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Il potere della magia

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Il potere della magiaComplice un forte sconto outlet, ho acquistato Il potere della magia, volendo dare un’altra occasione a Terry Brooks. Brooks è stato un autore che ho apprezzato quando ero adolescente (anche rileggendo le sue opere da adulto, pur non provando le stesse sensazioni, non ho potuto che trovare buoni i suoi lavori) e che fino alla fine degli anni 90 ha saputo scrivere romanzi interessanti. Ma con Il viaggio della Jerle Shannara è cominciata la china discente: idee valide ma sfruttate male, personaggi di cui ci si dimentica presto. Brooks ha preso a perdere sempre più colpi; il culmine è giunto con La Genesi di Shannara, dove, dopo un inizio in cui l’autore sembrava tornato ai suoi livelli migliori, c’è stato il crollo, soprattutto con I figli di Armageddon: questo romanzo funziona benissimo finché parla del gruppo degli Spettri e del Cavaliere del Verbo Logan Tom, sa creare un’atmosfera veramente buona. Poi la rovina mettendo all’improvviso gli elfi, che fino a quel momento nella serie di Verbo e Vuoto non si erano mai visti: prende il sense of wonder e in un istante lo fa a brandelli (ed è uno dei rarissimi momenti in cui m’è partito un “ma v……..”). Va bene che la trilogia di cui fa parte I figli di Armageddon doveva essere l’anello di congiunzione tra Shannara e mondo reale visto da Verbo e Vuoto, ma si poteva e doveva fare meglio. Brooks ha utilizzato male un personaggio come O’olish Amaneh; poteva usarlo in modo più centrale, legare il mondo degli spiriti (date le origini indiane del personaggio), il mondo di Faerie, con quello degli elfi, facendo sì che l’armageddon scatenato incarnasse le essenze immateriali e dando così vita agli orecchi a punta. E invece… “ecco, gli elfi ci sono sempre stati e se ne stanno tra le montagne americane”.
Il Brooks di questo periodo è riuscito a rovinare oltre Shannara e Verbo e Vuoto, anche la saga di Landover con quel lavoro pessimo di young adult che è La principessa di Landover (e questo problema non da poco si rivede anche in Il potere della magia).
Per queste ragioni, smisi di leggere nuove uscite di questo autore. Il passare del tempo alle volte fa strani scherzi e, portando un poco di nostalgia, fa venire voglia di rivedere (in questo caso leggere) cose che sono state legate al passato, e quindi ecco ad avere tra le mani Il potere della magia.
Certo, è il secondo volume di una duologia, ma questo non influisce sulla comprensibilità della storia (essendo poco originale ed essendo divenuto ripetitivo, non è difficile capire le trame di Brooks): la barriera magica protettiva erta per difendere umani ed elfi creata diversi secoli prima ai tempi di Falco (la Genesi di Shannara) sta venendo meno e le creature che vivono fuori dalla pacifica valle cominciano a entrare. Sider Ament, l’ultimo dei Cavalieri del Verbo, deve avere a che fare con i troll che cercano di invaderla, ma muore e lascia il suo bastone magico e il suo compito a Panterra Qu, un diciassettenne, compito che divide con la sua migliore amica, la quindicenne Prue Liss. Verranno aiutati dalla giovane principessa degli elfi Phryne Amarantyne, che però è accusata ingiustamente dall’invidiosa matrigna dell’omicidio del padre, di cui lei è artefice.
Da queste basi parte Il potere della magia. Occorre premettere che ero arrivato a questa lettura preparato, non avendo gradi aspettative, viste le tante critiche ricevute da questo lavoro: ripetitività delle trame, troppa introspezione. Tutto giusto, ma il vero problema di questo romanzo è un altro: Brooks si è adeguato allo young adult. Ma è lo young adult più scarso, perché c’è modo e modo di farlo. Anche Sanderson ha scritto young adult, ma l’ha fatto in modo diverso, con risultati decisamente migliori, basti vedere Il ritmatista o la trilogia degli Eliminatori (che ha qualche piccola caduta, ma nel complesso il suo dovere lo fa); qui invece Brooks segue la linea peggiore di questo filone.
I protagonisti sono due adolescenti che non hanno grandi capacità e neppure eccellono di preparazione (anzi, si può dire che non ne hanno), ma che si ritrovano a essere i salvatori di tutto: gli adulti come Sider Ament, che in altre sue opere sarebbero stati gli eroi della storia, vengono tolti di mezzo per lasciare spazio a questi giovani con facilità e quasi banalità. E mentre il destino della valle ricade sulle loro spalle, il lettore si deve sorbire pianti e crisi adolescenziali, baci e amori da cotta, pensieri che ruotano attorno a essi, oltre a bisticci e dialoghi che che fanno cascare le braccia (“ah, tu pensi che sia colpa mia, che io non sia capace, ma io ho le capacità!” “io non pensavo questo…” “no, tu pensavi proprio questo!” e via con le lacrime agli occhi, ai singhiozzi e agli abbracci di conforto “no, io credo in te, ti sarò sempre a fianco perché ti voglio bene”).
Le “adolescenzialate” però non si limitano a questo. Oltre a eliminare Sider Ament, si tirano via quei personaggi adulti che potrebbero rubare il palcoscenico ai giovani: via il mercenario Deladion Inch, via la nonna di Phryne (tutte figure che col Brooks del passato avrebbero avuto una caratterizzazione e uno sviluppo interessante) perché si deve puntare sui giovani. Il che non sarebbe nemmeno un problema, se Brooks si comportasse come si è comportato con il ciclo degli Eredi. Anche lì c’erano dei giovani (giovani, non adolescenti), come Wren, come Morgan Leah, ma o erano stati addestrati fin da piccoli (primo caso), oppure da tempo combattevano contro la Federazione (secondo caso); a differenza di questi due, Par non aveva nessuna capacità combattiva, ma possedeva la Canzone Magica (che almeno all’inizio era capace di creare solo illusioni) e per questo era stato scelto dallo spirito di Allanon per il compito di soccorrere le Quattro Terre; ispirato dalle geste di eroi di cui canta, decide di accettare quanto richiesto dal druido di un tempo, ma per questo chiede aiuto a chi è più capace ed esperto di lui (Morgan Leah, Padisar Creel e i Nati Liberi), come il buon senso suggerirebbe di fare. Invece ne Il potere della magia il buon senso viene messo da parte e si punta tutto sul “youth power” (adolescenti che solo perché tali hanno il potere di risolvere tutto).
Così, grazie al “youth power”, ci si deve sorbire una scena ridicola dopo l’altra. Prue e Panterra sono seguiti da un nemico molto pericoloso, come li avvisa la nuova capacità di Prue avuta dal re del Fiume Argento (saltato fuori così all’improvviso); si apprestano a fargli un’imboscata, lui li sorprende ma viene lo stesso messo al tappeto in pochi secondi. Catturato e legato, l’assassino Bonnasaint, declama che non rivelerà nulla ai due giovani, nemmeno se è giorno e notte; nel giro di poche pagine, Prue e Panterra decidono di portarlo dalla regina degli elfi e l’assassino spiattella tutto senza colpo ferire. Poco dopo, sfrutta una cavolata di Prue e la prende in ostaggio per scappare, ma la ragazza si libera e lo pugnala ammazzandolo all’istante. Per fortuna era uno che aveva eliminato tanti avversari molto più pericolosi dei due giovani: bei tempi quando Brooks raccontava di Pe Ell (personaggio di Il druido di Shannara), un assassino con i fiocchi, non quella buffonata che è stato Bonnasaint.
Ma questo termine si può estendere a tutto il romanzo e spiace usarlo per un autore che ha saputo dare molto fino a un certo punto (fino al 2000), ma questa è la realtà: Il potere della magia è una buffonata. Scene assurde. Dialoghi penosi. Ragionamenti altrettanto scadenti. Personaggi secondari ben caratterizzati fino a questo momento rovinati, come successo con La principessa di Landover (qui alla domanda di Prue “Dove devo andare?” Il Re del Fiume Argento risponde “Segui il tuo cuore”…). Deus ex machina penosi (Panterra e la principessa degli elfi stanno andando incontro a un grande pericolo ma in loro soccorso arriva un drago che li ha seguiti percependo la scia lasciata dalle pietre magiche; la principessa capendo ciò, per addomesticarlo, usa di nuovo le pietre magiche e il drago si mette a giocare con la luce emanata da essa e a rincorrerla come farebbe un gatto. Le pietre magiche sono una cosa seria, non un oggetto da usare banalmente così). L’unica parte un poco passabile è quella del demone, anche se Brooks ha saputo fare di meglio con la trilogia del Verbo e del Vuoto e con Le Pietre Magiche di Shannara. Visti i successi avuti, non si riteneva possibile che un autore come Brooks per continuare a pubblicare si vendesse alla direttive dello young adult. Questa però è la realtà e occorre accettarla e trarne le relative conclusioni. Brooks adeguandosi a questo mercato ha perso moltissimo, sia come qualità dei lavori svolti, sia come lettori: se questo è il nuovo corso che ha deciso di seguire l’autore, come già dimostrato con La principessa di Landover, non ho intenzione di leggere altro di quanto ha scritto in seguito. E sconsiglio anche altri a farlo. Molto meglio rileggere quanto scritto in precedenza (praticamente tutto quello che viene prima della pubblicazione di Il viaggio della Jerle Shannara, che, comunque, alla luce di quanto letto, può tranquillamente essere rivalutato e addirittura divenire positivo). Lo stesso consiglio viene dato a chi volesse conoscere questo autore: si legga tutto quello che ha fatto prima del 2000.
Spiace dare un giudizio così negativo, visto il rispetto avuto per questo autore fino a un certo punto, ma Il potere della magia non merita altro. L’unica cosa utile di questo libro è che insegna a come non scrivere un buon romanzo fantasy e d’avventura. E fa riflettere su un aspetto: questo è quello che si pensa debbano leggere dei giovani lettori? Se è così, allora non si ha una gran considerazione di loro, dimostrando che tipo d’immagine ci si è fatti di chi sta per diventare adulto; una cosa per niente positiva e, se si vuole, a tratti pure insultante.

(su Letture Fantastiche c’è un approfondimento riguardo il calo di qualità delle opere di Terry Brooks)

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