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Non prima che siano impiccati

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“Dobbiamo perdonare i nostri nemici, ma non prima di averli impiccati” : fu Heinrich Heine a proferire questa frase e Joe Abercrombie ne ha preso spunto per dare il titolo al secondo volume della trilogia La prima legge da lui realizzata, le cui vicende riprendono da dove erano state lasciate nel romanzo precedente, Il richiamo delle spade.
L’Inquisitore Glotka, divenuto Superiore di Dagoska, è impegnato nello scovare chi ha fatto sparire il predecessore di cui ora ha il posto, oltre a dover far fronte all’assedio che l’esercito dei Gurkish sta ponendo alla città.
Il Colonnello West è occupato, insieme alle forze dell’Unione, a contrastare l’avanzata degli uomini del Nord guidati da Bethod.
Mastino e il drappello di uomini con cui è fuggito dal Nord, oltre a cercare di sopravvivere, stanno cercando di trovare un modo per farla pagare a Bethod di quanto ha fatto.
Logen, Ferro, Bayaz, Quai, Jezal e Piedelungo sono partiti alla volta del lungo viaggio che li porterà a prendere il potente e temuto Seme.
Tre sono le trame principali (perché due di esse s’intrecciano a formarne una sola) che si dipanano nelle pagine di Non prima che siano impiccati attraverso scontri cruenti, torture spietate, intrighi, sotterfugi, tradimenti. Abercrombie non crea nulla di originale, nulla che non si sia già visto: equilibri di potere, compromessi della politica, efferatezze della guerra. Le sue trame non sono complesse, niente in confronto a quelle create da Steven Erikson nella saga Malazan. Ci sono i tentativi d’infiltrarsi all’interno di una città e minarne le linee di comando. I segreti dei Maghi, gli scheletri nell’armadio del loro Ordine. Le tattiche e le trappole attuate da due eserciti che si fronteggiano sul campo di battaglia. Ci sono portenti e orrori indicibili, resti di meravigliose città abbandonate e andate in rovina; civiltà di cui si ha ricordo solo dagli echi delle storie che si raccontano. C’è la stanchezza che le decisioni, i ruoli che si ricoprono, portano; il logorio di far parte di un sistema, di sottostare alle sue leggi e imposizioni. Elementi a cui si è già assistito più di una volta, un ripetersi del medesimo schema, perché la Storia ha i suoi ricorsi: il fratello combatte il fratello, uomini più piccoli in un mondo più grande, ma l’odio non è diminuito e la pietà non è cresciuta. (1)
Ciò che rende valida la lettura delle opere di Abercrombie non è certo tutto questo, quanto uno stile e un punto di vista duro, cupo, qualcuno può dire cinico e cattivo, quando semplicemente è realistico e mostra le cose per quello che sono veramente. La densità dei punti di vista dei personaggi è profonda, arriva dritta al punto e lascia il segno. La forza dei testi di Abercrombie è la disillusione, quello sguardo disincantato sulle cose e sulle persone che affascina perché non è ipocrita, perché non indora la storia, i personaggi, ma mostra tutto il fango che s’annida nell’animo delle persone, delle autorità, delle istituzioni, dei legami, rendendo tutto più umano, più credibile. E’ proprio questa credibilità che avvicina il lettore al romanzo, che lo fa immergere in quanto ha da raccontare, facendolo sentire legato alle situazioni e ai suoi protagonisti.
Le finestre che apre Abercrombie sul mondo che ha creato possono lasciare l’amaro in bocca perché sono prive di quel sense of wonder che lo stampo classico del genere fantasy generalmente si pensa debba creare, trovandosi invece a fare un confronto con realtà dure e crude. Ma in tutto ciò esiste bellezza, come quella selvaggia di una montagna, che in lontananza ha il fascino della grandezza, della maestosità; se non fosse che l’avvicinarsi fa scoprire come tutto sia solo un ideale, un’illusione e in realtà c’è da faticare e sporcarsi per conoscere per davvero ciò che si ha davanti e rendersi conto di quale sia la sua vera natura. Solo chi è capace di comprendere questo, può apprezzare opere dello stampo della trilogia La Prima Legge e di The Heroes.

1. Non prima che siano impiccati – Joe Abercrombie, pag. 598