Questa notte ho fatto un sogno. Ho sognato un altro tempo. Nel sogno avevamo entrambi quindici anni. Prati e boschi erano verdi, il sole batteva sui vetri delle finestre. Il canto degli uccelli accompagnava i nostri passi, uno al fianco dell’altra.
Esco da casa e respiro profondamente. La pioggia ha portato via l’afa, facendo tornare l’estate una bella stagione e non un inferno cocente.
Il cielo è di un limpido azzurro. All’orizzonte ci sono nuvole bianche grandi come montagne. Una lieve brezza soffia sui campi.
Il sole fa brillare le gocce di pioggia sulle foglie.
“È davvero una bellissima giornata: fa pensare che tutto sia possibile.”
Mi sento rinvigorito. Anzi, ringiovanito: mi sembra di essere tornato all’adolescenza. Sono senza pensieri, come se tutto il mondo fosse a mia disposizione per essere scoperto. La sensazione è così forte che quasi intimorisce: è qualcosa di straordinario, si può dire addirittura magico.
Fischietto percorrendo il vialetto. Apro il garage e prendo la bicicletta. Infilo gli auricolari dell’iPod nelle orecchie, inforco i pedali e parto. Il sogno della notte continua ad accompagnarmi; forse è lui a guidarmi e io lo lascio fare.
La strada scorre veloce sotto di me. Le colline si fanno più grandi mentre mi ci avvicino. I boschi e i prati sono di un verde vivo. L’aria è permeata del profumo di erba appena tagliata e del fieno lasciato nei campi a seccare.
All’incrocio svolto a sinistra. Il rettilineo si stende dinanzi a me. Lo stesso tragitto di allora. È come se il tempo non fosse andato avanti: le stesse case, gli stessi alberi. Nulla è cambiato, come nel sogno.
Spingo con più forza sui pedali, guadagnando velocità.
“Marika, sto arrivando.”
Provo le stesse sensazioni di quando la andavo a trovare: l’attesa dell’incontro, la fretta di arrivare, il cuore che accelera nel vederla…
So che lei non abita più in questa zona, ma questo non ha importanza: sono tornato indietro nel tempo, quando le cose possono ancora andare diversamente. Sono felice. Il mondo mi appare un luogo magnifico dove stare.
Imbocco una strada laterale costeggiata da villette. Casa sua è in fondo alla via. Tutto è come allora: il cancello di legno, le aiuole con i lillà, le tapparelle del primo piano sempre abbassate. Mi avvicino e guardo il campanello: c’è ancora il cognome dei suoi genitori.
Sono tentato di suonarlo, ma lascio stare: lei non è più qui, dice una parte di me. Ma per un’altra parte di me lo è.
Guardo oltre la siepe e vedo il me più giovane che l’abbraccia; lei gli sorride. Un sorriso solare, che riscalda il cuore. Sento il profumo dello shampoo che usa, la morbidezza della sua pelle e le risate che facciamo prendendo in giro i professori.
Nella via non passa nessuno. Resto seduto sulla bicicletta, ascoltando le nostre confidenze, i silenzi mentre stiamo sdraiati sotto l’albero tenendoci per mano, gli sguardi che ci lanciamo mentre aiutiamo sua madre a sistemare il giardino.
Riprendo a pedalare, con calma: non ho fretta di tornare. Imbocco la via più lunga, percorrendo il viale alberato che costeggia il centro sportivo, dove risuonano le grida di ragazzi che giocano a calcio. Proprio come allora, quando Marika mi accompagnava per un pezzo di strada. Sento di nuovo il profumo del suo shampoo. Mi volto e vedo lei e il me più giovane passeggiare mano nella mano sul marciapiede.
“Oggi è davvero tutto possibile.”
Alzo lo sguardo al cielo: lo stesso azzurro di allora. Lo stesso…
Apro gli occhi e vedo il cielo davanti a me. Solo che non è lo stesso di un attimo fa: è più scuro. Mi rendo conto d’essere sdraiato per terra. Provo ad abbassare la testa. Qualcuno mi dice di non muovermi, di stare calmo.
“Perché dovrei agitarmi?” vorrei dire, ma mi accorgo di non riuscire a parlare.
Un luccichio mi colpisce gli occhi: mi volto lentamente verso di esso. Il sole si riflette sul telaio della mia bici a pochi metri da me.
Lì vicino ci sono due carabinieri che parlano con alcune persone: dicono che il ragazzo che mi ha investito, e che è scappato, non si è fermato al semaforo rosso, che sono stato mandato a schiantarmi contro un albero.
Arriva l’ambulanza, i paramedici scendono e si avvicinano di corsa, invitando la piccola folla sul marciapiede a stare lontana. S’inginocchiano accanto a me e chiedono se riesco a sentirli.
Sto per rispondergli di sì, ma poi la vedo.
Ha i capelli più corti, il viso si è fatto più affusolato, ma non posso sbagliarmi.
Marika.
È a pochi passi da me, tra le persone ferme a guardare; uomini, donne…ci sono due ragazzini che mi stanno facendo un video. Tutti hanno occhi per me, ma io li ho solo per lei.
Osservo il suo volto: preoccupazione, dispiacere…le emozioni che si provano quando si vede una persona che ha avuto un incidente. Nient’altro: non mi ha riconosciuto.
Sorrido. Forse penso solo di farlo: mi sembra di avere il volto paralizzato.
Sento che il mio cuore per un attimo si è fermato e poi ha ripreso a battere, quasi con più forza di prima. Ho cercato per tanti anni di dimenticare questo sentimento, ma certe cose non possono cambiare e oggi la vita ha voluto dimostrarmelo.
Sento i paramedici parlarmi. «Resta con noi!»
Mi verrebbe da dirgli «Dove volete che vada?» ma non m’interessa: la mia attenzione è tutta su Marika.
Il freddo che provavo si sta dissipando, sostituito da un lieve tepore che pian piano si diffonde nel mio petto.
Ora usi il rossetto e non il lucidalabbra, hai qualche ruga vicino alle palpebre, un piercing al naso, ma sei sempre la stessa…
Sento una fitta al cuore.
No, non lo sei.
E non è per l’anello che porti all’anulare sinistro. O perché ti appoggi alla spalla di tuo marito. No, non è questo che mi ha fatto capire che sei diversa: una parte di me sapeva che ti saresti sposata. È una cosa normale: tanti lo fanno.
Ma io no e ora so perché, come so perché le mie relazioni sono tutte fallite. In fondo l’ho sempre saputo, solo che non l’ho mai voluto ammettere. In tutti questi anni ho cercato di lasciarmi questo sentimento alle spalle, convinto che si sarebbe sciolto se mi fossi impegnato ad avanzare, facendo spazio a qualcos’altro. La mia volontà, così forte in tanti aspetti della mia vita, nulla ha potuto contro di lui: mi sono illuso di poterlo vincere. Ma lui è sempre stato con me: alle volte sopito, alle volte solamente silenzioso, ma sempre in attesa del momento in cui ti avrei rivisto, perché in lui era riposta la speranza che incontrandoti di nuovo le cose sarebbero andate diversamente rispetto al passato.
Ora la speranza è sparita, sostituita dalla consapevolezza che tutto ciò nel presente è irrealizzabile. L’ho capito guardandoti gli occhi: sono cambiati, non c’è più quella luce che ricordavo.
È incredibile come in certi momenti si riescano a cogliere così tanti particolari, percependo tutto più chiaramente.
Tu sei andata avanti. Io mi sono illuso di fare lo stesso, quando invece mi sono fermato, aggrappato a un tempo che non c’è più. La verità è che per tutti questi anni non sono rimasto innamorato di te, ma del periodo in cui siamo stati insieme, legato alle emozioni di allora. Ho sempre sperato di poterlo rivivere.
Un sorriso mi affiora sulle labbra.
Forse questa volta lo faccio davvero, ma non deve essermi riuscito bene, visto come si agitano i paramedici: devono averlo scambiato per una smorfia di dolore.
«Non sto soffrendo» vorrei rassicurarli se ne avessi la forza.
Lancio un ultimo sguardo a Marika: vedo che socchiude le labbra e le sue pupille si dilatano.
Sento gli occhi chiudersi e i paramedici scuotermi con forza, più agitati di prima. “Tranquilli, va tutto bene.”
Mi lascio andare, scivolando in un tempo in cui io e lei siamo ancora giovani e stiamo al fianco uno dell’altra.
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