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L’Ultimo Potere – Primo Atto – XII Sacrificio (parte 1)

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La scia d’impronte correva in mezzo alla strada, facile da seguire: un serpente sottile che avanzava senza sosta, puntando senza indugio verso un nido irto di punte e trappole. Aveva sperato che deviasse, allontanandosi dalla pericolosa area, ma la follia attirava la follia; una sirena che ammaliava traendo verso una tragica fine.
Guerriero affrettò il passo. Non avrebbe dovuto sottovalutare lo stato d’animo che aveva sconvolto Katrin; non avrebbe dovuto perderla d’occhio nemmeno per un attimo. Eppure era stato sicuro che non avrebbe mai trovato il coraggio di compiere un atto del genere, che non se ne sarebbe andata in giro per la città da sola; non dopo che era diventata la sua ombra.
Accelerò la falcata.
Il suo sguardo però era stato rivelatore. Si era spezzato qualcosa dentro, qualcosa che non l’aveva più fatta essere lei. Si era ripromesso di proteggerla, ma non aveva creduto di doverlo fare anche da sé stessa. Eppure la sua fragilità era così evidente: come aveva fatto a non vedere? A ignorare?
I pennacchi di fumo cominciarono a scorgersi tra gli scorci di cielo offerti dagli spazi tra un palazzo e l’altro. E le impronte puntavano dritte verso di loro.
L’aria cominciò a farsi più soffocante e nebulosa; volute giallognole presero ad aleggiare agli angoli delle strade.
Guerriero si fermò ai piedi di due grattacieli, uno dirimpetto all’altro, la strada che li teneva separati. Entrambi slanciati, entrambi carbonizzati. Neri pilastri di un gigantesco cancello senza porte, che tanti faceva entrare, ma pochi uscire.
Era tempo di scendere all’inferno. Varcò la soglia, inoltrandosi in mezzo alla selva di barricate che si arroccavano negli angoli delle strade, lambite da flutti marroni che uscivano da tombini divelti e che insozzavano la candida neve rendendola una poltiglia sfrigolante.
Umori che sapevano di grasso e di unto sgusciarono dai buchi nei quali se ne stavano rintanati. Ansiti e borbottii concitati accompagnarono il suo passaggio, seguiti da occhi sospettosi e malevoli. Uno scatto della sicura del fucile e la ressa che si stava accalcando contro le lamiere e i pali piantati nell’asfalto si disperse, lasciando di nuovo il passaggio nel silenzio della neve che cadeva.
Guerriero percorse il lungo viale, l’unica via per accedere al centro urbano. Sulla sua testa un’insegna lampeggiava il suo richiamo con sfrigolanti lampadine rosse e gialle. Benvenuti al Pianeta Inferno, era il nome di quello che era stato un bordello.
Quando raggiunse la piazza, il primo girone s’aprì davanti ai suoi piedi.
Un campo d’igloo fatti di tranci di ferro e filo spinato erano le abitazioni di piccoli gruppi d’umani vestiti di stracci marroni. Acciambellati come bestie, si abbracciavano le gambe nude alle quali erano fissati grossi ceppi. Molti dormivano, o erano morti, sotto la neve; i più curiosi gli lanciavano un’occhiata furtiva prima di tornare a far cozzare fra loro le pietre che avevano in mano.
Continuando a seguire la sua pista, Guerriero attraversò l’infausto campo, schivando le zaffate di piscio ed escrementi che le latrine presso le misere abitazioni emanavano. Presto la piazza fu alle spalle e di nuovo fu tra vie strette, fermenti d’attività. Chimere basse e striscianti sgattaiolavano in mezzo a file di mutantropi che assalivano un palazzo dopo l’altro. Si sentivano scoppi, urla e colonne di fumo uscire dagli edifici stretti d’assedio.
Un paio di creature s’avvicinarono troppo e finirono con la mascella spezzata. Le altre lo evitarono con cura, concentrandosi su prede più facili: come branchi di cani affamati si gettarono le une sulle altre, mordendo carne, terra, aria, in un cozzare di denti che risuonava come ossa rotte.
Il fumo che usciva dagli edifici si fece più denso, invadendo le strade, ottenebrando l’aria e ingrigendo i fiocchi che cadevano.
Tenendosi lontano dalla calca e sollevando il bavero della giacca per coprire le vie respiratorie, continuò a seguire le impronte lasciate da Katrin, le uniche che mostravano piedi indossanti un paio di scarpe.
Il fumo e le grida furono alle sue spalle e l’ambiente tornò a rischiararsi. Il silenzio che l’accompagnò sapeva di cimitero o di campo di battaglia dopo il combattimento. In effetti ciò che si estendeva per centinaia di metri riuniva entrambe le cose.
Cadaveri. Cadaveri ovunque sotto le ombre di palazzi spaccati ora simili a lame dentellate.
La lunga via dei morti.
Braccia abbracciate a pilastri, teste impalate su spranghe, corpi incatenati e appesi ai muri come lenzuoli messi ad asciugare: una distesa di morti sparpagliati in un lungo viale di macerie. I frutti di una guerra dove si fronteggiavano miriadi di fazioni: un tutti contro tutti in un massacro indiscriminato. Una lotta in cui tutti cadevano vittime e che non dava possibilità di godere di quanto si riusciva a conquistare perché subito andava perduto. In fondo, conquistare il niente significava perdere tutto.
Senza essere degnati di un ulteriore sguardo, i cadaveri imbiancati e sprofondati nella fanghiglia sabbiosa furono superati, destinati a divenire ossa spolpate il cui unico fine era tornare a essere polvere e cenere.
Sentì la volontà vacillare, scossa dallo scenario che si mostrava nell’entrare in una nuova piazza.
Sangue.
Sangue che si era rappreso sulle pareti dei grigi grattacieli.
Sangue ancora fresco che colava dalle finestre infrante.
Sangue raccolto in grumi che facevano capolino da sotto le porte.
Sangue ghiacciato che formava dense lastre di rubino.
La disperazione allungò i suoi tentacoli e sentì il cuore venirgli meno.
Un mattatoio a cielo aperto. Un luogo di massacro senza eguali.
Solo un genere di creature poteva compiere azioni di quella portata. E lui non era in grado di affrontarle, non poteva nulla contro la loro forza. Nel fare per voltarsi indietro, rivide la traccia che l’aveva condotto fino a quel punto: Katrin era passata di lì. Era sola in mezzo a quella follia.
Non permetterò che ti accada nulla di male. Te lo giuro. Aveva promesso.
Dimentico delle sue paure, evitando i piccoli torrenti rossi che si gettavano all’interno dei tombini scoperchiati e fumanti, continuò a immergersi nel cuore nero della città, avvicinandosi sempre più alla sua oscura profondità.
“Dove ti sei cacciata?” Scrutò nervosamente ai lati, sperando che a un certo punto fosse tornata sui suoi passi e si fosse rannicchiata in un qualche angolo tremante di paura. Ma c’erano solo rifiuti e macerie.
Un suono sommesso e ripetitivo fu portato dal vento. Un coro di voci che s’allontanava con la sua nenia monotona. Affrettando il passo, si diresse verso di loro, riconoscendo in esse i toni dell’umanità. Dimentico d’ogni premura, si ritrovò a correre. Presto distinse chiaramente il canto lugubre che si levava nell’aria, riecheggiante come rintocchi metallici. Rimase in ascolto, cercando di capire in quale via si erano diretti.
«Merda.» Sibilò irato.
La neve che ricopriva il manto stradale era calpestata da miriadi d’impronte, cancellando ogni segno del passaggio di Katrin. Tentennò prima di ripartire: c’era da sperare che la ragazza avesse continuato nella direzione tenuta fino a quel punto. In quel caso c’era la possibilità che si fosse unita al gruppo di persone. L’eventualità non lo rese per nulla tranquillo, trasmettendogli un senso d’impellenza, di muoversi a trovarla.
Ciò che vide avanzando non fece che acuire la sensazione. Una lunga fila d’uomini e donne scalzi, con il capo rasato, procedeva lentamente lungo il marciapiede salmodiando e facendo dondolare catene con aspersori. Un fumo denso e acre saliva dai contenitori arrugginiti, avvolgendo le lunghe tonache nere che ricoprivano i corpi.
Tenendosi a distanza per non essere visto li seguì, muovendosi da un riparo all’altro come un’ombra.
«Puttana merda.» Soffocò l’imprecazione quando da altre strade file d’individui in tonaca s’unirono alla processione che stava seguendo. Fiumane nere che andavano a ingrossare il corso brulicante come una lunga scia di formiche.
«Fratelli!» Il grido che risuonò dalla testa di quel lungo serpente lo fece sussultare.
«Venite, fratelli! Uniamoci in questo giorno. Tutti insieme andremo incontro alla libertà! Non saremo più soggetti all’egemonia dei Demoni! Saremo finalmente liberi dal loro giogo.»
Guerriero rimase raggelato. “Vogliono attaccare i Demoni? Sono per caso impazziti?”
«Fratelli! Nella morte troveremo la liberazione!» Tuonò la voce. «Nella morte saremo liberi da ogni sofferenza, liberi da ogni paura. Non avremo più preoccupazioni, nessun timore che qualcuno ci possa fare del male! Rinunciamo alla vita! Andiamocene da questo sporco mondo!»
Un gelo peggiore del precedente lo invase. “Merda.”
Doveva trovarla al più presto, prima di quella massa di scalmanati. E se l’aveva già fatto, trascinarla lontano da quella follia. Salì ai piani superiori di un palazzo e scrutò tra la folla: se era stata inglobata in essa, sarebbe dovuto essere in grado di riconoscerla, dato che non c’era stato il tempo di tagliarle i capelli; nel suo stato, non doveva essere stato difficile convincerla a fare qualsiasi. Oppure costringerla.
«Fratelli! Preparate la vostra anima! La notte si sta avvicinando e il nostro momento è prossimo!»
“Magnifico.” Doveva aggiungersi anche il poco tempo a disposizione a una situazione già complicata.
Cambiò punto d’avvistamento, scrutando lo sciame di centinaia di persone che usciva da ogni buco immaginabile. Un morbo nero, fatto di una moltitudine che si dirigeva verso lo stesso fine.
“Che follia è mai questa?” Pensò sgomento vedendo un fuoco dopo l’altro che veniva preparato e acceso: tavole, sedie, mobili venivano gettati dalle finestre, portati nelle strade e accatastati in pire lungo il marciapiede.
“Vogliono ardersi vivi?”
Il pensiero fu fugato in pochi minuti. Una volta accesi, i falò venivano abbandonati e la folla proseguiva il suo salmodiante cammino: erano un richiamo, il segnale della chiamata alla cerimonia.
“Come farò a trovarla?” Si sentì schiacciato dallo sconforto. “Perché lo hai fatto, Katrin? Perché sei scappata? Non ero forse riuscito a proteggerti fino ad adesso? Non ho mantenuto il mio impegno?” Ma come lo sapeva lei, lo sapeva anche lui: non poteva difenderla dai Demoni.
In un moto di rabbia ritrovò le forze, gettandosi di nuovo nelle strade. Se necessario, avrebbe ammazzato tutte quelle persone pur di riportarla al rifugio. Più di una testa si girò a guardarlo, tentando di avvicinarsi e parlargli, ma lui svicolò lontano dal loro raggio d’azione. Nessuno fece nulla per seguirlo.
Correndo ai margini del flusso che sembrava infinito scrutò cercando in mezzo alla selva di pelate una chioma castana. Instancabile, continuò la ricerca fino all’imbrunire, scivolando nei vicoli laterali, salendo nei palazzi per cercare di avere maggior fortuna guardando dall’alto. Alla fine non rimase che seguire la folla verso il luogo della cerimonia. L’ultima, disperata speranza.
Dalla cima di una collina di macerie, osservò la marea di persone che si erano riunite nel grande spiazzo illuminato dai giganteschi roghi. In un continuo salmodiare, la folla ondeggiava all’unisono, sembrando un manto d’erba spazzato dal vento. In posizione sopraelevata, una decina di figure era disposta a semicerchio dietro a un uomo che teneva in entrambi le mani un pugnale.
«Fratelli!» Tuonò perentorio. «Venite, fratelli! Uniamoci in questa notte: tutti insieme andremo incontro alla libertà! Non saremo più soggetti all’egemonia dei Demoni! Saremo finalmente liberi dal loro giogo!»
Di nuovo quella voce. Di nuovo quelle parole.
«Fratelli! Nella morte troveremo la liberazione! Nella morte saremo liberi da ogni sofferenza, liberi da ogni paura. Non avremo più preoccupazioni, nessun timore che qualcuno ci possa fare del male! Rinunciamo alla vita! Andiamocene da questo sporco mondo!» Le braccia schizzarono verso l’alto, mostrando pugnali che con i riflessi dei falò sembravano di fuoco.
Centinaia di lame si sollevarono in risposta, tenute sulle teste come tante candele.
«Un solo, bruciante momento e saremo liberi! Un solo istante e sarà finito! Guardate me: vi mostrerò la via da seguire! Seguite il vostro pastore: vi condurrà a nuovi pascoli!»
In un lampo il braccio calò sul ventre, affondando in profondità. Il volto contorto dal dolore e dall’isteria, il sacerdote impresse un violento strattone laterale. Il sangue sgorgò a fiotti, spruzzando il terreno come una doccia. Con una torsione l’uomo piroettò su sé stesso e cadde a terra in rapidi spasmi. Quando i fremiti cessarono, il silenzio calò improvviso.
«Il nostro guru è morto!» Intonarono i dieci dietro di lui. «Andiamo a raggiungerlo per non lasciarlo più solo!» Le braccia si tesero ancora più in alto, pronte a colpire.
In quel momento la vide. Guerriero si gettò lungo il pendio instabile, incespicando e urtando contro sassi e spranghe.
«Katrin!»
L’urlo risuonò come un ruggito, facendo voltare la ragazza di scatto.
I coltelli s’abbassarono all’unisono nel momento in cui raggiungeva lo spazio piano. Si sentì il tonfo del metallo che affondava nella carne e lo scroscio del sangue che zampillava a fiumi.
Caricando come un animale impazzito, colpì chiunque lo ostacolasse, insensibile alla vita che abbandonava i corpi intorno a lui. Il liquido caldo gli colò sul volto e sulle braccia, ma non se ne accorse, gli occhi puntati su lei.
A quella vista Katrin cominciò a fuggire. Scansò i compagni che cadevano a terra, aiutandosi con le mani a salire il cumulo di macerie più vicino. Guerriero guadagnò terreno, atterrando con un balzo a pochi passi da lei, puntando i capelli castani che sferzavano la tunica nera.
Un lembo del vestito s’impigliò in una lamiera. Un suono stracciato e una grossa fetta del vestito rimase a svolazzare nella neve che cadeva come un corvo in una tempesta. La pelle pallida brillò al divampare delle fiamme: ogni vecchio abito le era stato tolto, quella specie di sacco era l’unica copertura del suo corpo nudo.
Nella foga di sfuggirgli, Katrin inciampò, ruzzolando oltre la cima, in un groviglio scomposto di membra e nello svolazzare del vestito stracciato che si spostava e rivelava ogni cosa. Sporca e insanguinata, si trascinò sulla neve, la pelle che s’accapponava a contatto con il gelido manto.
«Katrin!»
Si voltò di scatto, puntando contro Guerriero il coltello.
L’uomo si fermò, cercando di mantenere la calma.
«Sono io, Katrin.» Disse in tono gentile. «Sono venuto a prenderti per riportarti a casa.»
La ragazza lo guardò con occhi iniettati di sangue, indietreggiando come una belva messa alle strette.
«Katrin!» Guerriero la redarguì duramente.
La maschera di furore sbiadì e dalle acque della follia riemerse l’espressione tremante della ragazza. Spaurita si guardò attorno, facendo guizzare gli occhi dal riverbero delle fiamme sui palazzi ai deboli gemiti che giungevano al di là del cumulo pietroso.
«Tu…sei…qui.» Mormorò incredula come se quello che avesse davanti fosse un’allucinazione della mente. «Che cosa sei venuto a fare?»
«Sono venuto per te.» Guerriero tornò a usare un tono gentile. «Sono qui per riportarti a casa.»
Katrin indietreggiò scuotendo il capo. «Una casa io non ce l’ho più. Non ho più un posto dove andare, una famiglia a cui tornare. E’ tutto finito.»
«Non ti ricordi cosa mi hai detto il giorno di Natale?» Le rammentò Guerriero. «Possiamo far finta di essere una famiglia. Io ti dico di più: possiamo essere una famiglia. E possiamo avere una casa, non più un rifugio come adesso: un luogo dove restare sempre, senza più spostarci.»
«In questa città non c’è un posto che si possa chiamare casa.» Sussurrò mestamente Katrin.
«La casa non sarà qui: lasceremo questo posto, ce ne dimenticheremo per sempre.»
«Ci seguirà dappertutto, non ci lascerà mai.» Katrin si portò le mani alla tempia.
Guerriero la guardò pensieroso. «Il ricordo di questa esperienza non può far male: ha potere solo se glielo si permette. Ma se sarà sostituito da ricordi belli, se ne andrà.»
Katrin alzò la testa di scatto. «Il Demone non ci lascerà andare. Ci seguirà ovunque.»
A quelle parole Guerriero non seppe come rispondere. E lei sorrise rassegnata.
«E’ tutto inutile. Scappare. Lottare. Sopravvivere. I Demoni avranno la meglio. Io non ci sto più a vivere un’esistenza dannata.» La ragazza s’allontanò da lui, voltando la punta del coltello contro la pelle scoperta dello stomaco, un baluginio malsano negli occhi. «Questo mondo è un inferno.»
L’uomo alzò lentamente le mani, sperando che questo le facesse capire che non aveva intenzione di fare gesti bruschi, facendole compiere la mossa inconsulta.
«Hai ragione.» Disse cercando di mantenere un tono calmo e rilassato per farla ragionare e distogliere l’attenzione dal suo intento. «Stare in questo mondo non è vita: è pervasa solo da male, ogni giorno. Abbiamo conosciuto solo miseria e distruzione. Non avrebbe senso continuare a vivere se non ci fosse speranza. Ma c’è! Esiste!» Insistette convinto, facendo un passo avanti.
Katrin si ritrasse, le braccia percorse da un leggero fremito, aumentando la pressione del coltello sulla pelle.
L’uomo si fermò, capendo di aver fatto una mossa azzardata, ma sapendo che ogni istante che passava le possibilità del suo gesto fatale aumentavano. Tenendo il braccio destro teso, il palmo della mano aperto come a voler calmare un animale spaventato, portò la sinistra all’ultima tasca in alto del suo giubbotto, armeggiando con le dita sui bottoni senza mai distogliere lo sguardo da lei.
«C’è un posto lontano da qui dove non c’è questa pazzia: c’è solo pace e calma. E’ abitato da gente buona, che è la per proteggere gente come noi e aiutarla a rifarsi una nuova vita. Niente più urla. Niente più folli o mostri. Non dovremo più scappare, né guardarci le spalle in continuazione. Avremo una casa sicura. Degli amici!» Sorrise speranzoso. «Amici! Capisci? Persone che ci staranno vicine quando saremo tristi o che rideranno con noi nelle serate allegre. Pensa che bello! Cominceremo davvero a vivere. Non dovremo più nasconderci all’ombra di palazzi diroccati o periferie fatiscenti. Potremo tenere accesa la luce: non avremo più buio!»
«Non esiste un posto del genere.» Biascicò la ragazza, lo sguardo vacuo e inespressivo.
«Invece esiste!» Le dita s’affannarono a sbottonare la tasca, affrettandosi a tirare fuori le pagine custodite nel sigillo di plastica. «E’ tutto scritto qua sopra! Quello che ti sto dicendo non è una mia invenzione. E’ quello che sto cercando: è questo lo scopo delle mie ricerche. Leggi!» Protese la mano che stringeva quanto aveva di più prezioso. «Coraggio! Io sono diretto là e tu verrai con me.»
La ragazza rimase a fissare le pagine ripiegate senza fare alcun cenno di volerle afferrare. «Dov’è questo posto?»
«Tra le montagne.» S’affrettò a risponderle. «C’è un sentiero che raggiunge le case che sono lassù costruite.»
«Non ci sono montagne qua intorno.» Bofonchiò la ragazza.
Vedendo che stava perdendo la presa sulla sua volontà e che le possibilità di convincerla stavano precipitando, si tenne pronto a saltarle addosso per strapparle l’arma.
«Ascoltami. La strada si può trovare: ho visto dove si trova questo posto: Vecchio mi ha detto che oltre la pianura ci sono delle catene montuose, talmente alte che possono sfiorare le nubi. Sono sempre coperte di neve. Luna Azzurra è in mezzo a quei picchi.»
«Luna Azzurra?»
«Così si chiama quel posto. Non è un bel nome?» Forse era di nuovo riuscito a distrarla dal suo proposito.
«Sembra il posto di una favola.» Mormorò la ragazza, distorcendo le labbra in quello che doveva essere un sorriso.
Un urlo isterico stroncò la replica dell’uomo. Una vecchia dai capelli stopposi si pugnalò il petto sopra un cumulo di macerie a una dozzina di metri da loro. Il coltello affondò fino al manico, facendo zampillare il sangue come il getto di una fontanella. Il suo grido si smorzò in un gorgoglio, soffocando mentre il corpo rotolava sui piloni di cemento sventrati e spariva all’interno di una fossa. Una striscia di sangue sulla grigia superficie era l’epitaffio della sua dipartita.
In lontananza, altre grida si levarono in risposta al suo gesto. Bagliori rossastri si dipanarono sui palazzi sbrecciati, segnale che il rituale stava per avvicinarsi alla sua conclusione.
L’uomo si voltò subito verso di lei. «Non ascoltare quelle urla. Guardami.» La implorò. «Guardami negli occhi.»
La ragazza stava fissando rapita le fiamme riflesse che guizzavano sui vetri delle finestre. Colori vivaci che serpeggiavano diabolicamente sullo sfondo scuro.
«Mi stanno chiamando. Stanno aspettando me.» Mormorò come se fosse ipnotizzata.
«Katrin, smettila di guardare le fiamme.» Intimò l’uomo, conscio dell’infausto potere che avevano. «Katrin!»
La ragazza sobbalzò, tornando a guardarlo come se fosse la prima volta che lo vedeva. «Devo andare da loro.»
«Non sei costretta a farlo. Loro non hanno nessun potere su di te. Non possono dirti quello che devi e non devi fare: non sono loro a decidere per te.» Disse con forza l’uomo.
«Ma hanno ragione. E’ l’unica via.» Disse con voce rotta dalla disperazione.
«No. Un’altra via c’è. Te l’ho appena mostrata.» Alzò la busta di plastica all’altezza della faccia. «Fidati di me, ti prego. Lascia andare questa follia, non farti prendere.»
La ragazza oscillò, la sua determinazione incrinata.
«Dammi quel coltello, per favore.» Insistette l’uomo. «Andrà tutto bene, fidati di me.»
Un’esplosione sferzò l’aria, scuotendo la terra. Un boato spaventoso che costrinse d’istinto l’uomo a incassare le spalle come se dovesse ricevere un colpo.
Una colonna di fuoco si levò verso il cielo, facendo cadere tutt’intorno una pioggia di lapilli. Le scosse si fecero sempre più intense e ravvicinate, rompendo la crosta in una ragnatela di crepe.
Una risata agghiacciante si levò sopra le loro teste. Dal getto di fiamme, sospesa a mezz’aria, una figura rossastra emerse sogghignante di divertimento, ansiosa di gustare lo spettacolo.
«Dio.» Guerriero deglutì a fatica. «Un Demone.»
Un singhiozzo lo riscosse dall’orrore che stava prendendo possesso di lui. La ragazza stava piangendo.
«Non lo guardare!» Urlò. «Guarda me!»
Katrin si voltò a guardarlo di scatto, i capelli che le schiaffeggiarono il volto. La frenesia aveva preso possesso di lei: le labbra presero a tremare con forza.
«Mantieni la calma.»
La ragazza si guardò intorno spaurita, cercando una via d’uscita. Indietreggiò, andando a sbattere contro un muro arenato contro un palo di cemento armato. Le pupille si dilatarono sempre di più mentre si rendeva conto che era andata a finire in un vicolo cieco. Guardò l’uomo che le stava davanti e il suo sguardo inorridì ancora di più.
«Non avere paura. Ci sono io qui con te. Il Demone non ti farà del male: la sua attenzione è presa dalla massa di persone.» Deglutì a fatica, costringendosi a non far trapelare la paura che l’essere gli causava.
La ragazza scivolò contro la parete, scuotendo il capo con forza.
«Fidati di me. Andrà tutto bene.»
Katrin negò con veemenza. Nei suoi occhi balenò una spaventosa lucidità. Improvvisamente smise di tremare e il respiro tornò a farsi regolare. «Non andrà mai bene. Raggiungi anche per me Luna Azzurra.» Una lacrima colma di rassegnazione solcò la guancia sporca di polvere.
La lama affondò decisa fino al manico, aprendo uno squarcio laterale sull’addome quando i polsi impressero la violenta torsione. Il sangue sgorgò copioso, coprendo immediatamente le mani, scivolando in grossi rivoli sulle gambe nude.
«No!»
Con un urlo Guerriero si gettò in avanti, afferrando la ragazza mentre inciampava all’indietro e adagiandola al suolo. Scostando le mani rese scivolose dal sangue, estrasse con uno scatto il coltello, ben sapendo che era già troppo tardi. Si sfilò in fretta la sciarpa, cercando di tamponare la ferita.
«Perché l’hai fatto? Perché?» Gridò mentre armeggiava freneticamente per fermare la fuoriuscita del sangue.
Lei lo guardò inebetita, come se non si rendesse conto di quello che stava succedendo. Sentì la sua mano sfiorargli una guancia e il liquido caldo scendergli sulla pelle. Raccapricciato dall’ineluttabilità di quanto stava accadendo, si rassegnò alla sua impotenza. Allontanò le mani dalla ferita, passandone una sotto la testa di Katrin e stringendo con l’altra le sottili dita che si facevano sempre più fredde.
Scoppi e strida s’accalcarono tutt’intorno, ma non se ne accorse, perso nel vuoto di neri occhi immobili.
Un attimo prima era ancora lì con lui e l’attimo dopo era in compagnia di un corpo senza vita. Katrin non c’era più. Se n’era andata tra le sue braccia senza un rantolo, senza un gemito. Il cuore aveva smesso di pompare. I polmoni di respirare. La morte che tanto spaventava era tutta lì, in un attimo fugace che subito svaniva. La verità era che non si aveva paura di lei, quanto delle conseguenze che essa lasciava. E lui era solo, lacerato dalla perdita e dall’impotenza, straziato dal senso di colpa di non essere riuscito a salvarla.
Era così vicina. Sarebbe bastato un altro poco, un niente perché Katrin fosse ancora viva. Se solo fosse riuscito a toccarla…sarebbe stata salva.
Piegato dalla colpa, s’accartocciò su se stesso, portando il capo di Katrin al petto e stringendolo con forza.
«Fratello, fratello.»
Sentì la voce chiamarlo alle spalle, ma si rifiutò di ascoltarla.
«Fratello.» Sentì una mano scuotergli la spalla.
Alzò la testa, un’espressione contrita che gli distorceva i lineamenti.
«Rallegrati per lei: ora è salva. Niente potrà più farle del male. Questa è la volontà di Dio e lei ha risposto alla sua chiamata: rendiamo grazie al Signore per la sua volontà.» Un sorriso soave splendeva sul volto tondo a pochi centimetri dal suo. «Sei stato un credente esemplare nell’assisterla e aiutarla a raggiungere la pace. Permetti che ora io faccia lo stesso per te.»
Ogni sentimento svanì da Guerriero, la faccia una maschera inespressiva. Delicatamente lasciò scivolare sulla pietra il corpo di Katrin, alzandosi con spaventosa calma.
Il sorriso dell’uomo vestito di nero s’allargò ancora di più quando si voltò verso di lui.
Il volto esplose in uno schizzo di sangue. Cartilagine e ossa si sgretolarono in un secco schiocco. L’uomo dalla tonaca stramazzò al suolo, il setto nasale piantato cinque centimetri dentro il cervello.
Senza curarsi dei movimenti convulsi degli arti, Guerriero tornò a girarsi, prendendo il corpo di Katrin tra le braccia e incamminandosi lungo il sentiero di detriti.