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Non mi sono mai iscritto a nessun social. Vuoi perché non ne sentissi la necessità, vuoi perché li ritenevo dispersivi, un modo per far perdere tempo, per distogliere l’attenzione da qualcosa che volevo fare mentre ero al computer (scrivere). Non che non perda tempo, d’intoppi, interruzioni o distrazioni ce ne sono sempre, e se alcune m’innervosiscono (una su tutte: il ritenere che se uno sta scrivendo può essere tranquillamente interrotto perché si ritiene che non sta facendo nulla), altre non le reputo negative (interrompermi per leggere il brano di un libro non è una perdita di tempo, ma dà sempre qualcosa, a differenza di perdersi in chat sterili).
Il vero motivo però per cui non mi sono iscritto ai social è perché ho sempre trovato poco chiare le condizioni di chi le gestiva. E quando una cosa è poco chiara, diffido sempre. A ragione, visto che chi gestisce o è proprietario dei social agisce in maniera poco trasparente, sfruttando i dati per un proprio interesse, spesso violando i diritti degli utenti, a loro insaputa: è la legge della posizione dominante. Più si ha soldi e potere, più si ritiene di poter fare tutto quello che si vuole, manipolando in maniera indiscriminata. Il caso Cambridge Analytica ne è esempio. Ma non è certo l’unico: solamente è quello più conosciuto.
Se a questo si aggiunge che i social sono diventati un modo per scaricare gli stati repressi delle persone, una valvola di sfogo per odi, insoddisfazioni personali, rabbie e compagnia brutta, al punto da diventare qualcosa di altamente tossico, ecco il quadro completo del perché sono stato lontano dai social.
Non li evito completamente: in alcuni casi li utilizzo per avere notizie riguardanti comune, eventi oppure uscite di libri. I social non sono il male, questo va sottolineato: sono un mezzo come tanti. Ma sono usati male e questo dipende da chi li frequenta e chi li gestisce. In poche parole, la colpa è sempre dell’essere umano, che non sa gestire al meglio le proprie risorse.
Solo per fare due esempi sulla negatività dei social. Il caso di Bruno Bacelli, non proprio soddisfatto di come è stata gestita la sua campagna pubblicitaria tramite Facebook (poca chierazza del social), e quella di Andrea D’Angelo, uscito dai social per via di una censura contraddittoria e poco funzionale (il video chiarisce molto più delle mie parole).

Dinanzi a queste continue dimostrazioni di un modo di fare che non mi piace, le mie decisioni passate (anche criticate da certi, viste come asocialità, mancanza di modernità o perdita d’occasione per promuovere gli scritti che realizzo) non fanno che trovare conferme. E alla luce di quanto sta accadendo, ritengo improbabile che possano essere rivalutate.