo superficiale; solamente non mostra i lati più crudi e oscuri come potrebbero fare altri autori.
Tuttavia, uno dei nei del romanzo è proprio questa leggerezza e il fatto di puntare su un aspetto ben diffuso degli young adult. David fin da subito prende una cotta per Megan, la prima degli Eliminatori che incontra, e benché il suo pensiero dovrebbe essere solo quello della vendetta, appena conosciuta la ragazza, la sua mente non fa che andare sempre su come le sue azioni possano fare colpo su di lei. E’ vero che è un diciottenne, ma è inverosimile che in una situazione di estremo pericolo dove la morte è a un passo, i pensieri non siano pervasi dal terrore, dall’istinto di sopravvivenza, dall’adrenalina, ma siano volti su come le proprie gesta possano trovare una reazione positiva sulla bella. Da uno scrittore come Sanderson non ci si aspetta scivolate del genere, rimanendo nel dubbio se sia stata una mancanza o un adeguarsi alle richieste del mercato; già in altre sue opere ci sono state storie di amore (anche se questa è appena agli inizi, non trova ancora un vero sviluppo) come nella serie Misborn e Il Conciliatore, ma erano state affrontate in maniera migliore, non con cadute di tono come in questo caso.
Un altro neo è l’uso di “metafore” (come le chiama uno dei personaggi) durante i dialoghi per alleggerire le situazioni, cercando di risultare simpatici andando un po’ sopra le righe: in alcuni casi sono una forzatura e risultano un po’ assurdi.
Il romanzo ha una buona atmosfera, i colpi di scena funzionano, anche se s’intuisce da subito quale può essere il punto debole di Steelheart (tutti gli Epici ne hanno uno); come si capisce bene nella scena della tromba dell’ascensore che c’è un intervento particolare, di cui si capisce a quale natura può appartenere.
Tolti questi punti, la storia è piacevole e adempie perfettamente nel compito d’intrattenere: un buon libro che invoglia nel continuare a seguire le vicende dei protagonisti; non l’opera migliore di Sanderson, che ha dimostrato in altri volumi il suo reale valore, ma una lettura consigliata e più che meritevole.

Le Dominazioni di Brandon Sanderson

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Perché il nuovo possa nascere, il vecchio deve morire.
E’ una legge che la sapienza trasmessa dalla saggezza da sempre insegna, il principio che sta alla base del cambiamento e dell’esistenza.
Così è per l’uomo (che dopo ogni esperienza, anche se in apparenza rimane uguale, muta perché ciò che era stato scompare e viene sostituito da ciò che è divenuto), così è per i mondi.
Spesso si parte dall’idea che il nuovo sia qualcosa di positivo e migliorativo rispetto a quanto è stato; un’evoluzione che abbia rafforzato gli aspetti buoni e sia andata a correggere o eliminare i lati negativi.
Una linea di pensiero corretta, basta avere una conoscenza e una consapevolezza tali da permettere di muoversi in maniera costruttiva e mirata. Se vengono a mancare queste condizioni, l’esito può non essere quello preventivato, ponendo in una condizione peggiore di quella che si era conosciuta.
E’ da tale punto che prende inizio la saga Mistborn di Brandon Sanderson. Un mondo scaturito dalle convinzioni e dai modi di agire di molti.
Possono davvero le scelte dei singoli individui andare a condizionare e modificare la struttura e il destino di un pianeta?
Una domanda retorica, la cui risposta è certamente.
Sanderson lo fa in maniera figurativa, ma mostra come le scelte degli uomini possano influenzarlo. Certo, nella realtà non esistono poteri superiori tali da far avvicinare gli uomini a divinità distruttive o creative, ma ogni scelta ha potere ed effetto sulla realtà circostante di chi la effettua. E la somma di tali scelte produce un risultato significativo. Un risultato che, nel bene e nel male, dimostra la forza e l’importanza del libero arbitrio concesso agli esseri umani e per il quale si è arrivati a correre il rischio di perdere tutto, come già l’autore scrive nelle prime pagine della sua storia attraverso i pensieri del Campione delle Ere “Le profezie di Terris dicono che io avrò il potere di salvare il mondo. D’altra parte lasciano intendere che avrò anche il potere di distruggerlo.”(1). Un modo perché nel lettore si instauri il sospetto che gli uomini, essendo creature materiali (e pertanto fallibili), possano far prendere una piega sbagliata alle cose, dando un risultato diverso da quello che ci si aspettava.
E il quadro di un mondo in cui ci sono piogge di cenere, le foglie degli alberi non sono verdi e la nebbia è una presenza costante, rende fin da subito l’idea della piega che può aver preso il passato.
Come già altre storie e miti hanno narrato, il mondo è stato vicino alla sua fine: una profezia antica l’ha rivelato. E una profezia altrettanto antica ha mostrato che c’era un modo per salvarlo.
Ma le profezie spesso sono nebulose, traviate da traduzioni erronee o manipolate perché si raggiungano certi scopi. Proprio quest’ultimo è il punto più pericoloso perché è difficile capire chi sta agendo nell’ombra e dello scopo che si è prefisso di raggiungere. Senza la sua conoscenza gli uomini non sono che pedine usate e il mondo, anch’esso una parte viva dell’esistenza, non è altro che un tavolo, una scacchiera su cui altri si muovono. Almeno fino a quando non si arriva al punto di rottura dell’equilibrio: a quel punto diventa una forza vendicatrice fuori controllo perché ci si è spinti oltre certi limiti.
Così gli uomini, sicuri di essere padroni del mondo e di disporre a proprio piacimento delle sue risorse, si ritrovano a essere in lotta con poteri di cui sono stati all’oscuro per secoli, la cui conoscenza è stata tenuta segreta da colui che avevano considerato un dio, il Lord Reggente. Un uomo che sì ha acquisito un grande potere, ma che è stato grazie a un’abile artefatto che è riuscito a mantenere per secoli la vita e il potere; un’azione in apparenza mossa da uno smisurato ego e da avidità, ma che in realtà cela una grande paura e il tentativo disperato di salvare il mondo da una mente ancora peggiore di quella che ha creato una società basata su nobili e schiavi, suddividendo in maniera squilibrata la ricchezza del pianeta tra pochi scelti, lasciando a molti soltanto le briciole per sopravvivere.
Una società gerarchica con lui a capo di tutto, aiutato da Inquisitori e Stipulatori per tenere sotto controllo la nobiltà e assicurarsi che le rigide regole dettate fossero rispettate: perfino le nascite erano controllate e soltanto quelle tra simili erano permesse, perché non potesse esserci niente in grado di mettere in pericolo il potere di quello che da molti era considerato un dio.
Certo, questo può sembrare la tipica paranoia dei tiranni e dei potenti che hanno paura di perdere il proprio trono e regno, che temono la morte. E il Lord Reggente teme la propria morte, ma non per se stesso, che ormai sente la propria vita come un pesante fardello che a fatica porta sulle spalle, quanto per gli altri, dato che vede la propria scomparsa come la rimozione dell’unico ostacolo capace di fermare quella forza che in ogni modo vuole uscire dalla prigione in cui è stata confinata. La cessazione della sua esistenza renderebbe vera la legge che ciò che ha un inizio ha anche una fine; perché, anche se agli occhi di molti il suo regno è stato un dominio di sopraffazione, schiavitù, limitazione, è anche vero che ha salvato tutto da una fine definitiva: le sue azioni erano per la salvezza. Solamente che nel momento della scelta non ha avuto altro modo per attuare il suo intento: la mancanza di conoscenza, l’ignoranza che stava alla base delle sue origini, non gli ha permesso di fare di più. Avendo tra le mani un potere divino, ma non il modo di gestirlo a dovere, ha potuto solo attuare soluzioni che tamponassero i danni.
Il pianeta troppo vicino al sole avrebbe bruciato sì le nebbie, ma anche ogni altra cosa, perciò fece sorgere i Monti Cenere, così che eruttando i fiocchi scuri creassero un velo capace di proteggere dai violenti raggi solari; a seguito di ciò dovette modificare la vegetazione del mondo perché potesse sopravvivere alle nuove condizioni climatiche e allo stesso modo anche gli uomini. E perché non ci fosse qualcuno che malauguratamente potesse trovare il luogo capace di liberare il pericoloso potere e la coscienza che vi era legata, modificò l’intera geografia del pianeta.
Come nel passato la mancanza di conoscenza fu causa di problemi e sofferenze che avrebbero pagato in molti (come le crociate per estirpare ogni religione e culto fino a farne perdere ogni ricordo), di nuovo essa risulta essere fonte di problemi quando le azioni mosse dal gruppo di ribelli guidati da Kelsier portano alla caduta del Lord Reggente: tutti si aspettavano che si aprisse una nuova era.
E così s’è verificato, ma di nuovo l’ignoranza ha portato conseguenze da fronteggiare senza esserne preparati (non è un caso che Sanderson abbia scelto come ambientazione un mondo in stile medievale. E’ proprio l’uso di fortificazioni, castelli, merli, guglie, simboli di uno dei periodi più bui e chiusi della storia qual è stato il Medioevo, che rende al meglio un periodo permeato da paura, mancanza d’apertura, rappresentato anche dalla ristrettezza di vie di comunicazioni e possibilità di scambi con altre società, mantenendo per secoli nella civiltà delle Dominazioni praticamente fermo lo stato d’avanzamento dell’evoluzione e dello sviluppo tecnologico). Questo è avvenuto perché la conoscenza non è soltanto una questione d’accumulo culturale, come fanno i Custodi, che seguono una tradizione secolare il cui scopo credono essere quello di dare una speranza, una ragione per gli uomini per vivere meglio; depositari di un grande sapere, sono privi di quell’unico tassello che darebbe una visione nuova e completa a tutto l’insieme, permettendo di trovare la chiave della storia del mondo. Infatti, per secoli si sono mossi ignorando che ogni religione aveva un frammento per creare questa chiave capace d’aprire la porta a una conoscenza in grado di sistemare ogni cosa, rimetterla al proprio posto.
Quante volte si sono ascoltate storie del genere, storie di culture che hanno perso il sapere del passato e sono andate in rovina o scomparse. Quante volte ascoltando i credo di diverse religioni ci si è accorti di cogliere delle sfumature simili, rendendosi conto che nessuno di essi possiede la verità assoluta, ma ognuno racchiude frammenti di verità che permettono di raggiungere una comprensione maggiore dell’esistenza.
Ma perché questo avvenga occorre una ricerca tenace come quella intrapresa da Vin, convinta che le nebbie che scivolano sul pianeta non siano soltanto un elemento atmosferico e che ci sia qualcosa d’importante nascosto dai Kandra (creature che si scoprirà essere nate dal potere e dalla manipolazione, non certo dall’evoluzione naturale), e un lavoro di tutta una vita come quello portato avanti da Sazed.
E’ proprio l’unione di questi due fattori che non solo porta alla luce il fatto che il mondo conosciuto non è che un’ombra, una brutta copia di quello originale, ma che permette di raggiungere una salvezza insperata e poter dare vita a un nuovo mondo, un mondo che sarà come quello che era un tempo e anche molto di più, perché ha avuto la possibilità di andare avanti.
Privo delle restrizioni del passato che aveva mantenuto un sistema statico, si è sviluppato un nuovo stile di vita, basato sul progresso, su una tecnologia simile a quella dei primi anni del nostro ventesimo secolo: ferrovie, macchine a vapore, strade e case illuminate dall’elettricità.
Il mondo cambia e così anche il modo di vedere le conoscenze passate: quello che un tempo era considerato realtà, ora è visto come racconti, tradizioni appartenenti a miti e religioni, fatti che sono considerati storie lontane e distanti dalla realtà.
Così accade sempre per ogni cosa che diventa passato, lasciando posto al nuovo. Ma se si sa cercare, si scopre che c’è sempre la verità sotto strati di dimenticanza: aspetta solo d’essere riscoperta.

(1) L’ultimo impero, pag 41. 2009 Fanucci Editore

Il ciclo dei Mistborn: L’Ultimo Impero, Il Pozzo dell’Ascensione, Il Campione delle Ere, La Legge delle Lande

(Questo articolo è stato pubblicato sul numero 5 della rivista Effemme)