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Sempre una questione di soldi

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Ormai lo si sa che tutto ruota attorno ai soldi, eppure non ci si finisce di stupirsi (o disgustarsi, a seconda dei gusti) di come non ci sia limite a che cosa ci si attacchi per tirare acqua al proprio mulino.
Ne sono esempio le proteste di chi in questi giorni sta protestando perché si vede decurtata la propria pensione d’oro dopo averne goduto per anni, senza propriamente meritarsela, dato che non sono stati versati contributi sufficienti per usufruire mensilmente di simili cifre.
Oppure gli attacchi feroci che sta subendo il decreto Dignità. Si può disquisire sulla giustezza del nome o su certi passi indietro che sono stati fatti dopo i proclami iniziali (rimettere i voucher dopo che erano stati eliminati non è una bella mossa); lo si giudicherà una volta che la sua versione definitiva sarà attua ed entrata in vigore. Ma se si ragiona obiettivamente, ci sono delle idee giuste.
Il divieto alla pubblicità del gioco d’azzardo, è una di queste, perché davvero il gioco sta diventando una patologia grave che sta distruggendo l’individuo e quanti sono legati a esso; è una contraddizione che si spinga a giocare (e così a spendere soldi per alimentare un mercato sempre più fiorente), facendo ammalare le persone creando dipendenza e poi dopo ci si metta la coscienza tranquilla con frasi dette velocemente a fine pubblicità di giocare con moderazione, che il gioco può causare dipendenza patologica, oppure facendo campagne che mettono in guardia da questa dipendenza. Una vera contraddizione creare la malattia e poi, sempre chi ha creato tutto questo, faccia sorgere centri che la curano. La cosa migliore sarebbe non fare ammalare, ma quello che contano sono i soldi: facendo come è stato fatto finora, i soldi che girano sono davvero tanti, visto che prima li si spendono per ammalarsi, poi li si spendono per farsi curare.
Come è giusto porre un freno alle delocalizzazioni selvagge (dopo aver avuto aiuti di stato), al limite dei rinnovi dei contratti a tempi determinato (anche se c’è già stato un cedimento su questo fronte con i rinnovi per i lavori stagionali) e ai licenziamenti selvaggi. Se le cose non cambieranno, il decreto Dignità pare essere volto a dare delle tutele ai lavoratori. E che sia dalla parte dei lavoratori lo si può capire dalle reazioni degli imprenditori che minacciano di scioperare e di non assumere più nessun lavoratore. Come se non bastasse, c’è l’intervento di Berlusconi che accusa che il decreto non solo è contro le imprese, ma anche contro i lavoratori, perché li penalizzerà, farà perdere posti di lavoro; dulcis in fundo, accusa Di Maio di non conoscere il mondo del lavoro. Probabilmente l’ultima affermazione è vera, ma non starebbe a Berlusconi fare certe affermazioni, dato che neppure lui conosce il mondo del lavoro: lui ha solo comandato, non ha mai lavorato, non è mai stato in fabbrica, non hai mai fatto otto o più ore di lavoro al giorno mal retribuito, facendo straordinari che non venivano pagati, lavorando in condizioni critiche, anche pericolose per portare a casa un misero stipendio per cercare di sopravvivere.
Non si sa come andrà a finire, ma si sta cercando di tornare a una vita che tutela un po’ più la persona, visto che si sta discutendo anche di tornare a far star chiusi i negozi la domenica. Una proposta che sta sollevando polemiche e isterie (chi vuole i negozi sempre aperti annuncia che se ci sarà chiusura si perderanno centinaia di migliaia di posti di lavoro), ma se si vanno a guardare i dati, l’apertura domenicale non ha assolutamente portato quei favolosi introiti che si annunciava quando la cosa cominciò.
La verità, se ancora non la si fosse capita, è che i gruppi che dirigono, vogliono guadagnare sempre di più, sfruttando sempre più le persone, cercando di pagarle sempre meno: il loro sogno è di avere gente che lavora e non deve essere pagata. Si ritengono innovativi, esseri che guardano al futuro, ma in realtà il loro sguardo è fisso al passato e a qualcosa che c’è già stato: la schiavitù.